Thursday, October 13, 2011

Cowboys & Aliens - Recensione

Il film è un prodotto assolutamente originale e sorprendentemente funzionante, che supera i soliti cliché tra indiani e cowboys e cerca una visione moderna per ripresentare il western, trovandogli un nemico alieno

Cowboys & Aliens - Recensione

Jon Favreau, regista conosciuto maggiormnte dal pubblico per le due versioni di Iron Man, torna sugli schermi con un nuovo e originale lavoro: Cowboys & Aliens, che sarà in programmazione nelle sale cinematografiche da venerdì 14 ottobre. Già dal titolo si riesce ad intuire la collocazione della pellicola in una categoria filmica particolare, quella della commistione dei generi, finora tanto abusata per la realizzazione di prodotti ironici, comici, anche surreali, che in questo caso diventa invece un vero e proprio strumento a servizio della narrazione. Le iconografie tipiche dei due generi, infatti, si avvicendano, non si sovrappongono grottescamente, per connotare due mondi a sè stanti, quasi mettendoli a confronto, evitando così di minare l'integrità e la dignità dei due topoi narrativi (pur non avendo nello script lo stesso peso). Lo stesso regista, che ha avuto dalla sua parte importanti collaborazioni, come Spielberg e Ron Howard, ha ammesso la sua assoluta volontà mantenere vivido lo splendore della tradizione cinematografica "aliena" degli anni Ottanta, così come quella Western, tornata tra l'altro alla ribalta di recente (pensiamo a Il Grinta dei Coen).

Per tutto lo scorrere della pellicola ci troviamo davanti un progetto originale: il mondo alieno - il futuro, la teconologia - che incombe,si colloca come la dimensione "nemica" (rovesciando quasi la retorica narrativa delle presenze amicali provenienti da altri mondi), mentre il passato, l'antico, rappresentato dalla dimensione western "umana" - con tutte le sue contraddizioni, idiosincrasie, classi sociali, diversità "razziali"- diventa invece la compagine di eroi positivi che si forma lentamente, per tutto il percorso di questo bizzarro road (B?)-movie, attraverso il superamento delle differenze tra i protagonisti, che arrivano uniti allo scontro finale.

La trama è abbastanza intricata: un uomo (Daniel Craig) con una strana ferita sul fianco si risveglia nel New Messico, senza ricordare più nulla del suo passato. Unico indizio: un bracciale al polso che non riesce a togliere e che in qualche modo lo conduce a strani episodi. Mentre vaga in cerca di una pista che lo conduca a far luce sugli ultimi avvenimenti approda nella sperduta cittadina di Absolution, coinvolto in una serie di eventi in cui riesce a dar prova della propria abilità nel combattimento. Proprio dopo esser stato catturato dalle autorità federali del posto inizia un attacco da parte di strane astronavi, che rapiscono parte della popolazione. Inzia così una vera e propria missione, che coinvolge una misteriosa donna di nome Ella Swenson (Olivia Wilde), Nat Colorado (Adam Beach), lo sceriffo (Keith Carradine) e il cattivo del west Dolharyde (uno splendido Harrison Ford).

Il film si svela così come un prodotto assolutamente originale e sorprendentemente funzionante. Superati i soliti cliché tra indiani e cowboys il regista cerca una visione moderna per ripresentare il western, trovandogli un nemico alieno, extraterrestre, potendosi così permettere leziosità tecnologiche, pirotecniche, fantascientifiche.

Certo queste scelte narrative producono un eccessivo stacco tra la prima parte (che è sviluppata mantenendo una certa coerenza e bellezza estetica anche in termini di fotografia e caratterizzazione dei protagonisti) e la seconda, nella quale la comparsa dei nemici alieni, non rafforzata da altri elementi, rimane inconsistente e non consente al film di virare totalmente verso un altro genere.

Così, grazie soprattutto all'ottimo cast (e alla sceneggiatura ad Alex Kurtzman e Roberto Orci) il film, tratto dalla graphic novel scritta nel 1997 da Scott Mitchell Rosenberg, nonosstante mescolanza di elementi ad un primo sguardo improponibili, ci convince, anche se unisce un cowboy, degli alieni e degli indiani.

Valentina Pettinato

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