Monday, April 14, 2014

Extraterrestri e Sfere di Dyson: un approccio “attivo” per la ricerca di civiltà aliene

Di Alessandra Principe -
Dalla notte dei tempi l’uomo si interroga sull’esistenza di forme di vita extraterrestre e, checché se ne dica riguardo a possibili avvistamenti di U.F.O o qualsiasi altro oggetto sospetto fluttuante nel nostro cielo, tutt’oggi la scienza non è in grado di fornire prove concrete circa la presenza di forme di civiltà aliene.
Forse, però, un errore di fondo c’è e potrebbe essere proprio questo ad offuscare il quadro ancora troppo sconosciuto di mondi abitati diversi dal nostro. Sin ora, infatti, l’unica forma di contatto ritenuta valida per venire a conoscenza dell’esistenza di civiltà aliene è quella via radio, mezzo di comunicazione piuttosto scontato per noi esseri umani. Ma siamo sicuri che un’eventuale presenza extraterrestre riconosca questo modo di comunicare? E soprattutto: siamo sicuri che questa presenza senta la necessità di mettersi in contatto con noi? Non sarà che qualcosa o qualcuno si sia fin ora semplicemente limitato ad osservarci “in silenzio”, in modo discreto, col chiaro intento di non essere scoperto? Certamente, osservando le cose da questa prospettiva, aspettare di essere contattati, di ricevere un segnale via radio, costituisce un approccio definito da molti scienziati “passivo” e quindi inefficace.
Per questi motivi, un nuova nuova via per la ricerca degli extraterrestri sta prendendo piede fra gli studiosi del settore grazie al sostegno degli scienziati del progetto SETI (Search for extra-terrestrial intelligence), sempre più propensi per una forma di contatto col mondo alieno di tipo “attivo”, usufruendo di osservazioni astronomiche già disponibili e soprattutto dell’importante contributo fornito dal matematico e fisico teorico britannico Freeman Dyson, il quale nell’ormai lontano 1959 aveva formulato l’ipotesi secondo la quale le civiltà aliene disporrebbero di una tecnologia di gran lunga più avanzata della nostra, capace di sfruttare l’energia prodotta dalla propria stella, il che produrrebbe una sfera, chiamata appunto “sfera di Dyson”, rilevabile dal calore che produce utilizzando i telescopi per le osservazioni nello spettro infrarosso. Ovviamente, non si tratta di una sfera nel senso concreto del termine, bensì di un accumulo di energia elettromagnetica.
Dal 1959 ad oggi, la teoria di Dyson, per quanto “marginale”, ha avuto un seguito nel 1983 con il lancio dell’IRAS (Infrared Astronomical Satellite), ossia il primo osservatorio spaziale per l’esplorazione del cielo in luce infrarossa. Oggi, lo scienziato Richard Carrigan, insieme ad altri collaboratori del SETI Institute, ha raccolto tutti i dati inviati dal satellite per capire se siano state da questo individuate delle possibili Sfere di Dyson nello spazio infinito, prova dell’esistenza di civiltà aliene.
Attualmente i risultati non sono stati i più soddisfacenti, confermando quanto rilevato dal semplice contatto via radio. Gli scienziati, però, non si arrendono. Se è vero, infatti, che fin ora non si sono ottenuti i risultati sperati, è altresì indiscutibile il fatto che un cambio di approccio allo studio di forme di vita extraterrestre, costituisce di per sé una novità tutta positiva. Chissà che questo cambiamento di prospettiva, del modo di scoprire se e chi dal proprio mondo ci osserva silenziosamente, non sia la matrice per il sorgere di nuovi interrogativi e di altrettante nuove, forse inaspettate, risposte.

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