Tuesday, July 3, 2012

Strage di Ustica a quota 32

Un altro anniversario fotocopia

Strage di Ustica a quota 32

Sono molti anni, ormai, che a ogni anniversario della tragedia di Ustica, che si consumò una sera dell’ormai lontano 27 giugno 1980, si ripete il solito cliché, come una fotocopia che entri in funzione una volta l’anno, ma solo per riprodurre l’ennesima copia della stessa immagine: qualcuno ricorda le vittime, qualcuno lamenta che non si è dato un volto ai responsabili della strage, qualcun’altro ricicla fatti e personaggi (veri o presunti, poco importa) e ogni tanto qualcuno proclama nuove rivelazioni che fanno la fine di tutte quelle precedenti: il cestino dell’oblio.

GIUSTIZIA - E già, perché molto spesso le istituzioni che lamentano l’assenza di giustizia sulla strage, sono quelle stesse istituzioni che per prime avrebbero dovuto assicurarla. E sono quelle stesse istituzioni sospettate – direttamente o indirettamente – di aver depistato le indagini e di nascondere terribili segreti. E altrettanto spesso, coloro che esprimono sdegno per l’assenza di risposte istituzionali e giudiziarie, e danno voce alle comprensibili aspettative dei parenti delle vittime, sono le stesse persone che hanno trasformato la storia di una tragedia in una specie di racconto da circo equestre, inventando teorie e favole di ogni sorta e accusando ora questi, ora quelli, ora quegli altri, contribuendo non poco ad arricchire un immenso minestrone di idiozie nel quale la verità è ormai indistinguibile.

INDAGINI – Chissà se verrai mai il giorno in cui qualcuno capirà che se 32 anni di indagini (non solo giudiziarie, ma anche giornalistiche) non hanno portato a dare un nome a nemmeno un singolo responsabile della strage, forse sarebbe opportuno prendere in considerazione la possibilità che si è cercato nella direzione sbagliata, sotto l’impulso di un’ostinazione investigativa e giudiziaria molto simile a quella che ha portato in carcere il padre dei due fratellini di Gravina di Puglia, accusato di averli uccisi e di essersi sbarazzato dei loro corpi. In quell’episodio, un innocente finì in carcere, accusato di un orribile crimine. Non solo non c’erano prove che fosse stato lui ad uccidere i due fratellini, non solo non c’era un movente né un’arma del delitto, ma non c’erano nemmeno le prove che i due fratellini fossero stati uccisi!

CASI – Poi, si scoprì che i due poveri ragazzi erano precipitati in una specie di cisterna per cereali, ma la scoperta fu solo un caso fortuito: un terzo ragazzo cadde nella stessa trappola, e i suoi amici diedero l’allarme ai soccorritori che scoprirono i macabri resti dei fratellini. Così, per Ustica, furono fatti i nomi dei colpevoli. Alcuni di loro furono incriminati senza che ci fossero prove della loro colpevolezza (difatti furono assolti) e – soprattutto – senza che nessuno abbia mai provato cosa fosse successo all’aereo e ai passeggeri! Missili, UFO, cedimento strutturale, bomba, spostamento d’aria, destrutturazione… decine di ipotesi, nessuna delle quali dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, nessuna provata. Però si era deciso (con la stessa ostinazione della vicenda di Gravina) che la nostra Aeronautica Militare fosse colpevole in qualche modo, e si continuarono a cercare prove in quella direzione. Senza mai trovarle, dopo 32 anni. Senza mai cambiare direzione, dopo 32 anni.

VERITA’ - E a questo clichè appartiene l’articolo pubblicato su il Sussidiario.net il 28 giugno 2012, incentrato su un’intervista all’ex giudice Rosario Priore, con il titolo: “Strage di Ustica / Priore: ecco chi copre la verità”. Nelle affermazioni di Priore, così come tra le considerazioni dell’articolista (il pezzo non è firmato), si leggono dei passaggi che destano notevole perplessità, quando non vera e propria inquietudine. In apertura dell’articolo è scritto che “Un processo c’è stato, quello sui reati di depistaggio di cui furono accusati alcuni alti ufficiali dell’aeronautica militare italiana, grazie alle indagini del giudice Rosario Priore, ma la Cassazione ha ribaltato la prima sentenza decidendo che i depistaggi in realtà non ci furono”. Ma questa affermazione è del tutto falsa e fuorviante. Priore era il giudice istruttore (una figura scomparsa nel vigente codice di procedura penale) e in questa veste non poteva condannare gli imputati, ma soltanto disporne il rinvio al giudizio. E così fece.

SENTENZE -
La prima sentenza fu quella della Corte di Assise di Roma (quindi con maggioranza di giudici popolari, estratti a sorte fra comuni cittadini) e non condannò nessuno: per due imputati stabilì che il reato si era prescritto, per gli altri casi sentenziò l’assoluzione con formule piene (il fatto non sussiste, il fatto non costituisce reato, non ha commesso il fatto). La seconda sentenza fu della Corte di Assise d’Appello (anche in questo caso con maggioranza di giudici popolari) che stabilì la completa innocenza degli imputati anche per quei reati che erano stati dichiarati prescritti nella prima sentenza. La Cassazione non fece altro che confermare la sentenza d’appello. Nessuna sentenza, quindi, è mai stata “ribaltata”, nessuna sentenza ha mai condannato nessuno. Già questa circostanza evidenzia la superficialità (a voler essere buoni) con cui è trattata a livello mediatico una vicenda così importante. Poi ci sono le dichiarazioni rilasciate da Priore nell’intervista su cui si potrebbe scrivere davvero molto, ma ce n’è una in particolare che risulta quasi surreale. Il giudice, infatti, commenta che “Purtroppo lo svolgimento dei processi a seguito delle mie indagini ha portato a un nulla di fatto e quindi siamo di nuovo da capo. Il problema è proprio questo”. E quando il giornalista gli chiede di spiegarsi meglio, risponde: “Vede, le inchieste sulle stragi partono sempre in un modo che sembra trionfale, quando poi vanno davanti ai giudici dei dipartimenti (probabilmente intende dire dibattimenti) si afflosciano… Giudici inquirenti e giudicanti sono della stessa razza, hanno fatto gli stessi studi però di fronte al fatto reagiscono in modo diverso. L’inquirente ci mette un certo impegno, il giudicante sta in una posizione di maggiore distacco e di calma. Forse è questo il motivo.”

TERZIETA’ – Ora, si dà il caso che la terzietà del giudice giudicante (ossia del dibattimento) rispetto al “giudice inquirente” (figura fortunatamente soppressa dalle fasi del giudizio) è un pilastro imprescindibile di qualsiasi sistema giudiziario civile e democratico. E’ pacifico che l’inquirente abbia tutto l’interesse a sostenere l’accusa e le ragioni dell’accusa (così come il difensore ha interesse opposto) ed è pertanto indispensabile che il giudice sia terzo (ossia imparziale e obiettivo) rispetto all’accusa e alla difesa. Nel vecchio processo penale (che fu proprio il modello applicato all’inchiesta di Ustica) la parte inquirente era rappresentata dal Pubblico Ministero e dal Giudice Istruttore il quale poi decideva per il rinvio a giudizio. In pratica, accusa e giudice erano la stessa persona! Nel moderno processo penale, il Pubblico Ministero sostiene l’accusa, la difesa sostiene le proprie ragioni, e i giudici (sia quello per l’udienza preliminare che dispone per il rinvio a giudizio, sia quello del dibattimento) sono terzi e imparziali. Ci sono voluti decenni di errori giudiziari (compreso il caso Tortora) per arrivare a un sistema processuale che già esisteva in tutti i paesi civili del mondo e che soppiantasse il vecchio sistema d’ispirazione fascista.

E DUNQUE - Certo, quindi, che è proprio questo il motivo per cui tanti “processi” istruiti dagli organi “inquirenti” non superano il vaglio dei giudici del dibattimento: ciò significa che molti processi vengono istruiti senza prove sufficienti per una condanna, e correttamente i giudici assolvono gli imputati. A nessuno interessa (si spera) una giustizia che condanni innocenti. E su Ustica, piaccia o non piaccia, la giustizia (e non solo i giudici togati, ma anche quelli popolari) non ha trovato alcuna prova di missili, battaglie aeree e depistaggi. E in assenza di prove, si possono scrivere romanzi, ma non sentenze di condanna, come giustamente sottolinearono i giudici della corte d’assiste d’appello di Roma. Ma anche di romanzi, in questi 32 anni, ne sono stati scritti fin troppi.

Fonte: http://www.giornalettismo.com

Per approfondire leggete questo articolo:

Documenti segreti sulla tragedia di Ustica


libyanfreepress

Documenti segreti libici svelano la tragedia di Ustica e come Gheddafi si salvò riparando a Malta

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Secondo i resoconti dei media italiani, i documenti riservati trovati negli archivi del servizio segreto libico, dopo la caduta di Tripoli, che sono ora nelle mani di Human Rights Watch, dimostrano ciò che ha provocato l’abbattimento del Dc-9 Itavia sul Mediterraneo, presso l’isola di Ustica, il 27 giugno 1980. Ottantuno persone a bordo del volo, sulla rotta da Bologna a Palermo, sono morte.

Come si è a lungo sospettato, i documenti confermano che un missile aveva colpito l’aereo, dopo che era stato scambiato per un aereo che trasportava il leader libico Muammar Gheddafi.

Secondo i documenti, due jet francesi all’inizio attaccarono l’aereo, e poi s’impegnarono in un duello con un solitario caccia MiG, che portava le insegne della Jamahiriya, e che si pensava scortasse il colonnello Gheddafi, fino a quando non impattò nella regione montuosa della Sila, nel sud d’Italia. Il colonnello Gheddafi, informato in tempo dell’attacco, riparò a Malta, dove atterrò col suo Tupolev, secondo i documenti.

Sembrerebbe, dalle carte dei servizi segreti trovate, che Gheddafi sia stato informato dai servizi segreti italiani (SISMI), che stava per essere attaccato, e aveva cercato rifugio a Malta.

Le autorità italiane hanno isolato l’area in cui il MiG cadde, e un giornalista e un fotografo, che cercavano di scoprirne la vicenda, al momento, furono arrestati e trattenuti per ore dalla polizia, fino a che non svelarono ciò che avevano documentato. Più tardi, le autorità libiche affermarono che il pilota del MiG era in volo di addestramento, quando avrebbe perso la rotta. Il suo cadavere, che era già stato sepolto, fu riesumato; l’autopsia venne effettuata e il cadavere fu poi rimpatriato in Libia. Pochi giorni dopo, il 7 luglio 1980, una bomba distrusse gli uffici della Libyan Arab Airlines, a Freedom Square, a La Valletta, e ci fu anche un tentativo di incendio doloso dell’Istituto libico di Cultura, a Palace Square, in quel periodo.

Secondo un libro del giornalista e storico francese, Henri Weill, la bomba e l’incendio doloso furono opera dei servizi segreti francesi, lo SDECE, come anche un attacco a una nave libica, a Genova. Poi, meno di un mese dopo, il 2 agosto 1980, un’enorme bomba distrusse la maggior parte della stazione ferroviaria di Bologna, e 80 persone furono uccise. La responsabilità dell’attacco terroristico non è mai stata stabilita con certezza. Proprio questa settimana, un tribunale italiano ha ordinato al governo di pagare 100 milioni di euro di danni civili ai parenti delle 81 persone uccise nel disastro aereo del 1980, che tuttora rimane ancora uno dei misteri più duraturi dell’Italia, almeno fino a quando i documenti scoperti questa settimana, saranno studiati a fondo.

Il governo italiano ha dichiarato che avrebbe fatto ricorso contro la decisione del tribunale civile di Palermo, che ritiene i ministeri della difesa e dei trasporti responsabili di aver omesso di garantire la sicurezza del volo. Tra le altre teorie sulle cause dell’incidente, vi era quella di una bomba a bordo o che l’aereo fosse stato accidentalmente preso in mezzo a un duello aereo.

L’avvocato Daniele Osnato, che insieme a un manipolo di avvocati rappresentati i parenti delle 81 vittime, ha detto che la giustizia è stata finalmente fatta. Oltre a determinare che i ministeri competenti non erano riusciti a proteggere il volo, ha detto, il tribunale ha anche concluso che erano colpevoli di aver nascosto la verità e di aver distrutto le prove.

Un’altra teoria sul dogfight aereo, aveva avuto credito dal giudice Rosario Priore, il quale aveva inizialmente accusato dei generali di esserne i responsabili. Il giudice Priore aveva teorizzato che un missile, lanciato da un caccia statunitense o da un altro aereo della NATO, avesse accidentalmente colpito il jet di linea interna italiano, durante il tentativo di abbattere un aereo libico.

Funzionari francesi, statunitensi e della NATO, hanno a lungo negato qualsiasi attività militare nei cieli, quella notte.

Fonte originale in inglese: AlFatah69
Traduzione italiana di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

Fonte: libyanfreepress 2 Ottobre 2011

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