Qualche settimana fa, in un silenzio quasi surreale da parte dei
maggiori media, si è celebrato il terzo anniversario dell’incidente
nucleare di Fukushima, avvenuto l’11 Marzo 2011
In realtà, al di là di qualche sporadica notizia, legata per lo più a
eventi contingenti, pare che su tutta la faccenda sia stato steso un
velo. Una brutta faccenda quella dell’incidente alla centrale nucleare
giapponese. In primo luogo perché in pochi credevano che sarebbe potuto
avvenire (e, invece, è avvenuto) e poi perché, nonostante l’impegno e la
partecipazione di molti Paesi del mondo (forse interessati più ad
evitare conseguenze ancora peggiori di quelle già disastrose che si
verificarono nelle prime settimane che animati da puro spirito
umanitario), la situazione in quella parte del Giappone non pare
migliorare, anzi.
Pare che il dilemma, esclusivamente giornalistico e scientifico, se
siano stati maggiori i danni causati dall’incidente nucleare di Cernobyl
o quelli della centrale di Fukushima, sia stato definitivamente
risolto: ha vinto il Giappone.
Senza contare che non si sarebbe ancora riusciti a risolvere in modo
definitivo il problema dello spegnimento del reattore 3 (il più
pericoloso dopo il terremoto). Nella sua vasca sono presenti 514 barre
pari a 90 tonnellate di combustibile nucleare a base di plutonio con una
temperatura eccessivamente elevata. Il rischio è che la temperatura
salga eccessivamente con conseguente prosciugamento dell’acqua della
vasca e con la fusione delle barre di combustibile. Ciò provocherebbe un
nuovo disastro nucleare con il rischio che le correnti aeree potrebbero
trasportare le radiazioni verso le coste occidentali del continente
americano.
Ma esiste anche un altro motivo di preoccupazione: il cosiddetto
“corium”, il combustibile fuso, potrebbe avere raggiunto le acque delle
falde sotterranee, facendosi strada sia nell’interno che verso l’Oceano
Pacifico.
Se a questo si aggiunge il rischio di far finire nell’oceano le acque
utilizzate per il raffreddamento dei reattori lo scenario appare
tutt’altro che tranquillizzante. Anzi proprio quest’ultimo problema pare
sia quello che desta maggiori perplessità. La Tepco, la società
proprietaria della centrale nucleare, ha proposto di scaricare
nell’oceano Pacifico le circa 380.000 tonnellate di acqua radioattiva
finora accumulate nei serbatoi costruiti attorno alla centrale con tre
reattori in meltdown. Il problema è che queste acque sarebbero non
completamente decontaminate. L’acqua versata sui reattori infatti entra
in contatto con il materiale radioattivo e diventa a sua volta
radioattiva. Viene poi sottoposta ad una decontaminazione che però
riguarda soprattutto il cesio, l’elemento radioattivo più abbondante.
Altri elementi radioattivi, come il trizio e lo stronzio, presenti in
quantità minori permangono. Alla fine dello scorso anno l’Iaea, dopo un
sopralluogo sul posto ha affermato che quella proposta dalla Tepco
potrebbe essere una “possibilità”.
In realtà la situazione delle acque intorno al Giappone è già grave dato
che ogni giorno vengono scaricate nel Pacifico 300 tonnellate di acqua
della falda sotterranea contaminate dalla radioattività di Fukushima
(ultimamente si è parlato di una quantità ancora maggiore, 400
tonnellate al giorno). Senza considerare che la radioattività non è
”solubile”, non si diluisce omogeneamente nella vastità dell’oceano. Al
contrario tende ad essere assorbita dalle piante e dai pesci ed entra
nella catena alimentare dove rimane per tempi lunghissimi.
Molto è stato detto circa le procedure inadeguate adottate dall’impianto
di Fukushima, prima, durante e dopo il disastro. E molto è stato
scritto poco dopo l’incidente circa la convenienza o meno di produrre
energia, in Giappone come in altre parti del mondo, ricorrendo al
nucleare.
In realtà se, da una parte, è noto a tutti che le energie rinnovabili
(solare, eolico e geotermico, in primis) sono sottoutilizzate (forse
anche a causa della pressione esercitata da Paesi che hanno basato la
propria economia sull’estrazione di combustibili fossili, gas e
petrolio); dall’altra, troppo poco è stato detto circa le conseguenze
che potrebbe avere sulla vita di tutti il ricorso a fonti energetiche
come il nucleare. Pare, infatti, che la lezione conseguenza
dell’incidente di Cernobyl sia stata dimenticata. E mentre ancora non è
possibile stimare quali saranno i danni causati dall’impianto della
Tepco (secondo alcune stime approssimative solo per bonificare Fukushima
saranno necessari 11miliardi di dollari, che nessuno dice chi dovrà
pagare, e certamente diversi decenni), ancora una volta pare che i
politici non abbiano compreso i rischi che il ricorso al nucleare
comporta. Rischi che riguarderebbero non solo il Giappone, ma molti
Paesi: “Le radiazioni causate dai guasti dei bacini di combustibile
esaurito in caso di un altro sisma potrebbero raggiungere la West Coast
in pochi giorni. Il che fa sì assolutamente che il contenimento sicuro e
la protezione di questo combustibile esaurito sia un problema di
sicurezza per gli Stati Uniti”. L’esperto nucleare Arnie Gundersen e il
medico Helen Caldicott hanno entrambi affermato che, se una delle
piscine di stoccaggio del combustibile di Fukushima dovesse collassare,
la gente dovrebbe evacuare l’Emisfero Settentrionale del pianeta. Non a
caso l’ex consulente dell’ONU, Akio Matsumura, ha definito la rimozione
dei materiali radioattivi dai bacini del combustibile di Fukushima “una
questione di sopravvivenza umana”.
Il 24 marzo 2014 si è celebrato anche un altro anniversario: 25 anni fa,
il 24 marzo appunto, è avvenuto il disastro della Exxon Valdez. Una
petroliera versò più di 11 milioni di galloni di greggio nel mare
intorno l’Alaska, ricoprendo 1.300 miglia di costa. Il ripetersi di
questi incidenti pare stia diventando una costante e solo una forte
pressione mediatica ha impedito che si diffondessero. Solo pochi giorni
fa, un’altro incidente analogo ha caratterizzato le acque statunitensi:
il rimorchiatore Miss Susan, che trasportava 924.000 galloni di
combustibile pesante, ha urtato contro una nave battente bandiera della
Liberia, versando decine di migliaia di galloni di carburante e
costringendo a chiudere la via navigabile. Dai documenti ufficiali pare
che, negli ultimi 12 anni, il rimorchiatore Miss Susan era già stato
coinvolto in ben 20 incidenti segnalati alla Guardia Costiera, a volte
proprio mentre trainava chiatte contenenti petrolio o bitume.
Anche la BP pare essere tornata sul luogo dove quattro anni fa causò
quello che molti hanno indicato come il peggiore disastro ambientale
della storia degli Stati Uniti. Proprio nei giorni scorsi infatti pare
che BP abbia firmato un accordo con l’Environmental Protection Agency
per rimuovere il divieto, impostole nel 2012 (quell’anno l’agenzia
americana per la protezione ambientale concluse che BP non aveva
provveduto a risolvere problemi che avevano portato all’esplosione del
2010 che uccise 11 persone, riversando milioni di litri di petrolio
nell’Oceano e contaminando centinaia di chilometri di spiagge). BP
tornerà nel Golfo del Messico a cercare petrolio e a scavare sul fondo
dell’Oceano grazie a nuovi contratti di sfruttamento.
E anche il Giappone pare non aver compreso le conseguenze derivanti
dalla politica energetica adottata: il governo di Shinzo Abe ha
annunciato che tornerà al nucleare (dimenticando la promessa dell’ex
premier Naoto Kan, che nel 2012 aveva assicurato un «Giappone
nuclear-free» entro il 2040). Non solo, ma per farlo, tornerà ad
avvalersi dei servizi della Tepco (Tokyo Electric Power Company).
La verità è che, come per la Exxon e per la BP, così per la Tepco (che è
la più grande compagnia elettrica del Giappone e la quarta al mondo),
quando un Paese si trova di fronte un colosso economico, che, nonostante
enormi perdite (ha collezionato perdite nette per oltre 27 miliardi
dollari senza contare il risarcimento, la decontaminazione delle aree
colpite e lo smantellamento dei reattori) continua a godere del sostegno
finanziario delle maggiori banche del mondo, allora è molto difficile
dimenticare l’influenza che questi “mostri” possono esercitare sulle
scelte politiche.
E allora è possibile che un Paese si dimentichi di ciò che è avvenuto, e
sta ancora avvenendo, a Fukushima e consegni la vita di milioni di
cittadini nelle mani di queste società non una volta, ma 17. Tanti
saranno, infatti, i reattori nucleari gestiti dalla Tepco in Giappone
(tra cui la Centrale elettrica di Kashiwazaki Kariwa, la centrale
nucleare più grande al mondo).
C.Alessandro Mauceri
Spazio: ultima frontiera. Credere che si sia soli nell'universo è come credere che la Terra sia piatta. Come disse l'astrofisico Labeque al palazzo dell'UNESCO, durante il congresso mondiale del SETI di Parigi del Settembre 2008, " SOMETHING IS HERE", "Qualcosa è qui", e I TEMPI SONO MATURI per farsene una ragione. La CIA, l'FBI, la NSA, il Pentagono, e non solo, lo hanno confermato!
Statistiche
Sunday, March 30, 2014
Energia nucleare? No, grazie! - L’incidente di Three Mile Island
Il più grave incidente nucleare nella storia degli Stati Uniti, 35 anni fa, che nessuno capì per molte ore e che bloccò lo sviluppo delle centrali americane per decenni
Nei cinema americani, negli ultimi giorni di marzo del 1979, era in programmazione un thriller di James Bridges, Sindrome cinese.
Racconta la storia di un giornalista televisivo che scopre un tentativo
di insabbiamento di gravi rischi per la sicurezza in un impianto
nucleare. Durante il film, uno scienziato descrive gli effetti
catastrofici di un incidente dicendo che «potrebbe rendere inabitabile
un’area grande come la Pennsylvania». Fu un film di un certo successo –
nel cast ci sono Jane Fonda, Michael Douglas e Jack Lemmon – che fu
nominato per diversi Oscar e, pochi giorni dopo la sua uscita, avvenne a
Three Mile Island il peggior incidente avvenuto nella storia
dell’energia nucleare civile prima di Chernobyl e Fukushima.
Al centro della storia
Il secondo reattore (“Unit 2″) dell’impianto nucleare di Three Mile
Island, una decina di chilometri a sud di Harrisburg, capitale della
Pennsylvania, era stato inaugurato il 19 settembre 1978. Alla cerimonia
aveva partecipato anche il vicesegretario per l’Energia John F. O’Leary,
un convinto sostenitore dell’energia nucleare nell’amministrazione
Carter, che dopo un discorso in cui definì il nuovo impianto «uno
scintillante successo» se ne partì dalla Pennsylvania con un fermacarte a
forma della centrale di Three Mile Island, che per molti mesi rimase
sulla sua scrivania di Washington. Quando cominciò a produrre
elettricità per la rete commerciale, il 30 dicembre 1978, l’impianto
sulle rive del fiume Susquehanna era il 72esimo reattore per la
produzione di energia elettrica ad entrare in funzione negli Stati
Uniti.
Tre mesi dopo successe qualcosa che fece scomparire il fermacarte
dalla scrivania di O’Leary, già importante dirigente dell’Atomic Energy
Commission – e diede un durissimo colpo alla diffusione dell’energia
nucleare negli Stati Uniti.
Al centro della
storia c’è il reattore ad acqua ad alta pressione dell’Unità 2 – una
sorta di idolo tecnologico moderno, che incute insieme soggezione per la
sua complessità e paura per la sua potenza. È un cilindro di acciaio
costruito dalla Babcock & Wilcox, con pareti di metallo spesse tra i
venti e i trenta centimetri, pesante quattrocento tonnellate, alto
dodici metri e largo cinque. Al suo interno c’è il nocciolo: l’uranio è
in piccole palline collocate in barre circolari di una lega speciale a
base di zirconio – in un reattore come quello di Three Mile Island ce ne
sono circa quarantamila – inserite verticalmente nel reattore e
concentrate in uno spazio di circa quattro metri per quattro.
Nel nocciolo avviene un procedimento fisico che l’uomo ha scoperto e
cominciato a sfruttare da meno di cento anni: la fissione nucleare. Un
elemento particolarmente pesante, l’uranio, si divide in due nuclei più
leggeri liberando energia. Nel processo di fissione di un atomo di
uranio vengono liberati anche un piccolo numero di neutroni, uno o due,
che in particolari circostanze possono essere utilizzati per “rompere”
altri atomi di uranio. Questo processo è chiamato “reazione a catena” e,
quando un reattore ha abbastanza uranio al suo interno da sostenerla,
si dice che “diventa critico”. L’unità 2 di Three Mile Island divenne
critica esattamente un anno prima dell’incidente, anche se cominciò la
produzione di elettricità per uso commerciale alcuni mesi più tardi.
I neutroni emessi durante la fissione sono sono troppo veloci, e per
innescare altre fissioni hanno bisogno di essere rallentati da un
“moderatore”. Per farlo si utilizzano diversi materiali, solitamente
grafite o, nel caso del reattore di Three Mile Island, acqua distillata
con una piccola aggiunta di acido borico. Questa scorre attraverso il
reattore a circa trecento gradi e, perché non si trasformi in vapore,
deve essere tenuta ad altissima pressione. Il moderatore si riscalda
all’interno del reattore, assorbendo il calore generato dalla fissione
nucleare. Al di fuori, l’acqua ad alta pressione cede calore al
refrigerante, poi rientra nel reattore in un sistema a circuito chiuso
azionato da quattro pompe, ciascuna così potente da aver bisogno di
tanta elettricità quanto una piccola cittadina.
Nel reattore come quello al centro della nostra storia, sia il
refrigerante che il moderatore sono costituite da acqua. Il refrigerante
assorbe il calore del moderatore e circola in un circuito separato, e –
con qualche complicazione che qui non ci interessa – muove le grandi
turbine che generano elettricità.
Intorno al reattore, chilometri e chilometri di tubi e centinaia di
chilometri di cavi elettrici lo fanno funzionare e alimentano una lunga
serie di sistemi di controllo. Nelle prime ore del 28 marzo 1979, il
reattore nucleare dell’Unità 2 stava lavorando in modalità automatica al
97 per cento della sua capacità. Il vicino reattore gemello, l’Unità 1,
era spento da un mese e mezzo per la sostituzione del combustibile
nucleare e, dopo una serie di test di controllo, sarebbe stato riacceso
qualche tempo dopo.
L’incidente
Dalle undici di sera del 27 marzo 1978, nella stanza di controllo
dell’Unità 2 di Three Mile Island c’erano Craig Faust e Edward
Frederick, entrambi con un diploma di scuola superiore e con esperienza
sui sottomarini nucleari della Marina americana. La stanza di controllo è
una grande sala con centinaia di indicatori su decine di pannelli, in
cui le ore passavano solitamente tranquille. Un interfono che restituiva
voci gracchianti e distorte metteva in comunicazione i tecnici con
l’Unità 1 e con il mondo esterno.
Il responsabile del turno di notte, che sarebbe finito alle sette del
mattino, era William Zewe, che aveva un curriculum simile a quello di
Faust e Frederick e stava nel suo ufficio a fianco della stanza di
controllo, sommerso dalle carte. La squadra di Zewe era composta da
sedici persone, il personale standard per il funzionamento quotidiano di
un reattore di quel tipo. In una struttura grande come un centro
commerciale – come l’Unità 2 – l’impressione era che la centrale
funzionasse da sola.
Due tecnici addetti alle riparazioni si trovavano nei sotterranei
per un intervento di ordinaria manutenzione: un piccolo tubo
nell’impianto di raffreddamento secondario si era otturato. Nonostante
oltre dieci ore di lavoro, però, l’inconveniente non era ancora stato
risolto, e il caposquadra Frederick Scheimann scese poco prima delle 4
del mattino a controllare la situazione. Era appena salito sopra una
conduttura quando cominciò a sentire, raccontò, «forti rumori come
quelli di un tuono, come se ci fosse qualche treno merci». Un
altoparlante annunciò: «Problema alla turbina, problema al reattore».
Era la voce di Zewe. Scheimann si precipitò nella sala di controllo,
dove pulsavano da pochi istanti decine di luci.
Un errore umano o dell’impianto elettrico – non si è mai capito con
certezza – aveva accidentalmente interrotto il funzionamento di una
pompa e quindi il flusso d’acqua nel reattore, causando un
surriscaldamento del refrigerante principale. Gli impianti automatici se
ne erano accorti e avevano attivato l’immediato spegnimento della
turbina e del reattore nucleare dell’Unità 2, insieme a una complessa
serie di impianti automatici di emergenza. Circa un secondo dopo, tre
pompe d’acqua di emergenza entrarono in funzione per compensare
l’interruzione del flusso, come previsto dai progettisti dell’impianto.
Trentasette secondi dopo le 4 del mattino di quel 28 marzo, qualcosa
andò storto.
Una catena di errori
Nel reattore, la brevissima interruzione fu sufficiente a causare uno
sbalzo nella pressione dell’acqua presente all’interno. Una valvola di
sfogo si aprì per eliminare la pressione in eccesso, ma rimase bloccata
in posizione aperta: di conseguenza, l’acqua del reattore prese a uscire
al ritmo di circa 800 litri al minuto e a scaricarsi in un serbatoio.
Avrebbe continuato a farlo per oltre due ore, invece dei dieci secondi
previsti dai progettisti. Incidentalmente, anche le tre pompe di
emergenza avevano un problema: due delle valvole che permettevano
all’acqua di raggiungere parti del sistema di raffreddamento principale
erano rimaste chiuse, forse durante alcuni interventi di manutenzione
nei giorni precedenti. Anche le pompe di emergenza, insomma, non furono
completamente efficaci.
Ma una centrale nucleare tende a non lesinare nei sistemi di
sicurezza, almeno sulla carta, e dopo due minuti dall’inizio
dell’incidente entrarono in funzione altre due pompe di un sistema ad
alta pressione che avrebbe potuto compensare l’acqua che si continuava a
perdere dal reattore attraverso la valvola bloccata, mantenendo il
nocciolo adeguatamente avvolto nell’acqua e quindi raffreddato. Gli
impianti automatici stavano facendo il loro lavoro per limitare le
conseguenze.
Il personale della centrale decise invece di spegnere le due pompe
aggiuntive. Non solo, ma con un’altra mossa che aggravò la situazione
decisero anche di aprire un sistema di scolo per togliere altra acqua
dal reattore. Letta in una ricostruzione lineare e posteriore degli
eventi, queste azioni sembrano pure mosse suicide, ma in realtà il
personale stava cercando di gestire al meglio la situazione in base alla
propria limitata esperienza.
Quello che era successo – e che fu decisivo nel rendere l’incidente,
di per sé non troppo grave, il più grave nella storia del nucleare
civile fino ad allora – era che la strumentazione della sala di
controllo era stata letta erroneamente e i tecnici avevano capito che
nel reattore ci fosse troppa acqua di raffreddamento e non troppo poca.
Tra gli indicatori non ce n’era uno unico e chiaro della quantità di
acqua di raffreddamento nel reattore: il personale era stato istruito a
stimarla da un altro indicatore, quello che monitorava la quantità di
acqua nel pressurizzatore – un serbatoio separato e che era collegato
con il sistema di raffreddamento primario. Se il pressurizzatore era
pieno, avevano imparato i tecnici, anche il reattore lo era.
L’unico particolare che poteva far loro pensare a una lettura diversa
della situazione era il termostato della valvola bloccata, che
continuava a segnalare una temperatura decine di gradi superiori alla
norma. Ma un altro strumento diceva che alla valvola era stato inviato
da tempo il comando di spegnersi, e Zewe decise di ignorare
quell’indicazione. Il serbatoio dove si raccoglieva l’acqua che
fuoriusciva dalla valvola bloccata si riempì intorno alle 4.20; l’acqua
ruppe il tappo e cominciò ad allagare il pavimento della stanza del
reattore, ma quando entrarono in funzione le pompe per drenare
quell’acqua tutti i tecnici presenti furono d’accordo nel credere che si
trattasse di un errore della strumentazione e le fecero spegnere.
Nessuno, tra il personale presente a Three Mile Island quel giorno,
era un ingegnere nucleare – se è per questo, nessuno era neppure
diplomato al college. La Nuclear Regulatory Commission, che nel 1975
aveva sostituito il precedente organo di controllo del nucleare
americano, l’Atomic Energy Commission, richiedeva soltanto che il
personale avesse frequentato il corso formazione di un anno organizzato
dalle società stesse che gestivano le centrali – nel caso di Three Mile
Island, la Metropolitan Edison – che si concentrava soprattutto
sull’ordinaria amministrazione. Nessuno aveva le competenze necessarie a
gestire complicate e rischiose situazioni di emergenza.
Nelle prime ore del mattino del 28 marzo, la valvola rimasta bloccata
aperta continuò a far defluire centinaia e centinaia di litri d’acqua
dal reattore. La temperatura nell’edificio del reattore salì dai circa
cinquanta gradi usuali a oltre 75, così come fece la pressione
atmosferica. La squadra di Zewe, tenendo d’occhio solo la situazione nel
pressurizzatore e ingannata dalla strumentazione, smontò ancora
all’oscuro di questo fatto cruciale, che venne scoperto e risolto solo
per un’intuizione dal responsabile del turno successivo Brian Mehler.
Mehler era arrivato sulla scena verso le sei del mattino e, dopo una
ventina di minuti, aveva preso la prima decisione giusta della giornata:
mandare un nuovo comando di chiusura alla valvola, perché la sua
temperatura era troppo alta. Il deflusso di acqua dal reattore venne
sistemato solo alle 6.22 del mattino.
Nella sala di controllo, a quell’ora, c’erano già parecchi tecnici
della centrale. Erano cominciate le telefonate tra i responsabili della
centrale e gli alti dirigenti della Metropolitan Edison. Tutti cercavano
di capire che cosa stesse succedendo nella stanza del reattore, il
centro di tutta la storia, su cui si potevano avere informazioni solo
attraverso gli strumenti e dove nessun essere umano sarebbe entrato fino
a più di un anno dopo.
Nel grande cilindro di acciaio del reattore, rimasto privo di un
adeguato raffreddamento, era cominciata la fusione del nocciolo. L’acqua
aveva continuato a perdere gradualmente pressione e si era trasformata
in vapore rovente, che avvolse le barre di uranio e rese molto più
difficile il raffreddamento per le ore successive. Molti sistemi di
controllo e di emergenza, descrissero i testimoni, sembrarono non
funzionare o funzionare male proprio nel momento del bisogno. Alle 7.24
del mattino, poco dopo l’arrivo del direttore dell’impianto Gary Miller,
i tecnici dovettero dichiarare la prima “emergenza generale” nella
quasi trentennale storia del nucleare civile americano. Provarono a
chiamare subito la Nuclear Regulatory Commission, ma a quell’ora del
mattino negli uffici di Philadelphia non c’era nessuno, e dovettero
lasciare un messaggio nella segreteria telefonica.
Il surriscaldamento delle barre di uranio, che dopo circa un’ora
dall’inizio dell’incidente erano per metà scoperte, portò al loro
scioglimento e al rilascio di grandi quantità di materiale radioattivo.
Circa un terzo del nocciolo, venne stimato successivamente, si era
letteralmente sciolto. Migliaia di litri di acqua provenienti dal
reattore vennero pompati “per errore” – il personale disse di non
essersi reso conto della contaminazione – in un altro edificio meno
sicuro rispetto a quello principale.
Di tutto questo, i tecnici della sala di controllo non erano ancora a
conoscenza nel pomeriggio del 28 marzo, oltre dieci ore dopo l’inizio
dell’incidente. Presero alcune decisioni per cercare di riportare la
pressione del reattore a livelli normali, ma senza aver capito bene che
cosa fosse successo fino a quel momento. I tecnici nella sala di
controllo e gli ingegneri venuti ad aiutarli agirono per diverso tempo
senza una strategia precisa e provando diverse opzioni perché tutte le
altre si erano esaurite. Il raffreddamento forzato del reattore venne
ristabilito solo intorno alle otto di sera del 28 marzo, dopo molte ore
di tentativi. Sarebbe andato avanti per diverse settimane.
Un brusco risveglio
Passarono due giorni e nessuno sembrava essersi reso conto, né
all’impianto né alla NRC, della gravità dell’incidente. Poi,
rapidamente, la situazione precipitò. Il 30 marzo arrivarono i risultati
delle analisi di un campione di un centinaio di grammi d’acqua presi
dall’edificio del reattore, che mostrarono livelli di radiazione
spaventosi. L’idea che il reattore fosse rimasto stabile, o al massimo
una barra di uranio su cento avesse subito qualche “crepa” – come
descrisse la situazione il presidente della NRC ad alcuni membri del
Congresso il 29 marzo – doveva essere scartata per affrontare la
rischiosa realtà: che parte del reattore si fosse danneggiata gravemente
e che tenerlo sotto controllo sarebbe stato tutt’altro che scontato.
Fino ad allora, la possibilità di una fusione parziale del
nocciolo sembrava un’ipotesi di fantascienza, il risultato quasi
impossibile di una catena di eventi statisticamente improbabili. Ma i
dati mettevano davanti solo una possibile descrizione di che cosa fosse
successo dentro il grosso idolo di metallo.
Da Three Mile Island arrivavano altre cattive notizie: c’erano state
fuoriuscite improvvise di gas radioattivi dall’Unità 2 e il vento le
stava portando verso i paesi vicini alla centrale. I tecnici della NRC
presero ad analizzare nuovamente i dati in loro possesso e conclusero
che nella parte alta del reattore, probabilmente, si era formata
un’inattesa bolla di idrogeno, che si stava lentamente gonfiando. Per
diverse ore, durante le quali ci furono consultazioni frenetiche con i
maggiori esperti del paese in materia di energia nucleare, nessuno seppe
dire se ci sarebbe stato ossigeno sufficiente a scatenare un incendio o
un’esplosione nel reattore, potenzialmente devastante.
Le autorità statunitensi e della Pennsylvania cominciarono a
preparare piani di evacuazione e dissero alla popolazione che quella
evacuazione si sarebbe potuta rendere necessaria. Centoquarantamila
persone abbandonarono le loro case nel fine settimana del 31 marzo e
primo aprile. Parte della durevole influenza che l’incidente di Three
Mile Island ebbe sull’opinione pubblica americana fu dovuta anche agli
annunci discordanti delle autorità, che cominciarono con il minimizzare
l’incidente e poco più tardi – come fece il governatore della
Pennsylvania Richard Thornburgh la sera del 30 marzo – invitarono madri
incinte e bambini in età prescolare a lasciare la zona.
Ma la sera del primo aprile l’allarme causato dall’idrogeno sembrò
rientrare. Nuovi calcoli e analisi tecniche mostrarono che non solo non
c’era ossigeno sufficiente a scatenare un’esplosione, ma l’idrogeno
stesso poteva essere rimosso con relativa facilità. Il presidente Carter
in persona – un ingegnere nucleare di formazione – andò in visita a
Three Mile Island cinque giorni dopo l’incidente, il che contribuì a
tranquillizzare la situazione. Ci volle ancora quasi un mese, fino al 27
aprile, prima che il reattore fosse pienamente sotto il controllo dei
tecnici e che potesse essere avviato uno spegnimento controllato. Il
reattore dell’Unità 2 non è stato mai più riacceso, mentre il reattore
dell’Unità 1 riprese le operazioni terminati i test ed è tuttora attivo.
Le conseguenze
Secondo le prime indagini successive, non venne dispersa nell’ambiente
una quantità di materiale radioattivo tale da destare preoccupazione.
L’interno dell’edificio di contenimento del reattore e un’altra
struttura vicina, però, erano allagati con circa quattromila metri cubi
d’acqua altamente radioattiva. Quello che distingue l’incidente di Three
Mile Island dai due disastri successivi di Chernobyl e di Fukushima è
che, a differenza degli ultimi due casi, l’edificio che contiene il
reattore non venne danneggiato, e questo permise di mantenere
all’interno quasi tutte le radiazioni.
L’opinione pubblica degli Stati Uniti reagì all’incidente in modo
estremamente negativo per l’industria nucleare: per molti anni non volle
saperne di costruire nuove centrali e nessuna venne autorizzata tra
l’inizio del 1979 e il 2012, mentre diverse in costruzione al momento
dell’incidente vennero bloccate. Molti sottolinearono che l’incidente di
Three Mile Island era stato una conseguenza di scarsa preparazione
tecnica, errori umani e cattiva regolamentazione del settore. La
sicurezza degli impianti era lasciata largamente all’iniziativa delle
società di gestione, mentre le autorità di controllo si erano dimostrate
molto spesso inclini a minimizzare i rischi – in modo non troppo
differente da quanto è stato rilevato di recente per il settore nucleare in India.
Un rapporto della Union of Concerned Scientists pubblicato il 26
gennaio 1979 raccomandava la chiusura di 16 delle circa settanta
centrali nucleari americane per una serie di lavori di ristrutturazione:
tra le sedici c’era anche il reattore 2 della centrale di Three Mile
Island. Nelle indagini successive venne fuori che modifiche all’impianto
in costruzione erano state richieste, ma non messe in pratica, fin
dalla fine degli anni Sessanta.
Nel 1981, introducendo una dettagliata ricostruzione dell’incidente per il New Yorker,
lo scienziato Daniel Ford scrisse: «Viste le scorrettezze regolamentari
prima dell’incidente e i numerosi avvertimenti sui punti deboli nella
sicurezza degli impianti, a lungo disponibili per le autorità federali,
resta qualche dubbio sul fatto che l’episodio a Three Mile Island debba,
in senso stretto, essere chiamato davvero “incidente”.»
Le operazioni di bonifica della struttura cominciarono subito e sono
finite ufficialmente nel 1993. Tutto il carburante nucleare nel reattore
è stato rimosso e portato in un deposito federale in Idaho. Le
operazioni di bonifica sono state lunghe e costosissime. Peter Bradford,
un ex membro della Commissione di Controllo sul Nucleare statunitense,
disse al New York Times: «Il durevole insegnamento di Three
Mile Island a Wall Street è stato che un gruppo di società che
gestiscono reattori autorizzati, né migliori né peggiori di altri,
possono trasformare un patrimonio di 2 miliardi di dollari in un lavoro
di bonifica da 1 miliardo in più o meno novanta minuti».
Ufficialmente, nessun essere umano si è fatto del male nell’incidente
del 28 marzo 1979. Nel 2008, l’istituto della sanità americano (NHI) concluse,
al termine di uno studio sull’incidenza dei tumori alla tiroide nelle
aree vicine alla centrale, che in due contee adiacenti a quelle della
centrale si è osservato un aumento dei casi tumorali a partire
rispettivamente dal 1990 e dal 1995, oltre dieci anni dopo l’incidente.
In alcuni anni, nota lo studio, c’è stata una crescita del 50 per cento
rispetto alle attese, ma «questi risultati, ad ogni modo, non forniscono
un nesso causale con l’incidente di TMI.»
Giovanni Zagni
Fonte
La NASA vuole catturare un asteroide e portarlo sulla Luna
Entro il 2025 la NASA ha in programma una missione in cui si cercherà di catturare un piccolo asteroide o staccarne un pezzo da uno gigante, e trasportarlo in orbita vicino alla Luna
Catturare un asteroide e spostarlo in orbita intorno alla Luna: è questo il piano ambizioso della NASA, che secondo il responsabile Charles Bolden costituirebbe il primo passo verso la colonizzazione di Marte. I motivi sono molteplici, come spiega il capo dell'agenzia spaziale statunitense.
Innanzi tutto una missione del genere è un passo importante per testare i sistemi di propulsione e altre tecnologie che potrebbero aiutarci ad arrivare su Marte. Inoltre sarebbe un'occasione per raccogliere maggiori informazioni sul sistema solare primordiale (che si celano appunto negli asteroidi, oltre che nelle comete), oltre che per sperimentare tecniche di estrazione di materiali dagli asteroidi.
Al lavoro su un asteroide
L'alternativa è quella di prendere di mira un asteroide che sia già di piccole dimensioni, prenderlo "al lazo" e depositarlo nell'orbita stabile. Solo dirlo sembra fantascienza, probabilmente metterlo in pratica creerà più problemi di quanti non se ne vogliano ammettere.
In ogni caso la missione è in programma entro il 2025. Uno dei candidati per i primi test potrebbe essere la capsula Orion, che farà il primo test di volo entro fine anno e dovrebbe partire per il primo volo con equipaggio nel 2021. Qualcuno vuole salire a bordo?
Elena Re Garbagnati
Fonte
Se il tuo PC è particolarmente lento, potrebbe essere spiato
A volte il pc
risulta estremamente lento, poi ci accorgiamo che sta faccendo uno dei
soliti aggiornamento-dati di routine. Tutto normale? In genere sì. Ma
non sempre, o almeno non sempre per tutti.
La Nsa, l’agenzia di
intelligence degli Stati Uniti, utilizza su larga scala dei software
dannosi, dei malware con cui effettua attività di monitoraggio.
L’agenzia, le cui attività di sorveglianza sono regolarmente fonte di
rivelazioni, ha sviluppato dei malware informatici che vengono utilizzati su larga
scala e che permettono di “piratare” i dati di milioni di computer, come
dicono gli ultimi documenti di Edward Snowden.
Secondo i nuovi report
presentati dall’ex consulente della Nsa e pubblicati mercoledì scorso
sul sito della Intercept, rivista online dall’ex giornalista del
“Guardian” Glenn Greenwald, la Nsa ha impiantato in milioni di computer
dei malware che vengono utilizzati per rubare i dati provenienti dalle
reti telefoniche e dalla rete Internet all’estero.
Questo
software, originariamente destinato solo a qualche centinaio di
obiettivi che non potevano essere controllati con i normali mezzi
convenzionali, è stato esteso «su scala industriale», secondo i
documenti pubblicati da Greenwald. Il sistema di raccolta automatica dei
dati – tramite un dispositivo chiamato “Turbina” – permette alla Nsa un
minimo utilizzo dell’intelligenza umana. I dati raccolti vengono
elaborati negli uffici centrali della Nsa, in Maryland (Stati Uniti
orientali), ma anche nel Regno Unito e in Giappone. L’agenzia di
controllo britannica, la Gchq, sembra aver svolto un ruolo molto
importante in questa operazione. Il candidato scelto da Barack Obama per
dirigere la Nsa, Michael Rogers, ha spiegato di volere «più
trasparenza» nelle azioni dell’agenzia di informazioni americana.In
certi casi, la Nsa usa Facebook come esca per infiltrare dei virus o dei
cookies nei computer dei “bersagli” per rubare i file. Il software, che
può essere installato in soli 8 secondi, può anche registrare le
conversazioni dal microfono del pc o scattare foto con la webcam dello
stesso computer. Questo software esiste dal 2004, ma sembra che venga
utilizzato su larga scala dal 2010. Alla domanda di un giornalista di
“Apf”, un funzionario della Nsa ha detto che queste operazioni sono
state condotte «al solo scopo di contro-spionaggio o di spionaggio
effettuato all’estero su affari nazionali o dipartimentali, e
nient’altro». Questo è il primo documento pubblicato da Glenn Greenwald
da quando lavora nel gruppo mediatico “First Look Media”, lanciato dal
fondatore di eBay, Pierre Omidyar.
Fonte: libreidee.org
"UFO fenomeno reale" ? Ma non è questo il punto!
445 casi ufologici ufficiali, registrati dal 1972 ad oggi dall'Aeronatica Militare italiana fanno gridare a qualcuno che il fenomeno UFO è reale. Ma và!? Ma perchè c'era ancora qualche dubbio?
Anche i scettici più incalliti hanno riconosciuto l'esistenza del fenomeno UFO, nel significato più stretto del termine, cioè oggetto volante non identificato. Il problema è un altro! E' ora di fare il salto di qualità. Alla luce dei vari documenti disponibili tipo BLUE PLANET PROJECT e altri, è ora di cominciare a parlare chiaro. Basta con i stantii congressi fatti da centri ufologici (leggi massonici) diretti da gente di bassa levatura etica, spirituale e morale, ignoranti come le capre. Bisogna iniziare un nuovo corso: bisogna parlare chiaro e dire alla gente che gli ALIENI SONO TRA NOI, altro che UFO, altro che sterili rapporti di avvistamento di lucine più o meno appariscenti e conseguenti presentazioni in Power Point barbose che fanno e non fanno vedere, che dicono e non dicono. "La Terra è visitata dagli alieni da almeno 50000 anni", così esordisce un manuale della US Air Force dato in dotazione agli aspiranti piloti da caccia statunitensi, pubblicato anche su questo blog nel mese di maggio del 2012 . Gli alieni lavorano presso strutture militari super segrete spiega il Blue Planet Project. Basta parlare di UFO, iniziamo a parlare di extraterrestri, senza peli sulla lingua, e pazienza se c'è ancora qualcuno che storce il naso perchè preferisce ancora il vecchio modello culturale in cui l'essere umano è al centro dell'universo e "vive in universo piatto". E' un modello superato! L'umanità non solo non è al centro dell'universo, ma è solo una delle miliardi di miliardi di umanità che lo popolano, e neanche tanto evoluta. Esistono altre forme umane intelligenti che popolano i pianeti e le stelle che ci circondano, e non solo, ci sono esseri che vivono anche nelle altre dimensioni. I VEDA lo dicono da oltre 5000 anni! E per favore non venitemi più a dire - "Ma se gli alieni esistono, non possono arrivare qui da noi perchè non si può superare la velocità della luce" cercate su Google o You Tube - NASA e motori a curvatura energia Punto Zero - - Michiu Kako e viaggio a curvatura - e scoprirete che anche la scienza ufficiale sta lavorando a questo tipo tipo propulsione. E se fra qualche anno questa tecnologia sarà a disposizione degli abitanti della Terra figuriamoci quante altre civiltà più avanzate della nostra non solo dispongono di questa tecnologia, ma quanto possano averla perfezionata. Insomma per chiudere in bellezza " I TEMPI SONO MATURI" per parlare al gente non di UFO ma di extraterrestri e chi non vuole farlo"Peste lo colga!"
Oliviero Mannucci
3000 Mile Wide Disc Caught By ISS?
Ok, this image was released by the Brasilia Planetarium recently and seems to show a massive disc shaped object stationed above the Earth. The disc is estimated to be around 3-5 thousand miles in diameter. If you look at the bottom left of the image you can see a cloud formation passing over the top of the anomaly, this indicates that the object is not a projection onto the earth. I have no idea what this object is, i can only speculate at this point. I have contacted the Planetarium for further clarification regarding the slide, and will post an update when I get an answer.
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Friday, March 28, 2014
Nucleare? No, grazie! - Fukushima, un incidente dietro l’altro
La Tepco ha sottovalutato l'esposizione alle radiazioni di 142 “liquidatori”
La Tokyo Electric Power Company (Tepco) ha fermato una delle 3 linee del sistema di trattamento centrale delle acque di Fukushima Daiichi e dice che l’Advanced Liquid Processing System (Alps) della Processing System avanzato liquidi, o ALPS, è stato chiuso dopo che i “liquidatori” «Hanno trovato possibili segni di anormalità nell’acqua da immettere nell’impianto. L’acqua è risultata particolarmente torbida». Probabilmente nel circuito idrico è entrata materia organica.
La radio-televisione giapponese Nhk dice che «Tepco sta valutando cosa è andato storto e perché. I funzionari dicono che non sanno quando l’operazione potrà essere ripresa». L’Alps è teoricamente in grado di rimuovere quasi tutti i materiali nucleari da acqua radioattiva presso l’impianto ed era in corso un test. Ma l’impianto aveva già avuto problemi la scorsa settimane, quando la Tepco aveva dovuto fermare tutto dopo che aveva scoperto che una linea si era fortemente deteriorata a causa di filtri malfunzionanti. L’Attività dell’Alps era ripresa il 24 marzo, ma poi i “liquidatori” hanno visto fuoriuscire acqua altamente radioattiva da uno dei serbatoi di stoccaggio e la Tpco è stata costretta a bloccare nuovamente tutto. Le operazioni sulle due linee dell’Alps erano riprese il 25 marzo, fino al nuovo incidente. E pensare che la Tepco aveva assicurato chhe l’Alps sarebbe stato operativo entro gli inizi di aprile…
Ieri nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi era già stata sospesa l’operazione di rimozione del combustibile nucleare esaurito da una piscina di stoccaggio in un edificio del reattore 4. La Tepco ha detto che intorno alle 9,30 di mercoledi è avvenuto un incidente mentre i “liquidatori” avevano iniziato la rimozione di unità di carburante. L’utility ha spiegato che la grande gru utilizzata per sollevare un cask contenente 22 unità di combustibile esaurito dalla piscina di stoccaggio si è improvvisamente bloccata. Al momento dell’incidente i “liquidatori” stavano cercando di agganciare il cask con un cavo. La Tepco ha iniziato a smaltire il carburante nucleare esaurito del reattore 4 nel novembre 2013, la piscina conteneva 1.533 unità di combustibile, delle quali 1.331 sono di combustibile esaurito altamente radioattivo. A partire dal 25 marzo, 550 unità di combustibile erano state rimosse e trasferite in un altro lotto di stoccaggio. L’utility assicura che intorno alla piscina del combustibile nucleare esaurito non sono stati osservati aumenti di radioattività e che sta cercando di capire cosa ha causato il problema.
Ma la grana più grossa per l’utility che sta smantellando lentamente e con enormi problemi il cadavere nucleare di Fukushima Daiichi viene probabilmente dal nuovo esame dei registri di esposizione alle radiazioni dei lavoratori che, dopo una revisione da parte del ministero della salute, hanno portato ad un aumento dei dati delle radiazioni per 142 lavoratori, con una media di 5,86 millisievert. Secondo quanto scrive The Asahi Shimbun, il ministero ha detto che un dipendente di sesso maschile è stato esposto a 180 millisievert, mentre inizialmente la Tepco diceva che era stato esposto a circa 90 millisievert. Altri due “liquidatori” lavoratori sono stati esposti a radiazioni che vanno dai 50 a 100 millisievert. Secondo l’ International Commission on Radiological Protection, una persona dovrebbe essere esposto a non più di un millisievert all’anno e che dosi di più di 100 millisievert sono associate ad un elevato rischio di cancro .
Dei 142 lavoratori sovraesposti 24 lavoravano per la Tepco e ben 118 per 18 diverse imprese in appalto e subappalto, note per ignorare a volte anche le più elementari norme di sicurezza. Sono solo una parte dei 7.500 “liquidatori” impiegati nelle operazioni di emergenza e di primo intervento che sono stati inviati per gestire le operazioni di contenimento nella centrale nucleare.
La revisione del ministero ha confermato che, dopo il terremoto/tsunami ed il disastro nucleare, la Tepco ed i subappaltatori non avevano a disposizione abbastanza contatori delle radiazioni per tutti equipaggiare tutti i “liquidatori” e che quindi la company non poteva effettuare misurazioni così accurate sui lavoratori. La Tepco è stata invitata a rivedere l’esposizione dei “liquidatori” tenendo di conto dei nuovi dati. Qualche sospetto era già venuto fuori nel luglio 2013 quando vennero esaminati i dati dell’esposizione di circa 1.300 lavoratori e quelli di 452 di loro sembrarono un po’ troppo bassi.
Dopo aver scoperto a fine gennaio, durante un controllo della gestione salute dei lavoratori da parte della Tepco, che l’utility aveva usato metodi inadeguati per stimare le dosi di radiazioni di alcuni lavoratori il governo ha esaminato i registri di 1.536 dei 7.529 dipendenti e contractors che hanno lavorato a Fukushima Daiichi tra il marzo e l’aprile del 2011. The Asahi Shimbun scrive che la Tepco «Per esmpoi, ha sottovalutato le dosi interne di coloro che avevano preso compresse di iodio per proteggere la loro tiroide dall’esposizione alle radiazioni. Non è ancora chiaro se e quanto l’agente avesse ridotto i livelli di esposizione». Dopo che sono stati controllati i registri dei dati di altri 6.200 lavoratori e sono venuti fuori i primi 142 “sballati”.
Fonte
La Tokyo Electric Power Company (Tepco) ha fermato una delle 3 linee del sistema di trattamento centrale delle acque di Fukushima Daiichi e dice che l’Advanced Liquid Processing System (Alps) della Processing System avanzato liquidi, o ALPS, è stato chiuso dopo che i “liquidatori” «Hanno trovato possibili segni di anormalità nell’acqua da immettere nell’impianto. L’acqua è risultata particolarmente torbida». Probabilmente nel circuito idrico è entrata materia organica.
La radio-televisione giapponese Nhk dice che «Tepco sta valutando cosa è andato storto e perché. I funzionari dicono che non sanno quando l’operazione potrà essere ripresa». L’Alps è teoricamente in grado di rimuovere quasi tutti i materiali nucleari da acqua radioattiva presso l’impianto ed era in corso un test. Ma l’impianto aveva già avuto problemi la scorsa settimane, quando la Tepco aveva dovuto fermare tutto dopo che aveva scoperto che una linea si era fortemente deteriorata a causa di filtri malfunzionanti. L’Attività dell’Alps era ripresa il 24 marzo, ma poi i “liquidatori” hanno visto fuoriuscire acqua altamente radioattiva da uno dei serbatoi di stoccaggio e la Tpco è stata costretta a bloccare nuovamente tutto. Le operazioni sulle due linee dell’Alps erano riprese il 25 marzo, fino al nuovo incidente. E pensare che la Tepco aveva assicurato chhe l’Alps sarebbe stato operativo entro gli inizi di aprile…
Ieri nella centrale nucleare di Fukushima Daiichi era già stata sospesa l’operazione di rimozione del combustibile nucleare esaurito da una piscina di stoccaggio in un edificio del reattore 4. La Tepco ha detto che intorno alle 9,30 di mercoledi è avvenuto un incidente mentre i “liquidatori” avevano iniziato la rimozione di unità di carburante. L’utility ha spiegato che la grande gru utilizzata per sollevare un cask contenente 22 unità di combustibile esaurito dalla piscina di stoccaggio si è improvvisamente bloccata. Al momento dell’incidente i “liquidatori” stavano cercando di agganciare il cask con un cavo. La Tepco ha iniziato a smaltire il carburante nucleare esaurito del reattore 4 nel novembre 2013, la piscina conteneva 1.533 unità di combustibile, delle quali 1.331 sono di combustibile esaurito altamente radioattivo. A partire dal 25 marzo, 550 unità di combustibile erano state rimosse e trasferite in un altro lotto di stoccaggio. L’utility assicura che intorno alla piscina del combustibile nucleare esaurito non sono stati osservati aumenti di radioattività e che sta cercando di capire cosa ha causato il problema.
Ma la grana più grossa per l’utility che sta smantellando lentamente e con enormi problemi il cadavere nucleare di Fukushima Daiichi viene probabilmente dal nuovo esame dei registri di esposizione alle radiazioni dei lavoratori che, dopo una revisione da parte del ministero della salute, hanno portato ad un aumento dei dati delle radiazioni per 142 lavoratori, con una media di 5,86 millisievert. Secondo quanto scrive The Asahi Shimbun, il ministero ha detto che un dipendente di sesso maschile è stato esposto a 180 millisievert, mentre inizialmente la Tepco diceva che era stato esposto a circa 90 millisievert. Altri due “liquidatori” lavoratori sono stati esposti a radiazioni che vanno dai 50 a 100 millisievert. Secondo l’ International Commission on Radiological Protection, una persona dovrebbe essere esposto a non più di un millisievert all’anno e che dosi di più di 100 millisievert sono associate ad un elevato rischio di cancro .
Dei 142 lavoratori sovraesposti 24 lavoravano per la Tepco e ben 118 per 18 diverse imprese in appalto e subappalto, note per ignorare a volte anche le più elementari norme di sicurezza. Sono solo una parte dei 7.500 “liquidatori” impiegati nelle operazioni di emergenza e di primo intervento che sono stati inviati per gestire le operazioni di contenimento nella centrale nucleare.
La revisione del ministero ha confermato che, dopo il terremoto/tsunami ed il disastro nucleare, la Tepco ed i subappaltatori non avevano a disposizione abbastanza contatori delle radiazioni per tutti equipaggiare tutti i “liquidatori” e che quindi la company non poteva effettuare misurazioni così accurate sui lavoratori. La Tepco è stata invitata a rivedere l’esposizione dei “liquidatori” tenendo di conto dei nuovi dati. Qualche sospetto era già venuto fuori nel luglio 2013 quando vennero esaminati i dati dell’esposizione di circa 1.300 lavoratori e quelli di 452 di loro sembrarono un po’ troppo bassi.
Dopo aver scoperto a fine gennaio, durante un controllo della gestione salute dei lavoratori da parte della Tepco, che l’utility aveva usato metodi inadeguati per stimare le dosi di radiazioni di alcuni lavoratori il governo ha esaminato i registri di 1.536 dei 7.529 dipendenti e contractors che hanno lavorato a Fukushima Daiichi tra il marzo e l’aprile del 2011. The Asahi Shimbun scrive che la Tepco «Per esmpoi, ha sottovalutato le dosi interne di coloro che avevano preso compresse di iodio per proteggere la loro tiroide dall’esposizione alle radiazioni. Non è ancora chiaro se e quanto l’agente avesse ridotto i livelli di esposizione». Dopo che sono stati controllati i registri dei dati di altri 6.200 lavoratori e sono venuti fuori i primi 142 “sballati”.
Fonte
ITALIA: PORTI NUCLEARI, UN’EMERGENZA OSCURATA DAL SEGRETO DI STATO
- di Gianni Lannes -
Attualmente, qual è il livello di #contaminazione nucleare del Mar #Mediterraneo, provocato dalle attività belliche della #Nato
? Alla prova dei fatti, i cosiddetti “alleati” hanno trasformato lo
Stivale in una portaerei per fare la guerra, in violazione dell’articolo
11 della Costituzione italiana. E il Governo Renzi che fa? Applaude lo
straniero occupante? L’abusivo capo dello Stato pro tempore, pappa e
ciccia con lo zio Sam dagli anni ’70, fa finta di nulla. Non tutti sanno
che un sottomarino a propulsione nucleare è una centrale atomica a
tutti gli effetti. Un sottomarino a propulsione nucleare, tuttavia, è
meno protetto rispetto ad una centrale atomica di terra in quanto ha –
per esigenze di leggerezza e manovrabilità – di minori schermature
esterne ed inoltre può essere soggetto a collisioni, affondamento,
eccetera.
L’Italia – che ha abolito le centrali nucleari con due referendum
popolari (1987, 2011) – corre ancora il rischio, nelle aree marine di
transito e a ridosso delle città, dove sostano unità nucleari, che si
verifichi un incidente ai reattori atomici di bordo. Esiste inoltre il
problema del transito di scorie radioattive francesi (plutonio) nel
Mediterraneo. Il plutonio è un elemento radioattivo presente in vari
reattori nucleari. Una dispersione di plutonio contaminerebbe il mare
per oltre 24 mila anni (durata del dimezzamento radioattivo del
plutonio). Il chimico Enzo Tiezzi ha argomentato: «Un chilo di plutonio
disperso nell’ambiente rappresenta il potenziale per 18 miliardi di
cancro al polmone. Un milionesimo di grammo costituisce una dose
letale». Anche il cesio 137 non scherza: è un prodotto di fissione
dell’uranio e ha un’emivita di 30 anni. E così altri radioisotopi che
hanno contaminato il Mediterraneo e le acque costiere italiane, come
hanno certificato le analisi del Crirad di Parigi e dell’Università
della Tuscia nell’arcipelago della Maddalena. In loco, nell’isola di
Santo Stefano, dal 1972 al 2008 c’era un distaccamento di sommergibili
atomici della sesta flotta, una presenza mai autorizzata dal Parlamento
italiano. In questo parco marino nazionale non vi è stata alcuna
bonifica e Washington non ha pagato il conto dell’nquinamento provocato
dalle sue attività belliche. In compenso, la popolazione locale è
afflitta da patologie tumorali, e da decenni nascono bambini con gravi
malformazioni. Nel 2003 ho realizzato un’inchiesta per il settimanale
Famiglia Cristiana. E nel 2004 ho portato a termine un reportage
pubblicato dal settimanale D La Repubblica delle donne.
Quali sono i porti italiani in cui vi può essere transito di unità navali a propulsione nucleare? Essi sono: Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia.
L’elenco è contenuto nel “piano di emergenza per le navi militari a
propulsione nucleare” classificato come “riservato” dalla Marina. La
versione integrale del documento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri (Dipartimento della Protezione Civile) datata luglio 1996 è
intitolata “Piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze
radiologiche”. Questo documento non è accessibile a cittadini e
cittadini della Repubblica italiana. Tale divieto è un palese ed
intollerabile abuso di potere di chi ha occupato le istituzioni dello
Stato per conto straniero.
E’ possibile in base alla legge conoscere il piano di emergenza per
i porti a rischio nucleare? Grazie al decreto legislativo 230/95 un
cittadino può conoscere preventivamente le informazioni di interesse
civile contenute nel piano di emergenza nucleare della propria città: il
tipo di incidente ipotizzato, l’impatto sull’ambiente e sulla salute
delle persone e le misure di protezione civile previste dagli organi
competenti (in particolare la Prefettura). In base al decreto in
questione le Prefetture dovrebbero dare ai cittadini queste informazioni
anche in assenza di richiesta esplicita: è un obbligo sancito
dall’articolo 129 del decreto 230/95.
Dunque, in una dozzina di porti italiani è prevista la possibilità
di transito e attracco di sottomarini a propulsione nucleare; tale
attività comporta evidenti rischi per la popolazione civile, vista la
possibilità che possano determinarsi incidenti dalle conseguenze
gravissime per la salute pubblica e per l’ecosistema.
Il decreto legislativo 17 marzo 1995, numero 230, emanato in
attuazione delle direttive Euratom 80/386, 84/467, 84/466, 89/618,
90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti, nella Sezione I
(Piani di emergenza) disciplina l’emergenza nucleare riferita alle
situazioni determinate da eventi incidentali negli impianti nucleari e
all’articolo 124 (Aree portuali) prende in considerazione la possibilità
di emergenza in conseguenza di incidenti derivanti dalla presenza di
naviglio a propulsione nucleare nelle aree portuali.
Al Capo X (Stato di emergenza nucleare), Sezione II (Informazione
della popolazione), articoli 127-134 del decreto legislativo n. 230 del
1995, vengono prese in esame le misure di informazione della popolazione
in merito alla protezione sanitaria e al comportamento da adottare per i
casi di emergenza radiologica; l’articolo 129 (obbligo di informazione)
prevede che le «informazioni previste nella presente sezione devono
essere fornite alle popolazioni [...] senza che le stesse ne debbano
fare richiesta. Le informazioni devono essere accessibili al pubblico,
sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza
radiologica».
All’articolo 130, si afferma che «La popolazione che rischia di
essere interessata dall’emergenza radiologica viene informata e
regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa
applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul
comportamento da adottare in caso di emergenza radiologica»; l’articolo
133 prevede l’istituzione presso il Ministero della sanità della
Commissione permanente per l’informazione sulla protezione contro i
rischi da radiazioni ionizzanti, avente il compito di «predisporre e
aggiornare le informazioni preventive di cui agli articoli 130 e 132 e
di indicare le vie di comunicazione idonee alla loro diffusione, nonché
la frequenza della diffusione stessa»; al medesimo articolo si dispone
inoltre di «predisporre gli schemi generali delle informazioni da
diffondere in caso di emergenza di cui all’ articolo 131 e indicare i
criteri per l’individuazione degli idonei mezzi di comunicazione», e,
infine, di «studiare le modalità per la verifica che l’informazione
preventiva sia giunta alla popolazione, utilizzando anche le strutture
del servizio sanitario nazionale e il sistema informativo sanitario».
Nonostante la normativa vigente sia estremamente chiara circa
l’obbligo di fornire adeguata informazione alla popolazione civile
riguardo i rischi derivanti da incidente nucleare e individui le
autorità e gli enti cui spetta il compito di predisporre i piani di
emergenza, a tutt’oggi, in particolare per quanto riguarda le aree
portuali interessate dal transito di sottomarini a propulsione nucleare,
tali disposizioni vengono disattese e non viene fornita alla
popolazione adeguata informazione a riguardo di eventuali emergenze
nucleari; non sono noti – tranne che, parzialmente, per i porti di La
Spezia e Taranto – i piani di emergenza predisposti dalla Marina
militare di concerto con le Prefetture.
Il 23 novembre 2004 in risposta ad un’interpellanza il Governo
conveniva che la classifica di sicurezza, «impedendo la divulgazione
delle pianificazioni, precludeva di fatto la possibilità di informare la
popolazione sul rischio potenziale a cui era esposta, non permettendo,
tra l’altro, l’acquisizione, da parte della popolazione stessa, delle
norme di comportamento da rispettare nel caso dovesse verificarsi
realmente una tale emergenza». Nell’ambito della medesima risposta, il
Governo rendeva noto che l’Agenzia per la protezione dell’ ambiente e il
Ministero delle politiche comunitarie avevano in progetto un’azione
coordinata finalizzata all’emissione in tempi rapidi dei decreti
attuativi del suddetto decreto legislativo in risposta ad una procedura
di infrazione al riguardo avviata dalla Commissione europea.
A tutt’oggi i decreti attuativi non sono stati ancora promulgati,
in compenso le unità Nato a propulsione e armamento nucleare transitano a
ridosso delle coste italiane e sostano segretamente in numerosi porti
della Penisola.
Per quale ragione non vengono desecretati i piani di emergenza per
la popolazione come prescritto dal decreto legislativo 17 marzo 1995,
numero 230?
Dal momento che le coperture assicurative private in caso di
incidente nucleare escludono il risarcimento dei danni, è stata prevista
e attivata una copertura assicurativa dallo Stato italiano atta a
risarcire i danni a cose e persone in caso di incidente nucleare per
ogni singolo cittadino danneggiato e, in caso negativo, se intenda
predisporre tale copertura assicurativa in ogni sito in cui è previsto
il piano di emergenza nucleare?
Si sono già verificati incidenti su unità navali a propulsione e armamento nucleare?
Sono stati riportati numerosi incidenti, già avvenuti nel
Mediterraneo, nel rapporto di Greenpeace 1994 a cura di Paola Biocca e
Annarita Peritore, in cui si legge:
«Nel fondo del Mediterraneo giacciono due capsule nucleari, perdute a seguito di un
incidente aereo di cui non sono mai stati resi noti gli estremi. Il
29 agosto 1959 la città di Napoli rischiò la catastrofe per un incendio
a bordo del caccia Decour. Nel 1976 lo scontro tra due navi
statunitensi (la portaerei J.F. Kennedy e l’incrociatore Belknap,
entrambe dotate di armi nucleari) avvenuto durante un’esercitazione al
largo della Sicilia, stava per causare un grave incidente nella Santa
Barbara nucleare. In quell’occasione fu lanciato l’allarme Broken Arrow,
il piu’ grave secondo la classificazione USA. Tre sottomarini d’attacco
della flotta francese (il 50% della flotta) hanno subito gravi
incidenti negli ultimi 12 mesi: agosto 1993: il Rubis entra in
collisione con una petroliera a largo di Fos: si sfiora la catastrofe
ambientale; febbraio 1994: incendio a bordo dell’Amethiste; marzo 1994:
incendio a bordo dell’Emeraude,10 vittime tra l’equipaggio. Il governo
francese non ha ancora reso pienamente note la dinamica e gli esiti
degli incidenti. Dal 1945 al 1988 nel Mediterraneo si sono verificati
114 incidenti in cui sono state coinvolte una o più navi da guerra. Nel
solo 1989 almeno 25 incendi sono scoppiati a bordo di sottomarini
nucleari nel mondo. Le tre flotte nucleari che pattugliano il
Mediterraneo (USA, Gran Bretagna e Francia) hanno subito rispettivamente
61,16 e 12 incidenti».
Questi riscontri documentati per quanto datati sono estremamente
significativi. Vanno comunque ricordati altri due incidenti gravi: il 14
maggio 2000 all’inglese Tireless in Sicilia, e il 25 ottobre 2003 in
Sardegna (arcipelago della Maddalena) al sommergibile Hartford, battente
bandiera United States of America. Di recente, il Tireless ha fatto
rientro nel Mediterraneo.
Riferimenti:
- http://staff.polito.it/massimo.zucchetti/Rapporto_Sommergibili.pdf
- http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=porti+nucleari
- http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=TIRELESS
- http://www.shima.demon.co.uk/sublist.htm
- http://www.fas.org/nuke/guide/nep5text.htm
- http://www.fas.org/nuke/hew/index.html
- http://warships1.com/index1_submarines.htm
- http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legislativo:1995;230
Le nuove tute spaziali della NASA
Possono essere scelte attraverso un sondaggio online, ma saranno usate – almeno per ora – soltanto a terra per una serie di test e simulazioni
La NASA ha aperto un sondaggio online per la selezione di un nuovo tipo di tuta spaziale, che si chiama Z-2 e che è un’evoluzione del precedente modello Z-1 presentato nel 2012 con l’obiettivo di rendere più pratici e comodi per muoversi i sistemi di protezione da usare nello Spazio. La votazione è aperta a tutti e serve per scegliere il design esterno della tuta, non per indicare le sue caratteristiche tecniche, sulle quali è naturale e giusto che siano i tecnici e gli ingegneri della NASA a fare le loro scelte.
La Z-2 porta diverse novità rispetto al modello precedente, a cominciare da una struttura più rigida per la parte che copre il torso degli astronauti. Il casco è sostanzialmente integrato nella tuta, con una caratteristica visiera molto ampia e sferica.
I tre modelli tra cui scegliere sono:
– “Biomimicry”, ispirato agli animali che vivono nelle profondità marine, ha inserti traslucidi e alcuni cavi che si illuminano al buio, per rendere più visibile l’astronauta e i suoi movimenti anche nell’oscurità;
– “Technology”, riprende molti degli elementi delle tute della prima epoca delle esplorazioni spaziali, ma con materiali di nuova generazione e più resistenti.
– “Trends in Society”, propone un design che è simile a quello degli abiti che potremmo indossare in un futuro non troppo lontano, spiegano quelli della NASA.
Le votazioni per le nuove tute spaziali si chiuderanno il prossimo 15 aprile e i progettisti della NASA confidano di realizzare la versione definitiva prescelta entro novembre. La tuta scelta sarà utilizzata per condurre numerosi esperimenti a terra sulla tenuta dei suoi materiali, sulla praticità di utilizzo per gli astronauti in diverse condizioni e per altre simulazioni. La Z-2, è bene ricordarlo, è soltanto un prototipo e non sarà quindi mai utilizzata nello Spazio così com’è. L’iniziativa serve ai ricercatori della NASA per capire quali potranno essere le soluzioni migliori per cambiare le attuali tute degli astronauti, che comunque nel corso degli anni hanno già subito diverse evoluzioni e miglioramenti.
Fonte
La NASA potrebbe avere scoperto una seconda Terra
La maggior parte delle volte che gli astronomi scoprono un nuovo
pianeta, c’è sempre almeno un parametro che rende impossibile lo
sviluppo della vita. Di recente, invece, la NASA sembra avere scoperto
una vera seconda Terra
Il Centre de Recherche Ames dovrebbe annunciare oggi la scoperta di un pianeta della taglia della Terra nella “zona abitabile” della sua stella.
La stella madre è una nana rossa, più fredda del nostro Sole, il che significa che questo pianeta orbita più vicino a detta stella. Questo sistema solare è inoltre composto da cinque pianeti.
Per il momento, questa potenziale seconda Terra non ha un nome. Con una dimensione sostanzialmente simile al nostro pianeta, sembra soddisfare tutte le condizioni necessarie per la presenza di acqua allo stato liquido, rendendo potenzialmente possibile la vita così come la conosciamo.
Ovviamente questo pianeta interessa molto tutta la comunità scientifica, rappresenta il coronamento di tutto il fantastico lavoro di ricerca effettuato per diversi anni nel telescopio spaziale Kepler i cui dati cominciano giusto adesso a essere analizzati.
Restate sintonizzati arriveranno di sicuro nuovi sviluppi!
Fonte
Il Centre de Recherche Ames dovrebbe annunciare oggi la scoperta di un pianeta della taglia della Terra nella “zona abitabile” della sua stella.
La stella madre è una nana rossa, più fredda del nostro Sole, il che significa che questo pianeta orbita più vicino a detta stella. Questo sistema solare è inoltre composto da cinque pianeti.
Per il momento, questa potenziale seconda Terra non ha un nome. Con una dimensione sostanzialmente simile al nostro pianeta, sembra soddisfare tutte le condizioni necessarie per la presenza di acqua allo stato liquido, rendendo potenzialmente possibile la vita così come la conosciamo.
Ovviamente questo pianeta interessa molto tutta la comunità scientifica, rappresenta il coronamento di tutto il fantastico lavoro di ricerca effettuato per diversi anni nel telescopio spaziale Kepler i cui dati cominciano giusto adesso a essere analizzati.
Restate sintonizzati arriveranno di sicuro nuovi sviluppi!
Fonte
Per l'astronomia russa è l'ora di scegliere i progetti del futuro
Oggi l’astronomia e l’astrofisica sono le grandi
collaborazioni internazionali, reti di telescopi in tutto il mondo,
osservatori spaziali e la precisione delle osservazioni aumenterà. La
Russia in questo settore non è ancora irrimediabilmente in ritardo, ma
non è all’avanguardia. Oltre ai problemi relativi alla scienza in
generale, influenza un numero ridotto di strumenti e il fatto che gli
impianti esistenti non erano modernizzati da tanto tempo.
La
discussione del 24 marzo ha riguardato le prospettive per l'ingresso
della Russia nei progetti astronomici internazionali, la formazione
astronomica ed propri strumenti astronomici (soprattutto quelli a
terra).
L’adesione a progetti internazionali riguarda
soprattutto l'European Southern Observatory (ESO). E' l'organizzazione
intergovernativa (15 i Paesi membri), che gestisce una rete di telescopi
nelle Ande Cilene. Al progetto ESO si può aderire versando un
contributo finanziario (circa 150 milioni di euro), che consentirà alle
organizzazioni scientifiche russe di condurre con la strumentazione ESO
la propria ricerca e alle imprese russe di eseguire gli ordinativi per
le esigenze dell’ESO.
La prospettiva di entrare nell’ESO
è stato uno dei principali argomenti di discussione al Ministero della
Pubblica Istruzione. È costoso, anche se la possibilità di una
rateizzazione a 10 anni può inibire significativamente lo sviluppo dei
propri impianti terrestri russi. I suoi sostenitori sottolineano che in
questo modo la Russia si unirà alla ricerca scientifica d’avanguardia.
Costruire la stessa cosa nel Paese è impossibile e non a causa del
denaro: in Russia sono pochi i posti con un buon clima per le
osservazioni astronomiche. Gli oppositori ribattono dicendo che se non
si costruisce in proprio, non si avranno mai gli strumenti astronomici
necessari in Russia. La questione quindi si sposta su un altro campo e
punta a riconoscere quale sia l'argomento più rilevante in questa
discussione.
Del resto i progetti astronomici russi
discussi nel corso della riunione sono molti e differenziati. Ad
esempio, l'osservatorio radio "Suffa", che è stato creato in
collaborazione con l'Uzbekistan, è un progetto avviato già da lunga
data. Il complesso elio geofisico per studiare il Sole viene creato
sulla base di strutture già esistenti dell'Istituto terrestre di fisica
solare, Filiale siberiana dell'Accademia Russa delle Scienze. ALEGRO è
nuova e ambiziosa iniziativa nella piccola area non esplorata della
banda gamma.
Dopo la riunione, è stato formato un gruppo
speciale di lavoro, che comprende rappresentanti delle principali
organizzazioni "astronomiche" dell’Accademia delle Scienze e delle
università. A maggio di quest'anno, dovranno creare una lista delle
attività, indicando il relativo budget e priorità.
La
difficoltà consiste nel fatto che non esiste uno strumento universale
per l'astronomia. Se parliamo di applicazioni terrestri, le osservazioni
dirette, vediamo limitatamente nella gamma radio ed infrarossi perché
l'atmosfera blocca gran parte delle onde del visibile. In modo indiretto
è possibile registrare i fotoni gamma. Sono diversi obiettivi
scientifici e diverse tecnologie ingegneristiche.
In
questo modo il gruppo di lavoro valuterà i punti di forza e di debolezza
della scienza e della tecnologia russa, la rilevanza dei problemi
scientifici, dovrà immaginare come si evolverà l'astrofisica mondiale e
entro maggio definire da dove avviare lo sviluppo dell'astronomia in
Russia nella prima metà del XXI secolo.
/s
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_03_27/L-astronomia-russa-e-il-momento-di-scegliere-3939/
/s
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_03_27/L-astronomia-russa-e-il-momento-di-scegliere-3939/
I-Team: Nuclear physicist searches for evidence in Roswell UFO case
By George Knapp
The UFO Museum in Roswell, New Mexico.
Stanton Friedman Photo credit: Redstarfilmtv.com
LAS VEGAS -- The original investigator of the famed Roswell UFO incident says he hopes an upcoming appearance in Las Vegas might produce a piece of "smoking gun" evidence or a new eyewitness.
Nuclear physicist Stanton Friedman has spent more than 30 years investigating the story about an alleged crash outside of Roswell, New Mexico. The military initially said the object was a flying saucer, but later changed its story and said it was really a weather balloon.
Friedman has interviewed dozens of witnesses over the years who allege the craft was something from outer space.
Friedman plans to speak at the Atomic Testing Museum on East Flamingo Road Friday, March 28. He says some of the same scientists who worked on the atomic bomb program in New Mexico would likely have been part of any cover up of a crashed UFO.
"The same smart people knew where the other smart people were to get answers and people knew how to keep their mouths shut, and some guy's saying, it couldn't have happened there, would have been an article in the Physical Review the next month," Friedman said. "No understanding of how security operates and that's part of my role is to educate the world. There really are secrets being kept folks, like it or not."
Friedman thinks some of the Nevadans who worked at the former atomic test site might have information about the Roswell crash and he hopes they will come forward during his presentation at the atomic testing museum. The public is invited.
Source
UFO in Chile Said to be the Size of Two Soccer Stadiums
UFOlogists
in Chile say that this image is of an enormous, unidentified object
spotted over a reservoir in the southern part of the country
From a translation of the news report on Inexplicata:
The photo of an alleged UFO in Chile has left more than one viewer startled after that country's Comité de Estudios de Fenómenos Aéreos Anomalos (CEFAA) confirmed its authenticity.
The image was taken in the area known as El Yeso Reservoir by a Venezuelan couple living in the southern country. The image was investigated by CEFFA through its director general, Gen. Ricardo Bermudez (Ret.).
"After considerable research time we reached a series of conclusions that are the same obtained in the United States, and which are: this photograph is real and not a hoax; Second, that the incidence of the light in these clouds is the same as that which falls upon the object; Third, that it has its own light, and therefore a series of portholes are visible. This is according to our Ph.D in meteorology, and according to the clouds existing at the time during that season in the Cordillera, makes it twice the size of the National Stadium (in Chile)," he told Terra Chile.
"We do not know what it is or where it came from, but the anomalous aerial phenomenon described as an unidentified flying object is real and we have the proof and the eyewitness accounts to support it," notes Bermudez, who was a military pilot for the Chilean Air Force, flying F-5 fighters among other craft.
C'mon — it's probably just the Helicarrier. Sometimes SHIELD agents fiddle with the invisibility controls is all.
Allarme russo: attacco alieno e la Terra non è preparata. Pericolo!
Non è un pesce d'aprile in anticipo di qualche giorno. I grandi della Terra non possono tranquillizzare i cittadini sulle capacità difensive, almeno della Russia, in caso di attacco alieno
Non è un pesce d'aprile in anticipo di qualche giorno. I grandi della Terra non possono tranquillizzare i cittadini sulle capacità difensive, almeno della Russia, in caso di attacco alieno, secondo la testata Russia Today. Tutto comincia con una conferenza stampa tenutasi lo scorso ottobre al Centro spaziale e controllo centrale Titof. Uno dei giornalisti ha chiesto al capo del centro, Sergey Berezhnoy, quale fosse lo stato della sicurezza extraterrestre.
La risposta è stata: "Per il momento non ne abbiamo la capacità. Sfortunatamente non siamo in grado di combattere eventuali civiltà extraterrestri". Ma ha anche precisato: "Il nostro centro non è preparato per questo, ci sono fin troppi problemi sulla terra e nelle sue vicinanze".La domanda potrebbe apparire strana, se non fosse che le forze spaziali russe sono state effettivamente create nel 1992 dopo il crollo dell'Unione Sovietica, per poi essere ribattezzate Forze di difesa aerospaziali. La divisione ha due compiti specifici. Il primo è la difesa aerea e missilistica, insieme al controllo dei satelliti militari. Il secondo è così definito: "Monitorare gli oggetti spaziali e identificare potenziali minacce, nello spazio e dallo spazio, con scopi di prevenzione ed eventuale offensiva se necessario".
Russia Today chiude in modo rassicurante dicendo "Anche se non siamo in grado di affrontare una minaccia aliena, le forze spaziali russe dispongono una tecnologia altamente efficace per affrontare eventuali attacchi terrestri".
I russi, quindi, ai massimi livelli dello stato si stanno preprando a una possibile invasione aliena. Qualcuno non ci crederà, ma se a Mosca i militari si preparano forse qualcosa di vero c'è. O no? Guardiamo il cielo e aspettiamo...
Fonte
Weird! Again A Giant UFO Invisible Near The Sun, March 25, 2014
For More Exclusive Information on UFO
http://areazone51ufos.blogspot.be/201...
AREA ZONE 51 & UFOs: http://areazone51ufos.blogspot.com
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Seres Luminosos captados con Camaras de seguridad / beings of Light Security Cameras
Excelente Investigación de Fernando Correa sobre estas entidades luminosos, no te pierdas su programa de Lunes a Viernes de 2 a 3 pm en www.tercermilenio.tv en VIVO
Thursday, March 27, 2014
I legami dei Rothschild con il volo MH370
Il gruppo Blackstone, di propietà dei Rothschild trae un beneficio diretto dalla scomparsa del volo MH370, diventando il titolare di un brevetto legato a nuove tecnologie.
In questo bizzarro caso del volo scomparso, 1+1 sta iniziando a diventare 2.
Nuove informazioni, controllate e approfondite da Intellihub News,
potrebbero far luce sulla vicenda legata alla scomparsa del volo
Malaysian Airlines. Il volo è stato riferito, recentemente da funzionari
malesi, essere finito tragicamente nell’Oceano Indiano nonostante la
mancanza di prove fisiche (chieste con insistenza dalla Cina NdT).
Mentre la scomparsa del volo MH370 che aveva 239 persone a bordo è
tragica, le nuove informazioni rivelano che un gigante tecnologico con
sede in Texas, Freescale Semiconductor Ltd., potrebbe aver beneficiato
in qualche modo dalla scomparsa dell’aereo. A bordo del velivolo vengono
segnati 20 dipendenti della società Freescale. La perdita di queste
vite umane, dipendenti e collaboratori di Freescale, sarà sicuramente
dispiaciuta a tutti coloro che li conoscevano nell’azienda, ma questo
non fa che aumentare le possibilità che la corporazione possa aver
beneficiato in qualche modo dall’evento.
“Freescale già confermato che i 20 dipendenti – 12 dalla Malesia e
otto dalla Cina – erano tra i 239 passeggeri del volo MH370. L’azienda
non ha rilasciato i nomi di quei dipendenti, e di nuovo si è rifiutata
di farlo Lunedi. “, Come riportato da Brian Gaar, il 24 mar.
E’ stato menzionato in una dichiarazione di un portavoce della
società che i dipendenti che erano a bordo di MH370, erano estremamente
talentuosi e preziosi nel settore tecnologico.
Freescale Semiconductor Ltd. è di proprietà principalmente della
Blackstone Group, ovvero di Lord Jacob Rothschild, lo stesso gruppo
responsabile per aver irrorato il Corexit, sostanza altamente tossica
nelle acque del Golfo del Messico, nei mesi successivi alla fuoriuscita
di petrolio BP, come riportato nella fase iniziale da Intelihub News.
Incredibilmente, vediamo che anche il Gruppo Carlyle è tra gli
investitori secondari e questo non fa altro che aggiungere un’ulteriore
strato di sospetto su questa vicenda.
Ecco ciò che ci racconta Wikipedia sulla Freescale Semiconductor e i suoi movimenti “finanziari”:
Il 15 settembre del 2006, Freescale ha approvato di essere acquistato per 17,6 miliardi dollari da un consorzio guidato da Blackstone Group e dei suoi co-investitori, Carlyle Group , TPG Capital e Permira . L’offerta di acquisto è stata accettata il 13 novembre 2006 a seguito di un voto da parte degli azionisti della società. L’acquisto, si è chiuso il 1 ° dicembre 2006, è stato il più grande acquisto privato di una società di tecnologia fino al 2013.
Come giornalista, devo sottolineare la grande quantità di denaro
investito in questa società di tecnologia. 17.9$ miliardi di dollari non
sono una goccia nel mare, probabilmente questa società significa molto
vista la natura dell’investimento. Dobbiamo anche chiederci perché così
tanti dipendenti Freescale erano sullo stesso volo, allo stesso tempo.
Quattro di questi dipendenti loro sono stati segnalati da diverse fonti
come i diretti titolari di brevetti negli Stati Uniti relativi ad una
nuova tecnologia. Questo concomitanza di eventi e di presenza sul volo
in contemporanea, di proprietari di brevetti, è stata probabilmente una
violanza dei protocolli della sicurezza dell’azienda, o per lo meno una
svista costosa.
In realtà è stato segnalato che Peid Ong Wang, Suzhou, Zhijun Chen,
Suzhou, Zhihong Cheng, Suzhou e Li Ying, Suzhou, dipendenti cinesi
della Freescale che erano a bordo del volo 370, erano ciascuno titolari
del 20% del Brevetto USA #US008671381B1. Incredibilmente, il restante
20% è stato segnalato per essere detenuto dalla Freescale Semiconductor
Ltd., che ora, dopo la scomparsa del volo 370 diventa il titolare unico
del brevetto. In termini diretti, Lord Jacob Rothschild è oggi il
titolare del brevetto in virtù di interesse investiti nella Freescale
Semiconductor Ltd.
Per portare ulteriormente le cose in prospettiva, la dinastia
Rothschild possiede la banca centrale malese che a sua volta è
pesantemente coinvolta finanziariamente con il governo malese e la
Malaysian Airlines.
C’è altro da dire?
Tradotto e Riadattato da Fractions of Reality
La curiosa passione degli extraterrestri per le mucche
Il fenomeno sembra non avere fine. Nel 2009, il sito 9News riportava la testimonianza dell’allevatore Mike Duran del Sud del Colorado il quale affermava di aver notato delle misteriose luci circolari nel cielo e poi di aver trovato sue mucche morta e privata delle mammelle e degli organi genitali.
Il rancher ha denunciato il fatto all’ufficio dello sceriffo locale che si è limitato a dire: si tratta di uno di quei casi irrisolti che rimalngono avvolti nel mistero.
Sempre nel 2009, il sito The Sun pubblicava il video (di pessima qualità) registrato da Derek Bridges nel quale si dovrebbe vedere un bufalo attirato in una nave spaziale aliena. Nel video si vedono solo delle luci e nient’altro, tanto da far pensare che si tratti più di una “bufala” che di un bufalo.
Resta comunque una domanda: ma perchè gli extraterrestri sarebbero così interessati alle nostre mucche? Le ipotesi sul web si sprecano.
Da chi afferma che E.T. si nutra di carne come noi, il che farebbe pensare a questi mega barbecue alieni a base di bistecche e di chissà quale bevanda extraterrestre, a chi crede che si tratti semplicemente di “ricerca scientifica” da parte dei visitatori stellari.
La teoria più bizzarra, e paradossalmente più affascinante, è quella avanzata dal dottor Imad Hassan, medico e scrittore inglese di origini saudite. A suo parere, i bovini non avrebbero origine terrestre, ma sarebbero stati portati qui da intelligenze aliene in un remoto passato. Questo è il sito del dott. Imad Hassan per chi volesse approfondire le teorie “esotiche” di questo ricercatore.
A sostegno della sua tesi, il dottor Hassan induce a riflettere su alcune questioni che riguardano le mucche: come mai la mucca è considerato un animale sacro dall’Induismo?
E come mai nel Corano, testo sacro dei Musulmani, la “Sura della Vacca” (Sura II) è la più lunga di tutto il libro (ben 286 versetti)? Inoltre è proprio la Bibbia ad affermare che gli ebrei, dopo l’uscita dall’Egitto, una volta giunti al monte Sinai per ricevere la Torah, in barba alle disposizioni di Mosè comincia ad adorare un… vitello d’oro (Es 32,1).
Cosa significa tutto ciò? Perchè tutte queste culture ritengono sacro questo animale? E’ il ricordo ancestrale di un “dono” fatto dagli alieni all’umanità? O era il cibo che gli extraterrestri portarono con se nel momento in cui abitavano sulla terra con gli esseri umani?
Un’ulteriore prova alla teoria dell’origine extraterrestre dei bovini starebbe, secondo Hassan, in uno studio pubblicato nel 2007 dal dottor Mark Thomas secondo il quale gli europei avrebbero sviluppato l’enzima lattasi, deputato alla digestione dello zucchero presente naturalmente nel latte, solo 7000 anni fa.
Egli afferma che gli europei non avrebbero potuto digerire il latte di mucca prima di questa data. Infatti, secondo Thomas, le vacche devono essere state introdotte in Europa dal Medio Oriente proprio in quel periodo innescando una serie di cambiamenti evolutivi che hanno permesso lo sviluppo del lattasi nell’uomo.
L’idea generale degli evoluzionisti è che tutte le specie viventi si sono evolute da una comune origine, anche se non vi è nessuna prova concreta a sostegno di questa teoria. Quindi potrebbero esserci delle eccezioni. Secondo Hassan, questa teoria proverebbe che alcuni animali (mucche, cammelli, pecore e capre) non sarebbero il frutto di milioni di anni di evoluzioni, ma sarebbero state portate dall’esterno del pianeta.
Fonte
Commento di Oliviero Mannucci: La questione è semplice: la mucca non va adorata, va rispettata. Sento in televisione ogni sorta d'ipocrisia quando qualche personaggio dello spettacolo promuove la difesa di quel cane o di quel gatto o di quel cavallo maltrattato. Prima gli domanderei se sono vegetariani come me, visto che la carne arriva da animali macellati. Eppoi gli ricorderei che se è giusto proteggere i cani, i gatti, i cavalli, i delfini, ancor di più la mucca che ci da il latte che beviamo ogni mattina come se fosse la nostra seconda mamma. Chi di voi avrebbe il coraggio di mangiarsi la propria mamma?Ci avete mai pensato? Vi sono inoltre le testimonianze di alcuni contattisti, che riferiscono che molte razze aliene, soprattutto quelle più evolute, sono vegetariane. Quindi gli ET, probabilmente, cercano solo del buon latte caldo!
Russia Discloses/Releases UFO FilesThe last bit: A commentary by the Chairman of Public research organization «Underwater Search» and First Rank Captain Vladimir Prikhodko
- "The data collected by our seamen have been confirmed by numerous foreign evidences. For example, inside U.S. military press circulated information about unexplainable contact off the coast of Porto Rico. The Navy of United States conducted a training, designed learn to detect "enemy's" submarine. In this exercise participated one aircraft carrier, five escort ships, submarines and few aircraft. All the submarines involved in training where maneuvering in the «quiet invisible mode». Suddenly something extraordinary happened",
said professor Sandersen, who made a report based on analysis of documents from the United States Navy:
- "The technician of hydro acoustics on one of the escort ships noticed that one of the submarines had violated the order and it looked like it was pursuing somewhat unexplainable objective».
The data from acoustics technician put other officers at a standstill. The fact was, devices registered that the speed of unidentified object which moved under water was 150 knots! That is - 280 km / h! This was not possible, because modern submarine in submerged condition can not reach a speed above 45 knots. Officer immediately reported to the captain, who in turn immediately contacted the base ship. They were surprised to learn that, not just one but all the rest of the ships reported the same phenomena. "At least," - writes Professor Sandersen - "13 times they logged with hydro acoustic equipment ultra high speed objects". Immediately reports on all of these were sent to the commander of the Atlantic fleet of the United States Navy.
The object kept maneuvering for four days within a radius of a vast area, and four days the ships and planes of the United States Navy followed where the signal was coming from, observing it. (Or, rather, he followed them? "). That is not it. Judging by the records, the object was able to immerse at a depth of 20,000 feet within minutes. In other words, he had to maneuver in the vertical and horizontal planes. This can not be done with any of the modern submarine vessel built by man. Not to mention that the immersion limit for a modern submarine is not more than 6000 feet. Even «Trieste», built specifically for immersing famous oceanographer Jacques Pikkar in 1960, made a record dive in Mariánské depression to a depth of about 35,800 feet in 4.5 hours so he is not destroyed. But this maneuver of the unknown object from the surface to a depth of 20,000 feet was done in a matter of minutes! "In other words," - writes Sanderson - "a mysterious object literally belongs to another world".
There was another unusual case witnessed by a famous Arctic explorer Dr. Rubens Dzh.Villela, as well as watch officer and helmsman icebreaker, who took part in naval exercises, code-named «Deep Freeze» in the northern Atlantic. In the evening Dr. Villela was on the deck. Suddenly he saw as «something came out of the water cracking the ice three metres wide, and a huge silver bullet disappeared in the sky. Huge blocks of ice, raised in the air tens of meters high, with the cannon roar they hit back on the hummocks, and the water formed in huge bubbles. From it rose a steam. This seems to indicate a giant energy potential that just happened to be released.
In 70'ies American military conducted underwater communications tests. There was a vessel in Atlantic Ocean that emitted signals from the coast. Suddenly they began to receive similar signals, but slightly modified. The analysis revealed: it is not an echo, not a repetition of the primary signal. They located the source. It was at a depth of 8 kilometers. According to American scientists, it looked as if someone had a signal, then they modified it, and passed it back on the same frequency as if to attract attention.
Initially deciphering of the signal failed. Recent repeated attempts on it were done by using powerful computers at Pentagon. The results are not reported. But Americans have increased activity since then in the area signals were «reflected».
In the early 90-ies of the last century, during the test of the sea bed of Bermuda triangle there were two gigantic pyramids found at a depth of 600 meters. The size of which exceeded the size of the Egyptian pyramids. This was back in 1991. It was reported by the oceanographer and a head of the expedition Dr. Kvedvar Mendlik. In his opinion, the pyramids were built only 50 years ago. Technology is unclear. The material is like a very thick glass.
In 1997, the Belingsgauzen depression near antarctic area was examined by Australian military. At a depth of 6 kilometers camera captured oval shaped objects, emitting intense inner light. The film was examined by scholars of Royal Institute of Oceanology. The conclusion was unequivocal: these structures can only be of artificial origin.
These facts lead to the conclusion that the depth of the ocean is as mysterious as cosmos. The problem is - humankind is rushing upwards with great interest and not too intense downwards. Maybe this is a big mistake.
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