Spazio: ultima frontiera. Credere che si sia soli nell'universo è come credere che la Terra sia piatta. Come disse l'astrofisico Labeque al palazzo dell'UNESCO, durante il congresso mondiale del SETI di Parigi del Settembre 2008, " SOMETHING IS HERE", "Qualcosa è qui", e I TEMPI SONO MATURI per farsene una ragione. La CIA, l'FBI, la NSA, il Pentagono, e non solo, lo hanno confermato!
Thursday, March 22, 2018
La Montagna della Morte: il passo Dyatlov
Quasi 60 anni fa, la regione settentrionale degli Urali è stata teatro di uno dei più lugubri misteri irrisolti dell'epoca moderna.
In apparenza, quello che è passato alla storia come l'incidente del
Passo Dyatlov sembra facilmente spiegabile: nove sciatori morirono nel
mezzo di una difficoltosa traversata in condizioni estreme, a 30 gradi
sotto zero. Ma i dettagli, basati per lo più sui diari ritrovati e sulle
rilevazioni degli investigatori sovietici, sono agghiaccianti: la notte
del 2 febbraio 1959, i membri della spedizione apparentemente
squarciarono la loro tenda dall'interno e vagarono nella tundra
indossando nient'altro che gli abiti usati per dormire.
I nove componenti della spedizione
Tre
settimane dopo, vennero ritrovati cinque corpi lungo un pendio a
qualche centinaio di metri dal campo originale. Ci vollero altri due
mesi per trovare gli altri quattro i quali, curiosamente, indossavano
parte degli abiti appartenuti ai primi. Sopra i vestiti vennero rilevati
alti livelli di radiazioni. Oltre a queste anomalie vennero riscontrati
anche gravi traumi interni, tra cui fratture al cranio e alle costole
ma i ricercatori russi riferirono di non aver trovato segni di
aggressione e chiusero il caso poco tempo dopo.
Il gruppo era composto da studenti e laureati della Ural State Technical University,
esperti in spedizioni in aree selvagge. Il viaggio, organizzato dal
ventitreenne Igor Dyatlov, aveva lo scopo di esplorare le pendici del
monte Otorten nella parte settentrionale della catena degli Urali e
iniziò il 28 gennaio 1959. Yury Yudin, l'unico sopravvissuto, si ammalò
prima che la spedizione raggiungesse le zone più isolate e si fermò in
un villaggio vicino. Gli altri nove proseguirono e, da quello che si
evince dalle fotografie sviluppate dai rullini recuperati dagli
investigatori, la squadra di Dyatlov si accampò nelle prime ore della
sera del 2 febbraio sulle pendici di una montagna vicino al Ortoten.
Quella montagna viene chiamata dalla tribù locale dei Mansi, "Kholat Syakhl" che si traduce presumibilmente in
"montagna dei morti ", ma trattando una storia del genere, vorrei
prendere con le pinze un nome così inquietante. Sta di fatto che la
decisione di accamparsi in quel punto aveva poco senso: il gruppo si
trovava a circa un chilometro e mezzo dal confine del bosco, dove
avrebbe potuto trovare rifugio dalle condizioni climatiche estreme. Non
era così tardi e non erano costretti ad accamparsi in tutta fretta
quindi la scelta della posizione è, se non ingiustificabile, quantomeno
discutibile."Dyatlov probabilmente non voleva scendere più in basso o aveva deciso
di fare pratica nell'accamparsi sui pendii di montagna", ha raccontato
Yudin al St. Petersburg Times nel 2008.
Quell'accampamento per la notte fu l'ultimo della spedizione. Dyatlov
aveva preannunciato che la squadra avrebbe raggiunto dei mezzi di
comunicazione il 12 febbraio, premettendo che avrebbero potuto
impiegarci comunque più tempo del previsto. L'allarme venne lanciato non
prima del 20 febbraio e l'accampamento venne ritrovato dalle squadre di
soccorso solo il 26 febbraio.
Quando gli investigatori
raggiunsero il luogo, notarono che la tenda era squarciata dall'interno e
trovarono le impronte di otto o nove persone che si allontanavano in
direzione del limite superiore del bosco. Le scarpe e l'attrezzatura
erano state abbandonate e le impronte sembravano quelle di piedi nudi o
che indossavano solamente delle calze. In altre parole, sembrava che
avessero rotto la tenda per uscirne in tutta fretta e correre
affannosamente nella neve alta fino alla cintola, ma non c'erano prove
dell'arrivo di aggressioni esterne o interne al gruppo.
I primi
due corpi vennero ritrovati presso il limite del bosco sotto un pino
gigante. Come già accennato, il bosco distava circa un chilometro e
mezzo dal campo; gli investigatori scrissero che le impronte sparivano a
circa un terzo del percorso, probabilmente a causa del tempo, in fondo
erano passati molti giorni. Entrambi i cadaveri indossavano solo
biancheria intima ed erano scalzi. Secondo i rapporti ufficiali,
i rami dell'albero erano rotti, il che suggeriva un tentativo di
arrampicata. Inoltre, nelle vicinanze vennero ritrovati anche i resti di
un fuoco.
Altri tre corpi, tra cui quello di Dyatlov, rinvenuti in altri punti
tra l'accampamento e l'albero, davano l'aria di essere diretti verso il
campo. Uno di loro, Rustem Slobodin, aveva il cranio fratturato, anche
se non si trattava di una ferita fatale. L'indagine venne chiusa dopo
che i medici decretarono la morte per ipotermia .
Passarono altri
due mesi prima che gli altri quattro corpi venissero rinvenuti sotto
circa tre metri e mezzo di neve in un burrone, poche decine di metri più
in basso dell'albero. Fu la scoperta più raccapricciante. Erano morti
tutti per qualche trauma ma mancavano segni esterni. Nicolas
Thibeaux-Brignollel aveva il cranio fratturato, sia Alexander Zolotariov
che Ludmila Dubinina avevano le costole rotte e a quest'ultima mancava
anche la lingua.
È possibile che il gruppo fosse alla ricerca di
aiuto, pur trovandosi nel bel mezzo del nulla e senza l'attrezzatura
adatta per fronteggiare le temperature sotto lo zero, prima di cadere in
un burrone. Ma questo non spiega l'assenza della lingua di Dubinina. E
mentre alcuni all'epoca ipotizzarono che gli esploratori fossero stato
attaccati dagli uomini delle tribù dei Mansi, i medici legali
dichiararono che i traumi rilevati necessitavano di una forza maggiore a
quella di un essere umano per essere inflitti, soprattutto se si
considera che mancavano tracce esterne.
"Le fratture erano della
stessa portata di quelle causate da un incidente d'auto " dichiarò Boris
Vozrozhdenny, uno dei medici che lavorò al caso, nei documenti a cui ha
avuto accesso il Times.
Le cose si fanno più strane. Gli ultimi quattro rinvenuti erano più
coperti rispetto ai primi, a quanto pare avevano prelevato dei vestiti
dagli altri cadaveri per continuare il loro viaggio senza meta.
Zolotariov, ad esempio, indossava il cappotto e il cappello della
Dubinina, mentre lei a sua volta aveva avvolto attorno ad un suo piede
un pezzo dei pantaloni di lana di uno dei corpi ritrovati sotto al pino.
Tanto per complicare la questione, vennero rilevate tracce di
radioattività sui loro abiti.
La radioattività è difficile da
giustificare, ma il resto del caso ha una spiegazione più plausibile
rispetto agli alieni e agli esperimenti nucleari che molti amano tirare
in ballo. "L'undressing paradossale"
è un fenomeno rilevato nei casi di ipotermia, tanto quanto il delirio.
La spiegazione più probabile è che l'accampamento sia stato sepolto da
una valanga, il che spiegherebbe la tenda sventrata e alcuni dei traumi.
Rimanendo sepolti sotto la neve, è molto probabile il sopraggiungere
dell'ipotermia, il che spiegherebbe anche perché gli studenti partirono
in cerca di aiuto senza portarsi dietro alcuna attrezzatura. Dato che
cinque membri del team sono stati dichiarati morti per l'esposizione a
temperature basse, questo scenario resta il più plausibile .
Eppure le traccie di radioattività restano veramente strane, così
come il trattamento riservato all'indagine stessa. Dopo la chiusura del
caso, i documenti relativi vennero sigillati e non furono riaperti sino
agli anni Novanta. Mi sono interessato per un po' alla questione e ho
cercato di scovare nuove informazioni ma le mie richieste alle varie
agenzie di intelligence degli Stati Uniti non hanno portato a molto. La
causa dell'incidente è ancora da chiarire, ma le interviste rilasciate
dal principale investigatore che seguì la vicenda, Lev Ivanov, all'epoca
in cui i documenti vennero riaperti, gettano nuove luce sulla stranezza
del caso.
Ivanov fu il primo a notare che i corpi e gli attrezzi
presenti erano radioattivi, dichiarando che il suo contatore Geiger
impazzì nei pressi dell'accampamento. Rivelò anche che i funzionari
sovietici gli chiesero di chiudere il caso, nonostante le segnalazioni del febbraio e marzo del 1959 dell'avvistamento di "sfere volanti luminose" nella zona.
"All'epoca
sospettavo e ora sono quasi sicuro che quegli oggetti avessero una
connessione diretta con le morti degli esploratori", ha detto Ivanov al
giornale kazako Leninsky Put in un'intervista scovata dal Times.
Un
altro gruppo di studenti accampati a circa 48 chilometri dal primo
gruppo riportò simili avvistamenti nello stesso periodo. In una
testimonianza scritta, uno di loro dichiarò di aver visto "un
corpo circolare luminoso volare sopra al villaggio da sud-ovest verso
nord-est. Il disco aveva praticamente le dimensioni della Luna piena ed
emanava una luce bianco-blu circondata da un alone blu. L'alone
lampeggiava in maniera simile ai lampi osservati da lontano. Quando il
corpo scomparve oltre l'orizzonte, il cielo rimase illuminato per
qualche minuto in quella stessa direzione."
La teoria principale, considerando la riservatezza che circonda il
caso, la radioattività rilevata e l'aspetto di alcuni dei corpi,
descritti come "molto abbronzati" da un ragazzino che aveva assistito ai
funerali della vittime, è che il gruppo in qualche modo sì imbatté in
un test militare sovietico. Ma, assumendo che i report corrispondano al
vero, la causa dei traumi subiti da alcuni membri del gruppo tutt'ora
non è nota.
È possibile che uno di loro avvistò qualche strana
luce in cielo e tutti si spaventarono a morte fuggendo per salvarsi, ma
non esistono prove di esplosioni nella zona, escludendo qualche sorta di
test nucleare o simili. Tuttavia, anche questa ipotesi non spiega le
fratture del cranio. Alcune potrebbero essere state causate da una
caduta nel burrone ma, a voler essere precisi, la ferita al cranio di
Slobodin non gli stava impedendo di fare ritorno al campo.
La
presenza dei resti di un fuoco suggerisce che alcuni membri del gruppo
fossero ancora nel controllo delle proprie facoltà mentali: la psicosi non è uno degli effetti noti causati
dall'esposizione acuta alle radiazioni, ma questo non spiega perché
siano fuggiti senza portarsi dietro l'attrezzatura. Si è trattato di un
incidente o di un'insabbiatura? La spiegazione più semplice è
probabilmente la migliore: la squadra venne travolta da una valanga e,
in stato di delirio indotto dall'ipotermia, fuggì in cerca di aiuto. Le
valanghe sono incredibilmente potenti e possono causare il genere di
traumi contusivi rilevati su alcuni dei corpi.Tuttavia, la mancanza di risposte esaurienti da parte dell'inchiesta ha
reso questo caso uno degli argomenti preferiti di complottisti e
cacciatori di alieni, perché, in effetti, è una vicenda molto strana.
L'investigatore Ivanov è morto e a meno che non vengano diffusi altri
documenti militari segreti, cosa che in molti continuano a richiedere, i
dati a nostra disposizione non sono sufficienti a trarre delle
conseguenze soddisfacenti e probabilmente quello che è stato battezzato
come il mistero del Passo Dyatlov continuerà a mantenersi tale ancora a
lungo.
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