Tuesday, September 13, 2011

La vita con la maschera dei bimbi di Fukushima

Vietati i giochi all’aperto, e il cibo e l’acqua sono pericolosi


ILARIA MARIA SALA


KORIYAMA (GIAPPONE)
Con i suoi trecentomila abitanti, Koriyama, nella prefettura di Fukushima, è parte di un Giappone di provincia semi invisibile. Non c’è l’allegria di Osaka o gli splendori di Kyoto, non c’è la ricchezza culturale e materiale della metropoli tokyoita e delle città che la circondano: è un piccolo centro industriale che lavora, e che malgrado i suoi edifici moderni resta attaccato alla terra. Allontanandosi dal centro si passa da una periferia modesta alla campagna: siamo in una regione agricola, famosa per il riso e la frutta (le pere in particolare), e per la verità, poco altro. Una città che non cercava pubblicità.

Poi è arrivato l’11 marzo 2011, il terremoto, lo tsunami, e la distruzione della centrale nucleare di Fukushima Daiichi, e la schiva Koriyama si è ritrovata nell’occhio del ciclone. Il terremoto qui ha fatto un solo morto, ma si è lasciato dietro molti danni: oggi la maggior parte delle case troppo danneggiate per essere riparate sono state demolite, ma si vedono ancora edifici ricoperti di plastica che vengono rimessi in sesto, e dei cartelli attaccati alle porte con scritto «ispezionato». Se sono verdi, significa che l’edificio sarà salvo. Rosa, e verrà abbattuto.

Ma questo è niente. Quello che è grave, a Koriyama, è il trovarsi a 50 chilometri dalla centrale atomica esplosa: fuori dal raggio di evacuazione obbligatoria, fuori dalla zona più pericolosa, ma in un territorio ricoperto di «punti caldi», dove le radiazioni sono più alte del dovuto, e i rischi, per ora, un mistero che si cerca di penetrare malgrado la scarsità di informazioni disponibili. Koriyama è sufficientemente al sicuro da aver ricevuto 2000 sfollati che abitavano in prossimità della centrale, e che ora vivono in file di prefabbricati bianchi che emanano desolazione. Ogni tanto si notano gli adesivi che dicono «gambaré Fukushima!», qualcosa come «coraggio, Fukushima!».

Oggi i livelli di radiazioni, dopo aver raggiunto punte inquietanti in aprile, non dovrebbero presentare rischi per la salute degli adulti, ma i bambini, più sensibili alla radioattività, devono invece essere protetti. «Durante l’estate, tutti i cortili e i campi da gioco delle scuole sono stati “grattati”, per togliere il suolo di superficie che conteneva più materiale radioattivo», dice Anne Kaneko, amministratrice di un’azienda di cartone per imballaggi. «Di quanto? Non si sa: si pensa che sia di circa cinque centimetri, ma questa è una delle tante cose che non sappiamo con sicurezza. La terra grattata è stata messa in un angolo, e ricoperta con dei grossi teloni di plastica, fintanto che non si saprà cosa farne».

Un’operazione che migliora solo in parte la situazione, dal momento che i bambini più piccoli, in ogni caso, hanno il permesso di giocare all’aperto solo per un’ora al giorno. Tomoko Sakuta, maestra e madre di una ragazzina di otto anni, spiega che «ogni mattina, prima di far uscire mia figlia, guardo la televisione per controllare il livello delle radiazioni. Fino ai dieci anni, i bambini devono andare e tornare da scuola con una mascherina, per evitare di inalare particelle radioattive che potrebbero interferire con il loro sviluppo. Ho dovuto spiegare a mia figlia che non può toccare la terra, e nessuna pianta, che non si deve avvicinare al fiume che c’è dietro casa, che è pericoloso anche toccare un fiore. Mi sembra che mi ascolti», dice.

Per cercare di calmare l’inevitabile ansia, la prefettura di Fukushima ha organizzato durante l’estate degli incontri fra medici e genitori per spiegare quello che era successo e le possibili conseguenze: «Ma i medici non è che fossero esperti in queste cose. Erano stati chiamati a loro volta a Tokyo, per un seminario, e al ritorno ci hanno detto quello che avevano imparato», dice la signora Sakuta. «Prima del seminario, non sapevo che la bambina non dovesse toccare l’erba», sospira. Proprio mentre parla, la ragazzina torna da scuola, cappellino in testa e mascherina che le copre il volto. «Lo sai perché devi stare coperta?», le chiede la mamma. «C’è una cosa chimica nell’aria che fa male», dice la piccola, e scappa via buttando in terra mascherina e cappellino.

Per un’altra mamma la situazione è più complessa: «Io ho due ragazzi, uno di sette e l’altro di tredici anni. Ho l’impressione di star tenendo in gabbia dei grossi cani irrequieti, che sbattono contro le pareti per l’impazienza di uscire. Durante l’estate potevano uscire solo un’ora a settimana, le radiazioni erano più alte di adesso, e credevo che saremmo impazziti tutti. Adesso è consentita una passeggiata fino a un’ora al giorno».

Per tutte le mamme, poi, c’è l’ansia del cibo. Prima cosa ad essere stata eliminata, l’acqua del rubinetto, poi a seconda di quello che dice il giornale si evita un alimento o l’altro: «Qui, siamo sempre stati fieri dei nostri agricoltori, e adesso li vediamo andare in bancarotta. Vorrei sostenerli, ma se poi compro cose che fanno male alla mia bambina?», si chiede Sakuta, tormentata e sfiduciata. «Per i pasti scolastici, però, voglio fidarmi, non ho altra scelta: non tutti possono semplicemente partire», dice.

Altrove, non è così: come la signora Toshiko Yasuda, di Yokohama, che ha creato un gruppo di mamme che si oppone alla presenza di alimenti di Fukushima nelle mense delle elementari, l’Associazione per proteggere i bambini di Yokohama dalle radiazioni. Per ora la scuola, e il ministero dell’Educazione, sembrano indifferenti alla loro inquietudine ma, come dice il sito web dell’Associazione di Yokohama, non possono essere i bambini, o le loro mamme, a preoccuparsi del reddito dei contadini di Fukushima. Per ora, il governo non sta ascoltando.

Fonte: http://www3.lastampa.it

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