L'ultimo chiuda la porta: non è successo in due basi delle forze armate
Usa che custodiscono i missili intercontinentali a testata nucleare. L'America
è sotto shock e quattro militari sono stati puniti. Dovevano
sorvegliare le zone di lancio e invece hanno lasciato aperti gli accessi
al bunker dove vengono custoditi i codici top secret
È l'ennesimo scandalo che coinvolge i responsabili degli arsenali
atomici degli Usa: in settembre due comandanti ai vertici erano stati
rimossi.
il generale Michael Carey, capo dell'unità dell'Air Force a cui fanno
capo 450 missili nucleari balistici, era stato sollevato dall'incarico
«per motivi personali», mentre il vice ammiraglio Tim Giardina, numero
due del comando strategico degli Stati Uniti (Us StratCom) era stato
licenziato per aver falsificato le «chip» del poker.
Stavolta sono stati «pizzicati» quattro militari di più basso rango e il
problema, secondo quanto hanno confidato fonti militari anonime, è che
incidenti del genere si sono verificati altre volte nel passato. I
centri di controllo delle armi nucleari Usa sono permanentemente
presidiati da due ufficiali, veri propri custodi delle «chiavi
dell'inferno nucleare», a cui è severamente proibito aprire la massiccia
porta a prova di esplosione quando uno di loro si assenta o dorme.
Ma nel mese di aprile alla base di Minot, nel Nord Dakota, mentre uno
dei due dormiva il suo compagno ha lasciato entrare il cuoco che era
venuto a portare i pasti, ha spiegato il tenente colonnello John Sheets,
portavoce dell'Air Force Global Strike Command (Afgsc), che dirige le
missioni nucleari dell'Aeronautica militare Usa. Un mese dopo alla base
di Malmstrom, nel Montana, dove si trova un terzo dei missili balistici
intercontinentali (Icbm) americani, una squadra di manutenzione aveva
trovato la seconda in comando addormentata con la porta aperta e l'aveva
denunciata ai superiori.
Nell'un caso e nell'altro la sicurezza dei missili non è stata messa a
rischio ma i due episodi segnano l'ennesimo imbarazzo per le forze
strategiche Usa: in agosto un'ispezione dell'Air Force aveva giudicato
«insoddisfacente» l'unità di controllo sugli Icbm di Malmstrom, mentre a
maggio a 17 ufficiali di Minot era stata ritirata la certificazione
dopo una brutta valutazione sulla capacità di condurre i lanci.
Fonte
Spazio: ultima frontiera. Credere che si sia soli nell'universo è come credere che la Terra sia piatta. Come disse l'astrofisico Labeque al palazzo dell'UNESCO, durante il congresso mondiale del SETI di Parigi del Settembre 2008, " SOMETHING IS HERE", "Qualcosa è qui", e I TEMPI SONO MATURI per farsene una ragione. La CIA, l'FBI, la NSA, il Pentagono, e non solo, lo hanno confermato!
Statistiche
Thursday, October 31, 2013
Marte in 3D: spettacolare video dell'ESA mostra la superficie
From the highest volcano to the deepest canyon, from impact craters to ancient river beds and lava flows, this showcase of images from ESA's Mars Express takes you on an unforgettable journey across the Red Planet.
Mars Express was launched on 2 June 2003 and arrived at Mars six-and-a-half months later. It has since orbited the planet nearly 12 500 times, providing scientists with unprecedented images and data collected by its suite of scientific instruments.
The data have been used to create an almost global digital topographic model of the surface, providing a unique visualisation and enabling researchers to acquire new and surprising information about the evolution of the Red Planet.
The images in this movie were taken by the High Resolution Stereo Camera and the video was released by the DLR German Aerospace Center as part of the ten years of Mars Express celebrations in June 2013. The music has been created by Stephan Elgner of DLR's Mars Express planetary cartography team. DLR developed and is operating the stereo camera.
Read the original post on DLR's website here: http://www.dlr.de/dlr/en/desktopdefau...
Credit: ESA / DLR / FU Berlin (G. Neukum)
Adriano Olivetti, italiano “pericoloso”
Entrato in azienda negli anni Venti come semplice operaio, il primogenito di Camillo, Adriano Olivetti, già nel 1932 ne viene nominato direttore generale.
L’azienda, nata nel 1908 a poche decine di chilometri da Torino, a Ivrea, è la prima fabbrica nazionale di macchine da scrivere, destinata a diventare leader nel settore dei materiali per ufficio e poi in strumenti elettronici all’avanguardia, dalle telescriventi alle prime macchine da calcolo meccaniche. Dopo la seconda guerra mondiale e la morte del padre, avvenuta nel 1943, Adriano assume il controllo dell’azienda, che nel frattempo è sempre più impregnata del carattere del suo nuovo proprietario e fondatore, nel 1948, del Movimento Comunità.
L’Olivetti – nelle parole del tesoriere Mario Caglieris – è “una fabbrica fondata su un preciso codice morale, per il quale il profitto viene destinato. prima di tutto agli investimenti, poi alle retribuzioni e ai servizi sociali, in ultimo agli azionisti con il vincolo di non creare mai disoccupazione”.
La scommessa, professionale e scientifica, di Adriano Olivetti non si limita a confrontarsi con la concorrenza di quegli scienziati che, negli anni Cinquanta, stanno gettando le basi dell’informatica moderna, ma si intreccia anche con le dinamiche della Guerra Fredda.
A cominciare dalla nomina del giovane ricercatore italo-cinese Mario Tchou alla guida del costituendo Laboratorio di ricerche elettroniche di Ivrea, nel 1954, poi trasferito a Barbaricina, vicino Pisa. L’intento del Laboratorio è quello di gettare le basi progettuali per creare il primo calcolatore elettronico da destinare al mercato.
Nel 1959 è pronto Elea 9003 – acronimo di Elaboratore elettronico automatico – terzo prototipo dopo Elea 9001 ed Elea 9002, nonché il primo calcolatore a transistor commerciale della storia. Con l’ingresso ufficiale nel campo dell’informatica, l’Italia entra nel ristretto novero dei Paesi industriali in possesso di mezzi e conoscenze definite “sensibili”, ma la politica italiana – cerimonie a parte – non sembra affatto interessata a sostenere e proteggere la nascente industria informatica. L’Olivetti non riceve aiuti di Stato ed è anzi lei stessa a portare le istituzioni nazionali a conoscenza delle potenzialità nel campo informatico, mentre i concorrenti stranieri, ad esempio negli Stati Uniti, godono di somme ingenti stanziate dal governo, soprattutto a scopi militari.
In questo scenario, due eventi tragici danno una svolta al destino dell’informatica italiana. Il primo è la morte d’infarto, nel febbraio 1960, di Adriano Olivetti. Il secondo, nel novembre 1961, è l’incidente stradale in cui il pioniere dell’informatica italiana, Mario Tchou, muore sul colpo.
Secondo Giuseppe Rao, funzionario diplomatico – una delle rare fonti sui movimenti dell’Olivetti nel campo dell’elettronica – numerosi elementi lasciano supporre l’esistenza di un complotto per uccidere Tchou. L’ipotesi è che l’aver affidato ad un “muso giallo” il compito di condurre l’Italia nei segreti dello strategico mondo dell’informatica avrebbe destato le preoccupazioni di chi, in quel momento storico, aveva il maggior interesse a monopolizzarlo o perlomeno a primeggiarvi, gli Stati Uniti. E, fra l’altro, Mario Tchou era stato contattato dall’ambasciata cinese perché anche Pechino iniziava ad avviare studi sui calcolatori.
A prescindere da qualunque ipotesi complottista, Rao sottolinea comunque che gli Stati Uniti avevano un enorme interesse a tenere fuori l’Italia nel campo delle ricerche sui calcolatori, in quanto Paese confinante con l’Impero del Male e contenitore del più grande partito comunista d’Occidente.
Il modello di Adriano Olivetti non aveva avuto sostenitori nel mondo politico né, tantomeno, sostegno da parte di Confindustria, che anzi aveva mal digerito il voto dell’onorevole Olivetti, determinante per la costituzione del primo governo di centrosinistra. Franco Filippazzi, collaboratore di Tchou al Laboratorio, spiega che esso “non era di sinistra e non era di destra, o forse attingeva da entrambi gli orientamenti, ma di certo si trattava di un modello di capitalismo (…) certamente in controtendenza ai valori di un’ampia comunità interna alla DC, solidale invece ai valori ‘atlantici’”.
Fatto sta che la morte di Adriano e la crisi economica seguita al boom degli anni Cinquanta portano l’Olivetti a una difficile situazione finanziaria e si fa quindi avanti un gruppo misto pubblico-privato, il cosiddetto “gruppo d’intervento” formato da FIAT, Pirelli, Mediobanca, etc. che entra nel capitale dell’azienda di Ivrea.
Nell’aprile 1964, in sede di assemblea degli azionisti FIAT, l’allora presidente Vittorio Valletta rilascia una famosa dichiarazione: l’Olivetti “è strutturalmente solida e potrà superare senza grosse difficoltà il momento critico. Sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico, per il quale occorrono investimenti che nessuna azienda italiana può affrontare”.
Gli ingegneri che avevano costruito Elea 9003 confluiscono in un nuovo organismo, la Deo, che nel 1965, su decisione del gruppo d’intervento, viene venduto per il 75% alla multinazionale statunitense General Electric. Con tale vendita – o svendita, per dirla con le parole di Rao – la politica industriale italiana cede definitivamente agli Stati Uniti il primato nella ricerca scientifica applicata all’informatica. Coronato nel 1968 con la cessione agli americani della restante quota del 25%.
Pier Giorgio Perotto, altro collaboratore di Tchou e poi inventore della “Programma 101” (P101), il primo personal computer della storia, meglio conosciuta come “Perottina”, ha scritto che il “neo” fu estirpato in tragica e assurda coincidenza con l’avvio della rivoluzione elettronica mondiale.
Luciano Gallino, sociologo di fama, già dirigente di Olivetti, sostiene che “l’affermazione di Valletta fu fatta senza alcuna valutazione critica di politica economica. Non fu redatto alcuno studio, né è mai esistita traccia di una relazione di bilancio sulla Deo: la scelta di tagliare il settore informatico fu giustificata semplicemente dal prevalere di una considerazione personale di Valletta e di qualche collega a cui il resto del gruppo d’intervento non fece obiezioni”.
E, secondo Giuseppe Rao, è verosimile che sulla vendita alla General Electric ci siano state pressioni direttamente da parte degli Stati Uniti. Con questi ultimi, del resto, le aziende del gruppo d’intervento avevano, se non un debito, quantomeno un vincolo solidale, dato che esse erano state le principali beneficiarie degli aiuti economici erogati in base al Piano Marshall nel dopoguerra. Pressioni esplicite da parte americana, affinché si (s)vendesse Deo e l’Italia non potenziasse il suo sapere nel nuovo strategico settore, ammesse anche dal tesoriere di Olivetti Mario Caglieris, il quale – interpellato per conoscere i dettagli dell’affare – si è rifiutato di parlare della vicenda.
[Le informazioni contenute nel presente articolo sono tratte da “Il miracolo scippato. Le quattro occasioni sprecate della scienza italiana negli anni sessanta”, di Marco Pivato, Donzelli editore]
Fonte
Why aliens won't look like Flipper: The science of extraterrestrial tales
Alan Boyle, Science Editor
NBC News
Oct. 29, 2013 at 7:20 PM ET
But you hardly ever see depictions of extraterrestrials that live underwater — and there's a good reason for that, says Don Lincoln, author of a new book titled "Alien Universe: Extraterrestrial Life in Our Minds and in the Cosmos."
The reason? It's hard to build a fire underwater.
Some experts speculate that many of the habitable planets in our galaxy are water worlds, with no land in sight. But those wouldn't the best places for technologically advanced civilizations to take root.
Fermilab
In "Alien Universe," Lincoln blends together a compendium of alien tales going back to H.G. Wells and even earlier, plus a look at the scientific parameters that define the search space for intelligent aliens.
The book isn't aimed at veteran UFO fans looking for the latest revelations about the alien conspiracy. It doesn't address the search for microbial life on Mars, or Europa, or Enceladus — and it doesn't delve deeply into the search for planets beyond our solar system. Instead, "Alien Universe" is meant for those who wonder how all the stories about intelligent aliens got their start, as well as those who wonder how much science is behind those stories.
"It's not just fiction. It's not just pretend," Lincoln said. "There's some real scientific thinking going on."
JHU Press
There are also chemical reasons why water works so well as a solvent for life's processes, but it's possible to imagine other liquids serving a similar role. Methane, for example, could have some advantages over water — and liquid methane exists in abundance on Titan, a smog-shrouded moon of Saturn.
"This leads us to speculate that if life is an inevitable outcome of chemistry, then Titan should have at least primitive life," Lincoln writes. "If it turns out not to have life, then we must begin to suspect that there is something unique about the environment of Earth, perhaps including the use of water as a solvent."
The sociology of alien tales
Lincoln makes a distinction between primitive forms of life, which may well turn out to be common in the universe, and advanced forms of life that could head out from their home planets and contact us. In the book, he refers to those life forms as Aliens with an capital "A." Those types of Aliens are the main focus of "Alien Universe," as well as thousands if not millions of books and movies about extraterrestrials.
Surveys suggest that most Americans think such aliens have already visited Earth, and are behind at least some of the UFO sightings that have been reported over the past few decades. Today, the 1947 Roswell UFO Incident looms large on the list of UFO tales — but Lincoln said that story didn't make much of an impression when it happened.
"The Roswell saucer disappeared from history," Lincoln said. "It only reappeared in the 1970s when the National Enquirer reran the report from the Roswell Daily Record."
He said the interest in UFOs actually got more of a boost from other tales in the 1950s and '60s, such as George Adamski's stories of flying saucers and Betty and Barney Hill's account of an alien abduction. Such accounts triggered a long string of Hollywood productions, ranging from "The Day the Earth Stood Still" to "Men in Black." And such movies, in turn, make the public more receptive to UFO stories.
"There's a loop between the stories, the media and Hollywood — they feed each other," Lincoln said.
That kind of alien appeal is what drove Lincoln to write the book in the first place. He's a particle physicist, not an astrophysicist — but his interest in the prospects for intelligent life beyond Earth began long before his interest in the Large Hadron Collider. "Aliens are something that absolutely fascinated me when I was a kid," he said.
Source
Caudry: un OVNI dans le ciel de juillet; l’ufologue Claude Naglin a mené l’enquête (VIDÉO)
Il est plus de 22 heures, ce vendredi du mois de juillet. En cette soirée estivale, dans un quartier de Caudry, Mme X (les témoins ont souhaité garder l’anonymat) discute sur le pas de sa porte avec sa voisine. La météo est clémente. Le ciel est légèrement nuageux mais on distingue parfaitement la fin de la pleine lune qui est encore presque ronde. Tout à coup, les deux femmes sont attirées par une tache lumineuse qui se déplace dans le ciel sombre. Une boule orange lumineuse, sur leur gauche, un peu plus bas que la lune, expliquent les témoins. « Son contour était très précis, raconte l’ufologue Claude Naglin. On aurait dit une boule éclairée de l’intérieur. Elle se déplaçait parfois de quelques centimètres, en tous sens, de façon tout à fait aléatoire » Alertés, trois autres témoins se joignent aux deux voisines dont la petite-fille de l’une d’elle. « Elle a eu le réflexe de prendre son appareil photo, poursuit le spécialiste. Elle a immédiatement pris trois, quatre clichés de la manifestation puis elle est passée en mode vidéo. » Sur les photos, le phénomène est à peine visible. Mais la vidéo montre clairement une boule lumineuse qui semble alterner, de manière très rapide, des signaux vert, jaune, rouge, orange… « Cette boule pouvait faire quelques millimètres à bout de bras ; double décimètre tenu par les témoins au cours de l’enquête ! » L’observation, aux dires des témoins, aurait duré entre trente secondes et une minute. Mais au visionnage, le film affiche déjà 1 mn 46. « Après que la jeune fille a arrêté la caméra, l’objet s’est stabilisé, il est parti rapidement vers l’est et il a disparu derrière les maisons d’en face. » Encore sous le coup de l’étrange phénomène, les riverains resteront à échanger leurs impressions avant de se quitter, perplexes.
Mais leur surprise ne devait pas s’arrêter là. Le lendemain, sensiblement un peu plus tard que la veille, sans savoir ni comment ni depuis quand elle est là, ils aperçoivent la même sphère lumineuse. Elle se situe quasiment à la même hauteur que la veille mais un peu plus à l’ouest. « Cette fois, elle est restée parfaitement immobile, sans variations lumineuses ni de forme, mais elle paraissait un peu plus grosse. » À peine ont-ils le temps de réagir que le phénomène part à vive allure vers le nord, en passant au-dessus d’eux, avant de franchir la ligne de toit des habitations. « La boule grossissait au fur et à mesure qu’elle arrivait vers eux. On peut donc penser qu’elle se trouvait relativement bas. Son diamètre pouvait faire près d’un centimètre à bout de bras. » Les témoins sont formels : ils n’ont entendu aucun bruit. Cependant, ils ont noté deux phénomènes, « peut-être dus au hasard », au moment où la sphère est partie à grande vitesse : l’alarme d’un immeuble, à la verticale de son point de départ, s’est déclenchée et le chien d’une voisine s’est mis à aboyer quand elle est passée au-dessus de lui, « un comportement inhabituel chez lui ».
« Tous les témoins avaient bien sûr connaissance de ce que peuvent être des OVNIs mais ils ne s’y intéressaient pas particulièrement. », ajoute M. Naglin. Curieuse coïncidence : quelques semaines plus tard ils apprennent qu’une manifestation du même acabit a été observée à Mouscron (en Belgique), le 24 juillet (la vidéo est visible sur internet, ndlr), et dans d’autres villes du Nord. « Rien ne dit que c’était le même phénomène. ». Mais les similitudes sont troublantes.
Claude Naglin a donc mené l’enquête et tenté de recueillir d’autres témoignages notamment en collaboration avec le Cercle d’astronomie caudrésien. Mais le seul appel qu’il a reçu n’a pu être retenu. « Le problème c’est que quand les gens sont témoins de ce genre de phénomène, ils ne veulent rien dire de peur de se faire passer pour des illuminés ! » Alors il a avancé des pistes en éliminant les plus improbables. À cette période de l’année, on a souvent eu affaire à des lanternes thaïlandaises. « Impossible, ça ne se déplace pas aussi vite et de cette manière. Il faut éliminer cette hypothèse et celle de tout autre ballon dirigeable ». Un avion ? « Pareil, ça ne se déplace pas comme ça et en plus ça fait du bruit. » Après avoir récupéré la vidéo de la manifestation, le spécialiste a donc décidé de la transmettre au rédacteur en chef de la revue d’ufologie pour laquelle il travaille, « Lumière dans la nuit ». « S’il juge que ça doit être étudié, il l’enverra au CNRS ou ailleurs. » Mais pour Claude Naglin, il n’y a aucun doute : il s’agit bien d’un OVNI. Il en a d’ailleurs déjà vu plusieurs dans le Cambrésis depuis quarante ans qu’il s’intéresse au sujet. « Je ne me considère pas comme un spécialiste ; je suis simplement curieux et j’aime aller au bout des choses, conclut-il en souriant. Après celui-là, il y aura encore d’autres observations. Et si quelqu’un a assisté à ce phénomène ou à un autre, je suis à son écoute ! »
Claude Naglin : 03 27 75 11 01.
UFO Sightings People Who Summon UFOs Video Proof? Special Report October 18 2013 Watch Now =)
UFO Sightings Telepathic Communication With ETs Video Proof? The Men Who Summon UFOs! Fausto Perez, and Jim Martin Of CA Claim They Have The Power To Summon UFOs From Knowledge They Have Learned From Robert Bingham, The UFO Summoner! Incredible Insight And Exclusive Information On How They Do It!
Check out Fausto Perez Youtube Channel http://www.youtube.com/user/Liro51
Fausto Perez: facebook link of https://www.facebook.com/UFOsummoning
Check out Jim Martin Youtube Channel http://www.youtube.com/user/infamousf...
If you have captured anything Amazing regarding UFOs contact Thirdphaseofmoon Via Skype or Facebook!
Music by Eivind Bjordal & Paul Barrett Kvfive
Visit our new website http://www.thirdphaseofmoon.net/
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Twitter https://twitter.com/Thirphaseofmoon
http://www.blogtalkradio.com/thirdpha...
Supercraft on Gemini 11 photo?
It is at the bottom of the photo. Link - http://tothemoon.ser.asu.edu/data_g/G...
Streetcap1 is on Facebook - http://www.facebook.com/pages/Streetc...
Background music courtesy of Kevin MacLeod:
http://incompetech.com/music/royalty
Streetcap1 New Website - http://www.streetcap1.com
Triangular UFO over Amsterdam, Netherlands on 10/28/2013
This triangle shaped object was sighted near Amsterdam in Wormeveer, Netherlands. The film-maker discovered it to the east outside the village. Since it was windy he first thought at a kite. But it looked larger on the sky and it looked like made of some sort of metal. Also a string was not seen. The object did absolutely not move like a kite. As afterwards the object suddenly flew away lightning fast the film-maker was scared. It is again an UFO in a triangle shape, which often is seen in the year 2013.
UFOFilesTV is a "Latest UFO" channel on YouTube. Our goal is it to upload real UFO sightings because with today's modern Computer technology you can fake many things. Video Agency of Audio Color World own all distribution rights of the uploaded videos on our YouTube channel. If you like to use videos for uploads or commercial use please contact "info@videoagency.audiocolorworld.com".
OVNI En Mexico DF como Plato- UFO flying saucer Very high October 2013 Oddet Swlva
UFO flying saucer Very high October 2013 Oddet Swlva
Wednesday, October 30, 2013
Fukushima: minacciose ombre della mafia giapponese sulla ricostruzione
Qualcuno aveva ipotizzato che la criminalità organizzata potesse interessarsi al recupero della zona dello tsunami del 2011
Nei giorni scorsi è stato arrestato in Giappone un capo importante della Yakuza.
Yoshinori Arai, esponente di spicco della criminalità organizzata giapponeseè stato fermato ed interrogato dalle forze di polizia in merito ad alcuni strani movimenti di operai nelle zone di Fukushima.
In base a quanto filtrato da fonti vicine alla polizia, Arai sarebbe un membro anziano importante del gruppo locale del Sumiyoshi-kai, uno dei più potenti del Giappone. Arai avrebbe inviato uomini a Fukushima a lavorare per la ripulitura nel mese di novembre. La violazione per la quale l'arrestato sarebbe accusato sembra riguardi quella di una legge giapponese che obbliga al possesso di una licenza per svolgere attività di agenzia di collocamento.
Secondo l'accusa Arai ed altri collaboratori assumerebbero persone per svolgere attività di ricostruzione nelle zone terremotate e per la costruzione di alloggi temporanei destinati agli sfollati. Le prime ricostruzioni riferiscono di un'attività abbastanza ampia con cui Arai assumeva persone offrendo loro salari molto alti per svolgere lavori pericolosi e senza le dovute precauzioni.
Un giornalista giapponese che ha lavorato nelle zone vicine alla centrale nuclearedopo l'incidente di marzo 2011 e ha affermato che la yakuza è coinvolta nellafornitura di personale per la ripulitura delle zone colpite dal disastro.
Il giornalista, Tomohiko Suzuki, ha dichiarato all'Afp che i gruppi criminali hanno a lungo inviato aziende che hanno debiti con i gruppi mafiosi presso le centrali nucleari come un modo per pagare i prestiti concessi a tassi altissimi.
Da diverso tempo si susseguono le indagini su questo pericoloso traffico. Anche diversi giornalisti si sono interessati al caso che per certi versi assomiglia molto ai traffici fatti dalla Mafia italiana per i rifiuti ed altre attività nel campo dell'edilizia. Già nelle primissime ore dell'emergenza, nel marzo 2011, a fronte di un governo incerto e macchinoso, la Yakuza aveva già messo in campo migliaia di affiliati che sorvegliavano le zone disastrate e apportavano i primi soccorsi. La yakuza è impegnata in attività di droga, prostituzione e usura, racket, gioco d'azzardo, criminalità dei colletti bianchi e operazioni effettuate tramite società di copertura.
Le bande, che non sono illegali, sono state storicamente tollerate dalle autorità, anche se ci sono misure repressive periodiche su alcune delle loro attività meno pulite.
Fonte
Nei giorni scorsi è stato arrestato in Giappone un capo importante della Yakuza.
Yoshinori Arai, esponente di spicco della criminalità organizzata giapponeseè stato fermato ed interrogato dalle forze di polizia in merito ad alcuni strani movimenti di operai nelle zone di Fukushima.
In base a quanto filtrato da fonti vicine alla polizia, Arai sarebbe un membro anziano importante del gruppo locale del Sumiyoshi-kai, uno dei più potenti del Giappone. Arai avrebbe inviato uomini a Fukushima a lavorare per la ripulitura nel mese di novembre. La violazione per la quale l'arrestato sarebbe accusato sembra riguardi quella di una legge giapponese che obbliga al possesso di una licenza per svolgere attività di agenzia di collocamento.
Secondo l'accusa Arai ed altri collaboratori assumerebbero persone per svolgere attività di ricostruzione nelle zone terremotate e per la costruzione di alloggi temporanei destinati agli sfollati. Le prime ricostruzioni riferiscono di un'attività abbastanza ampia con cui Arai assumeva persone offrendo loro salari molto alti per svolgere lavori pericolosi e senza le dovute precauzioni.
Un giornalista giapponese che ha lavorato nelle zone vicine alla centrale nuclearedopo l'incidente di marzo 2011 e ha affermato che la yakuza è coinvolta nellafornitura di personale per la ripulitura delle zone colpite dal disastro.
Il giornalista, Tomohiko Suzuki, ha dichiarato all'Afp che i gruppi criminali hanno a lungo inviato aziende che hanno debiti con i gruppi mafiosi presso le centrali nucleari come un modo per pagare i prestiti concessi a tassi altissimi.
Da diverso tempo si susseguono le indagini su questo pericoloso traffico. Anche diversi giornalisti si sono interessati al caso che per certi versi assomiglia molto ai traffici fatti dalla Mafia italiana per i rifiuti ed altre attività nel campo dell'edilizia. Già nelle primissime ore dell'emergenza, nel marzo 2011, a fronte di un governo incerto e macchinoso, la Yakuza aveva già messo in campo migliaia di affiliati che sorvegliavano le zone disastrate e apportavano i primi soccorsi. La yakuza è impegnata in attività di droga, prostituzione e usura, racket, gioco d'azzardo, criminalità dei colletti bianchi e operazioni effettuate tramite società di copertura.
Le bande, che non sono illegali, sono state storicamente tollerate dalle autorità, anche se ci sono misure repressive periodiche su alcune delle loro attività meno pulite.
Fonte
Trema il Giappone, paura a Fukushima
Dopo il terremoto registrato poco fa a est dell'isola di Honshu di 7.3 gradi
Ha fatto temere un' onda anomala e ha fatto temere ancora per la centrale disastrata di Fukushima un terremoto di magnitudo 7.1 che ha colpito in mare a largo della costa centro-orientale del Giappone in piena notte, creando paura fra gli abitanti della prefettura di Miyagi, ai quali e' stato consigliato di allontanati dalla costa per l'allarme tsunami. La scossa, sentita in molte città e anche a Tokyo, è avvenuta alle 02:10 di notte (le 19:10 italiane), con epicentro nell'Oceano Pacifico a una profondità di 10 km nella crosta terrestre a 300 km a est della cittadina costiera di Ishinomashi, 500 km dalla capitale, secondo l'istituto geofisico statunitense Usgs, che in un primo momento aveva calcolato la magnitudo del sisma in 7.6 gradi Richter.
Non sono stati rilevati danni particolari in un Paese in cui l'edilizia antisismica è la norma e i terremoti quasi all'ordine del giorno. Ma è stato diramato un allarme tsunami per le zone costiere delle prefetture di Miyagi, Iwate e Fukushima di colore giallo, che implica la possibilita' di onde fino a un metro. E la Tepco, la compagnia che gestisce la centrale di Fukushima, ha immediatamente ordinato a tutto il personale al lavoro nell'impianto, duramente colpito dal terremoto magnitudo 9 e dal seguente devastante tsunami dell'11 marzo 2011, di sgomberare l'impianto. Lo tsunami si è poi risolto in poca cosa: la tv pubblica Nhk ha segnalato onde anomale di 55cm al porto di Onagawa, di 40cm nella baia di Kuji e sulla città di Soma, e di soli 30cm a Ishinomaki, che avrebbe dovuto essere la più esposta. L'allarme è rientrato dopo due ore e la Tepco poco dopo ha annunciato che il sisma non aveva provocato ulteriori danni alla centrale di Fukushima.
Fonte
La Nasa si costruisce un orto sullo spazio: in arrivo i kit per coltivare la lattuga
Roma – Gli astronauti passano nello
spazio molto tempo e nei momenti di pausa dal loro lavoro si potranno
dedicare d’ora in poi ad attività alternative, come per esempio la cura di un orto. La NASA infatti ha intenzione di ampliare entro l’anno il progetto denominato Veggie (Vegetable production system) e da quanto si apprende in questi giorni, sarebbe addirittura in procinto di spedire nello spazio sei piante di lattuga romana.
Queste andranno ad aggiungersi alla sperimentazione di produzione delle zucchine,
avvenuta in passato, grazie all’iniziativa dell’astronauta Don Pettit,
il quale ha affidato al proprio blog il racconto di questa curiosa
vicenda. Tra non molto i kit arriveranno nella stazione
spaziale, e solo allora potrà iniziare una nuova indagine: le piante
dovranno svilupparsi in totale assenza di gravità. Per il loro sviluppo
occorrerebbero circa ventotto giorni.
Una volta cresciute queste prime
piantine non potranno però essere consumate dai loro coltivatori, la
Nasa infatti ne ha disposto l’invio sulla Terra, previo congelamento,
affinché possano essere sottoposto a precisi esami. Dietro questa
decisione c’è la volontà di verificare se queste verdure possano essere
consumate dagli astronauti. Se il tutto dovesse avere successo, gli
astronauti potrebbero coltivare essi stessi l’insalata che andrebbero
poi a consumare nei loro pasti nello spazio. Questo
avrebbe dei grossi vantaggi non soltanto a livello economico per la
Nasa, ma contribuirebbe anche a rendere variegata la dieta dei
professionisti, che sono costretti necessariamente a fare delle rinunce.
L’orto spaziale potrebbe presto dotarsi
di aree ben più grandi e ospitare anche ulteriori colture. Tra non molto
le piantine di lattuga romana potrebbero crescere grazie all’apporto di
speciali lampade a led rosa. Insomma tra non molto sulla stazione
spaziale internazionale potrebbe sorgere un vero e proprio orto
botanico, ad uso esclusivo di chi vi lavora.
Astronomia: scoperta la galassia più distante e antica mai osservata, si chiama “z8_GND_5296″
di
Peppe Caridi
Un
nuovo record nell’Universo. Un gruppo internazionale di astronomi ha
scoperto la galassia più antica e distante dal sistema solare durante le
osservazioni con un telescopio dal cratere del Mauna Kea, un vulcano
spento nell’isola di Hawaii. È stata chiamata z8_GND_5296,
si trova a 30 miliardi di anni luce dalla Terra e si sarebbe formata a
solo 700 milioni di anni dal Big Bang, o 13,1 miliardi di anni fa.
Gli studiosi – guidati da Steven Finkelstein della University of Texas e di cui fa parte anche l’italiano Adriano Fontana, Osservatorio di Roma – sono riusciti nell’impresa grazie a un nuovo strumento a infrarossi installato lo scorso anno sul telescopio Keck. “Questa è una ricerca per scoprire le nostre origini“, ha detto Finkelstein. “Continuando ad andare indietro nel tempo stiamo realmente studiando l’origine della Via Lattea, la nostra galassia“.
Il nuovo filtro posto sul telescopio permette di arrivare ad osservazioni precise evitando che – a causa dell’espansione dell’Universo e della interferenza di altri corpi celesti – le informazioni sulla distanze arrivino falsate. Più la gallassia appare rossa e più è lontana e z8_GND_5296 aveva un colore di metallo ossidato, hanno detto gli astronomi.
La formazione della nuova galassia sarebbe avvenuta 40 milioni di anni prima della più antica osservata fino adesso. Ha una massa superiore di un miliardo di volte a quella del Sole, mentre la sua luminosità è di 40-50 miliardi di volte più alta di quella della Via Lattea. E ancora z8_GND_5296 produce stelle a una velocità di 150 volte superiore a quella della Via Lattea. La scoperta è stata messa a segno dal programma Candels che ha analizzato 43 formazioni stellari (da 100.000 galassie potenziali) arrivando a decretare z8_GND_5296 la più antica.
Gli studiosi – guidati da Steven Finkelstein della University of Texas e di cui fa parte anche l’italiano Adriano Fontana, Osservatorio di Roma – sono riusciti nell’impresa grazie a un nuovo strumento a infrarossi installato lo scorso anno sul telescopio Keck. “Questa è una ricerca per scoprire le nostre origini“, ha detto Finkelstein. “Continuando ad andare indietro nel tempo stiamo realmente studiando l’origine della Via Lattea, la nostra galassia“.
Il nuovo filtro posto sul telescopio permette di arrivare ad osservazioni precise evitando che – a causa dell’espansione dell’Universo e della interferenza di altri corpi celesti – le informazioni sulla distanze arrivino falsate. Più la gallassia appare rossa e più è lontana e z8_GND_5296 aveva un colore di metallo ossidato, hanno detto gli astronomi.
La formazione della nuova galassia sarebbe avvenuta 40 milioni di anni prima della più antica osservata fino adesso. Ha una massa superiore di un miliardo di volte a quella del Sole, mentre la sua luminosità è di 40-50 miliardi di volte più alta di quella della Via Lattea. E ancora z8_GND_5296 produce stelle a una velocità di 150 volte superiore a quella della Via Lattea. La scoperta è stata messa a segno dal programma Candels che ha analizzato 43 formazioni stellari (da 100.000 galassie potenziali) arrivando a decretare z8_GND_5296 la più antica.
Gli errori della scienza
Scienziati pronti a pubblicare qualsiasi cosa per ottenere fondi. Riviste che privilegiano le scoperte eclatanti. Studi inaccurati e poche verifiche. L’inchiesta dell’Economist
In edicola e librerie
Scoperto un sistema extrasolare con sette pianeti
Roma 24 ott. (TMNews) – Gli astronomi dell’Università britannica di Oxford hanno scoperto un sistema extrasolare formato da sette pianeti, il più affollato mai rilevato fino ad ora.
Come spiega il sito della Bbc, la ricerca si è avvalsa dei dati – pubblici – ricavati dal telescopio spaziale “Keplero”, dedicato proprio alla scoperta di esopianeti.
Il sistema in questione ha alcune somiglianza con il nostro, nel senso che i pianeti rocciosi occupano le orbite più interne e i “giganti gassosi” quelle più esterne; tuttavia, tutti e sette si trovano a distanze molto inferiori dalla loro stella (Kic 11442793, lontana circa 2.500 anni luce) rispetto alla media dei pianeti del sistema solare: di fatto, l’intero sistema ha un raggio inferiore alla distanza fra la Terra e il Sole.
Da notare il fatto che l’esistenza dei sette pianeti è sfuggita agli algoritmi di calcolo automatici che analizzano i dati di 2Keplero”, forse confusi dalla molteplicità dei transiti davanti alla stella: ma in questo genere di situazioni, notano gli astronomi, l’apparato visivo degli esseri umani non ha rivali.
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Ricercatori russi ricavano benzina dalla spazzatura! Ritorno al Futuro diventa realtà…
L’impianto può essere caricato con tutti i rifiuti contenenti carbonio, e
cioè mozziconi di sigarette, cenere, carta straccia, segatura. Si preme
un bottone e il cumulo di spazzatura sparisce dentro l’impianto
Ricordate Mr.Fusion di Ritorno al Futuro II, il marchingegno ideato da Doc Emmet Brown capace di ricavare energia dalla spazzatura?
Ebbene, secondo quanto riportato da La Voce della Russia, un team di ingegneri russi dalla città siberiana di Tomsk ha creato un impianto che trasforma la spazzatura ordinaria in benzina.
L’impianto può essere caricato con tutti i rifiuti contenenti carbonio, e cioè mozziconi di sigarette, cenere, carta straccia, segatura. Si preme un bottone e il cumulo di spazzatura sparisce dentro l’impianto.
I rifiuti vi vengono sminuzzati e poi trattati in un reattore speciale, dove dai composti ottenuti di carbonio e di idrogeno viene sintetizzata la benzina. L’impianto sperimentale può produrre fino a 200 litri di carburante all’ora. Tutto dipende dal nostro desiderio, rassicura Serghej Zotov, progettista capo dello studio sperimentale.
“Possiamo modificare i parametri e cominciare a produrre un carburante più pesante. Ad esempio, nafta o cherosene per aerei. Per ottenere altri elementi, ad esempio alcol, basta semplicemente cambiare le regolazioni dell’impianto”, spiega Zotov. Il costo di produzione del carburante è fantastico, e cioè 0,001 euro al litro.
Source
Ricordate Mr.Fusion di Ritorno al Futuro II, il marchingegno ideato da Doc Emmet Brown capace di ricavare energia dalla spazzatura?
Ebbene, secondo quanto riportato da La Voce della Russia, un team di ingegneri russi dalla città siberiana di Tomsk ha creato un impianto che trasforma la spazzatura ordinaria in benzina.
L’impianto può essere caricato con tutti i rifiuti contenenti carbonio, e cioè mozziconi di sigarette, cenere, carta straccia, segatura. Si preme un bottone e il cumulo di spazzatura sparisce dentro l’impianto.
I rifiuti vi vengono sminuzzati e poi trattati in un reattore speciale, dove dai composti ottenuti di carbonio e di idrogeno viene sintetizzata la benzina. L’impianto sperimentale può produrre fino a 200 litri di carburante all’ora. Tutto dipende dal nostro desiderio, rassicura Serghej Zotov, progettista capo dello studio sperimentale.
“Possiamo modificare i parametri e cominciare a produrre un carburante più pesante. Ad esempio, nafta o cherosene per aerei. Per ottenere altri elementi, ad esempio alcol, basta semplicemente cambiare le regolazioni dell’impianto”, spiega Zotov. Il costo di produzione del carburante è fantastico, e cioè 0,001 euro al litro.
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Il nostro cervello è una macchina olografica funzionante in un universo olografico: la Teoria del Cervello Olonomico
Come e dove i ricordi vengono immagazzinati nel cervello? Ci sono
particolari aree dedicate nel nostro organo cerebrale? Che significa che
il nostro cervello funziona come un ologramma?
Se dicessi che il nostro cervello è un meccanismo olografico che funziona all’interno di un intero universo olografico, uno potrebbe pensare almeno tre cose:
1) che sto raccontando la trama di un film, sicuramente quella di ‘Matrix’, o quella de ‘Il Tredicesimo Piano’;
2) che, condizionato da questi film, in un delirio fuffaro mi sono convinto di questa condizione;
3) che, in un caso più benevolo, questa un’affermazione del genere comporta una serie di domande esistenziali non indifferenti.
A trarre questa sconcertante conclusione è stato, in realtà, il dottor. Karl Pribram, un medico neurochirurgo austriaco, professore di psichiatria e psicologia in varie università americane, tra cui la Stanford University e la Georgetown University.
La ricerca parte da una domanda fondamentale che Pribram si è fatto sin dall’inizio della sua carriera: come e dove i ricordi vengono immagazzinati nel cervello? Ci sono particolari aree dedicate nel nostro organo cerebrale?
Durante le sue ricerche, mentre cercava di capire quale fossero le aree del cervello adibite alla memorizzazione, Pribram si rese conto che il cervello umano funziona in maniera olografica. Che significa questo?
I suoi studi rivelarono che i ricordi non vengono conservati in una determinata parte del cervello, come i files in un hard disk, ma erano piuttosto distribuiti in tutto il cervello nel suo insieme.
Infatti, alcune persone che hanno subito l’asportazione chirurgica di una parte del cervello, non hanno mostrato la perdita di ricordi specifici.
Ma, essendo un medico e non un matematico, Pribram non era in grado di comprendere il funzionamento di questo sistema, fino a quando non si imbattè nel concetto di olografia per la prima volta.
E’ proprio così che funziona un ologramma: ogni sua parte contiene l’intera informazione. In pratica, succede che se taglio l’ologramma in due parti, una volta illuminate dal laser, entrambe mostreranno sempre l’oggetto olografico per intero. Semplicemente, in ogni sua parte è immagazzina la versione completa di tutta l’informazione.
Nasce così una fruttuosa collaborazione con David Böhm, fisico e filosofo statunitense, che portò nel 1987 all’elaborazione della Teoria del Cervello Olonomico, la quale consiste in una descrizione in termini matematici dei processi neuronali che rendono il nostro cervello capace di comprendere le informazioni che si presenterebbero sotto forma di onde, per poi trasformarle in immagini tridimensionali.
Sostanzialmente, noi non vedremmo gli oggetti ‘per come sono’ (in accordo con quanto dice la teoria della relatività generale), ma solamente la loro informazione quantistica.
Gli scienziati del 20° secolo, grazie ad alcuni esperimenti con gli elettroni, hanno scoperto la doppia natura di queste particelle fondamentali della materia, vale a dire, che gli elettroni, come altre particelle quantistiche, vengono da noi percepiti come singole unità, mentre in realtà sono forme d’onda presenti in più punti simultaneamente.
Secondo quanto scritto nel suo libro ‘Universo, mente e materia’, pubblicato nel 1996, Böhm suggerisce che nell’universo esisterebbero un ordine ‘implicito’, che non vediamo e che egli paragona ad un ologramma nel quale la sua struttura complessiva è identificabile in ogni sua singola parte, e uno ‘esplicito’ che è ciò che realmente vediamo. Quest’ultimo sarebbe il risultato dell’interpretazione che il nostro cervello ci offre delle onde (o pattern) di interferenza che compongono l’universo.
La collaborazione tra i due ricercatori rivelò che anche il cervello e la memoria funzionano in una maniera molto simile. I ricordi, invece di essere immagazzinati nei neuroni, vengono codificati in impulsi che attraversano l’intero cervello, nello stesso modo in cui fa un laser quando colpisce una pellicola con un ologramma, generando l’immagine tridimensionale.
Ogni minima porzione del cervello sembra contenere l’intera memoria del cervello, il che significa che il cervello è in sè stesso un ologramma! Come è possibile per ogni porzione di una pellicola contenere tutte le informazioni per completare l’immagine, allo stesso modo ogni parte del cervello contiene le informazioni indispensabili per richiamare un’intera memoria.
John Von Neumann, uno dei più grandi geni del 20° secolo, calcolò che il cervello umano, nel corso di una vita media, è in grado di memorizzare 280 trilioni (280 seguito da 18 zeri) di bit d’informazione.
Se il cervello è un ologramma, significa che ogni parte del cervello è in grado di contenere una quantità di dati mostruosa. Forse, è proprio questa struttura a garantire la nostra capacità quasi soprannaturale di recuperare rapidamente qualsiasi informazione immagazzinata nella nostra memoria.
Pribram e Bohm hanno convenuto che il cervello è una sorta di “super-ologramma”, dove sono contenute le informazioni sul passato, del presente e del futuro, molto simile a un compact disc che contiene ancora le informazioni e che può essere letto, o decodificato, da un raggio laser.
Con questo modello, Pribram ha quindi teorizzato che le informazioni e i ricordi immagazzinati nel nostro cervello, non vengano “registrati” nei neuroni, ma siano il risultato di figure (o pattern) d’onda interferenti, spiegando in tal modo la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo.
Ad ascoltare queste teorie si può davvero rimanere scioccati, soprattutto ora che abbiamo intrapreso la rivoluzione digitale.
Quando pensiamo che la nostra realtà, il nostro cervello e noi stessi, potrebbero essere degli ologrammi, subito associamo la parola all’informatica, cominciando a chiederci se non viviamo in una enorme simulazione computerizzata, o che siamo i personaggi di un videogame o che, addirittura, siamo schiavi di una progenie maligna che ha creato una prigione per le nostre menti.
A questo punto, ognuno sarebbe legittimato a credere che la sua vita non abbia alcun valore, che è tutto falso e che viviamo all’interno di una illusione. Attenzione però: ‘olografico’ non significa ‘virtuale’, nemmeno ‘illusorio’.
La domanda da porsi è: sapere che il nostro universo e noi stessi funzioniamo come ologrammi, azzera il senso della domanda esistenziale? A mio avviso, no. Credo che la domanda sul senso della propria esistenza attenda la risposta ad un ‘perchè’, non ad un ‘come’.
Sapere che il nostro universo (e noi stessi) siamo un aggregato di microparticelle indivisibili tenute insieme da qualcosa, o che la natura del nostro universo è di tipo olografico, cambia la risposta a ‘perchè esistiamo’?
Fonte
Se dicessi che il nostro cervello è un meccanismo olografico che funziona all’interno di un intero universo olografico, uno potrebbe pensare almeno tre cose:
1) che sto raccontando la trama di un film, sicuramente quella di ‘Matrix’, o quella de ‘Il Tredicesimo Piano’;
2) che, condizionato da questi film, in un delirio fuffaro mi sono convinto di questa condizione;
3) che, in un caso più benevolo, questa un’affermazione del genere comporta una serie di domande esistenziali non indifferenti.
A trarre questa sconcertante conclusione è stato, in realtà, il dottor. Karl Pribram, un medico neurochirurgo austriaco, professore di psichiatria e psicologia in varie università americane, tra cui la Stanford University e la Georgetown University.
La ricerca parte da una domanda fondamentale che Pribram si è fatto sin dall’inizio della sua carriera: come e dove i ricordi vengono immagazzinati nel cervello? Ci sono particolari aree dedicate nel nostro organo cerebrale?
Durante le sue ricerche, mentre cercava di capire quale fossero le aree del cervello adibite alla memorizzazione, Pribram si rese conto che il cervello umano funziona in maniera olografica. Che significa questo?
I suoi studi rivelarono che i ricordi non vengono conservati in una determinata parte del cervello, come i files in un hard disk, ma erano piuttosto distribuiti in tutto il cervello nel suo insieme.
Infatti, alcune persone che hanno subito l’asportazione chirurgica di una parte del cervello, non hanno mostrato la perdita di ricordi specifici.
Ma, essendo un medico e non un matematico, Pribram non era in grado di comprendere il funzionamento di questo sistema, fino a quando non si imbattè nel concetto di olografia per la prima volta.
E’ proprio così che funziona un ologramma: ogni sua parte contiene l’intera informazione. In pratica, succede che se taglio l’ologramma in due parti, una volta illuminate dal laser, entrambe mostreranno sempre l’oggetto olografico per intero. Semplicemente, in ogni sua parte è immagazzina la versione completa di tutta l’informazione.
Nasce così una fruttuosa collaborazione con David Böhm, fisico e filosofo statunitense, che portò nel 1987 all’elaborazione della Teoria del Cervello Olonomico, la quale consiste in una descrizione in termini matematici dei processi neuronali che rendono il nostro cervello capace di comprendere le informazioni che si presenterebbero sotto forma di onde, per poi trasformarle in immagini tridimensionali.
Sostanzialmente, noi non vedremmo gli oggetti ‘per come sono’ (in accordo con quanto dice la teoria della relatività generale), ma solamente la loro informazione quantistica.
Gli scienziati del 20° secolo, grazie ad alcuni esperimenti con gli elettroni, hanno scoperto la doppia natura di queste particelle fondamentali della materia, vale a dire, che gli elettroni, come altre particelle quantistiche, vengono da noi percepiti come singole unità, mentre in realtà sono forme d’onda presenti in più punti simultaneamente.
Secondo quanto scritto nel suo libro ‘Universo, mente e materia’, pubblicato nel 1996, Böhm suggerisce che nell’universo esisterebbero un ordine ‘implicito’, che non vediamo e che egli paragona ad un ologramma nel quale la sua struttura complessiva è identificabile in ogni sua singola parte, e uno ‘esplicito’ che è ciò che realmente vediamo. Quest’ultimo sarebbe il risultato dell’interpretazione che il nostro cervello ci offre delle onde (o pattern) di interferenza che compongono l’universo.
La collaborazione tra i due ricercatori rivelò che anche il cervello e la memoria funzionano in una maniera molto simile. I ricordi, invece di essere immagazzinati nei neuroni, vengono codificati in impulsi che attraversano l’intero cervello, nello stesso modo in cui fa un laser quando colpisce una pellicola con un ologramma, generando l’immagine tridimensionale.
Ogni minima porzione del cervello sembra contenere l’intera memoria del cervello, il che significa che il cervello è in sè stesso un ologramma! Come è possibile per ogni porzione di una pellicola contenere tutte le informazioni per completare l’immagine, allo stesso modo ogni parte del cervello contiene le informazioni indispensabili per richiamare un’intera memoria.
John Von Neumann, uno dei più grandi geni del 20° secolo, calcolò che il cervello umano, nel corso di una vita media, è in grado di memorizzare 280 trilioni (280 seguito da 18 zeri) di bit d’informazione.
Se il cervello è un ologramma, significa che ogni parte del cervello è in grado di contenere una quantità di dati mostruosa. Forse, è proprio questa struttura a garantire la nostra capacità quasi soprannaturale di recuperare rapidamente qualsiasi informazione immagazzinata nella nostra memoria.
Pribram e Bohm hanno convenuto che il cervello è una sorta di “super-ologramma”, dove sono contenute le informazioni sul passato, del presente e del futuro, molto simile a un compact disc che contiene ancora le informazioni e che può essere letto, o decodificato, da un raggio laser.
Con questo modello, Pribram ha quindi teorizzato che le informazioni e i ricordi immagazzinati nel nostro cervello, non vengano “registrati” nei neuroni, ma siano il risultato di figure (o pattern) d’onda interferenti, spiegando in tal modo la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente piccolo.
Conseguenze esistenziali
Ad ascoltare queste teorie si può davvero rimanere scioccati, soprattutto ora che abbiamo intrapreso la rivoluzione digitale.
Quando pensiamo che la nostra realtà, il nostro cervello e noi stessi, potrebbero essere degli ologrammi, subito associamo la parola all’informatica, cominciando a chiederci se non viviamo in una enorme simulazione computerizzata, o che siamo i personaggi di un videogame o che, addirittura, siamo schiavi di una progenie maligna che ha creato una prigione per le nostre menti.
A questo punto, ognuno sarebbe legittimato a credere che la sua vita non abbia alcun valore, che è tutto falso e che viviamo all’interno di una illusione. Attenzione però: ‘olografico’ non significa ‘virtuale’, nemmeno ‘illusorio’.
La domanda da porsi è: sapere che il nostro universo e noi stessi funzioniamo come ologrammi, azzera il senso della domanda esistenziale? A mio avviso, no. Credo che la domanda sul senso della propria esistenza attenda la risposta ad un ‘perchè’, non ad un ‘come’.
Sapere che il nostro universo (e noi stessi) siamo un aggregato di microparticelle indivisibili tenute insieme da qualcosa, o che la natura del nostro universo è di tipo olografico, cambia la risposta a ‘perchè esistiamo’?
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Scie Chimiche: sperimentazioni e guerra ambientale nel 2013
29 ott 2013 - di Gianni Lannes - Si sa che l'aria ormai è irrespirabile e che il nostro cibo è sempre più artificiale, come la sopravvivenza, non più la vita. Ecco:
una camera a gas su scala planetaria: regia dell'Onu, vale a dire delle
multinazionali che controllano governi e banche d'affari.
Inimmaginabile. Il più grave crimine contro l'umanità è in atto, sotto i
nostri occhi distratti e la coscienza in letargo. E dire che c'è ancora
qualcuno che blatera - magar
i in buona fede - di petizioni per portare il prodiblema
all'attenzione di chi comanda per conto terzi. Inverosimile, anzi
incredibile, ma è la realtà con cui dobbiamo fare i conti oggi, evitando
il "divide et impera" che ci vuole consumatori di merci avariate e tifosi che si scannano tra di loro.
Provo a spiegare la situazione in modo molto semplice, così da farmi comprendere urbi et orbi. Qui
è in gioco la sopravvivenza della specie umana, perché comunque vada a
finire, il pianeta Terra sopravviverà alla catastrofe della bestia
"uomo" dopo simili progetti mascherati della scienza ormai asservita al
potere.
Piemonte (Italia, autunno 2013): irrorazione di scie chnimiche - foto Ferioli |
Domande
cruciali: In che modo avvengono questi esperimenti? Quali sostanze
vengono utilizzate? Chi gestisce questo tipo di operazioni? E
soprattutto, per quale ragione ai sensi della Convenzione di Aarhus del
25 giugno 1998, la popolazione dell’Europa non è stata preventivamente
informata?
Impossibile
smentire quello che miliardi di persone, vedono e sono costrette a
respirare ogni giorno, anche se i negazionisti più o meno prezzolati o
proprio dementi, blaterano ad ogni diktat dei sedicenti padroni del
globo terrestre, forti del controllo totale dei mass media. Così chi
comanda preferisce mentire spudoratamente o tacere vergognosamente. Non
potrà mai esserci un'ammissione ufficiale, altrimenti sarebbe una
rivoluzione immediata, e quindi la fine di questi potenti che
tiranneggiano il genere umano.
La
mappa mondiale - pubblicata dall’ETC Group, riedita in Gran Bretagna
anche dal giornale The Guardian - conferma che l'Italia, così come
Europa, le Americhe, buona parte dell’Africa sono le aree più
interessate al grave fenomeno in atto - sotto il beneplacito dell’Onu e
dell’Unione europea, nonché del Fondo monetario internazionale e delle
più potenti banche del pianeta - che manipola il clima, inquina Gaia,
avvelena gli esseri umani.
Alla radice del problema: i test nucleari di Usa, Urss, Francia, Gran Bretagna e Israele a
partire dagli anni ’50 hanno alterato il clima e provocato un
inquinamento radioattivo irreversibile. Altro che buco dell’ozono
scaturito dall’inquinamento industriale.
Numerosi
governi controllati dalle potenti multinazionali della chimica e
numerose università. nonché le rispettive forze armate, in primis la Nato,
conducono esperimenti segreti - nel senso che vengono negati e alla
popolazione non è mai stato richiesto un consenso - tesi ad incrementare
o ridurre le precipitazioni atmosferiche, operazioni di “solar radiation management”
vale a dire “gestione delle radiazioni solari” che consistono nel
creare nubi artificiali capaci di "filtrare" i raggi del sole e ridurre
le radiazioni, esperimenti di “air capture” che dovrebbero consentire di limitare la presenza di anidride carbonica nell'atmosfera per limitare il global warming, ossia il riscaldamento globale, e operazioni di ocean fertilization,
che consistono nell'immettere nelle acque sostanze che favoriscono la
crescita di alghe capaci di assorbire l'anidride carbonica.
Perché ridurre le precipitazioni atmosferiche?
In
Italia sono stati condotti esperimenti per dimezzare le precipitazioni
atmosferiche, di cui non solo non si comprende l'utilità, visto che il
nostro Paese non è interessato a problemi dovuti alle eccessive
precipitazioni; anzi, alcune Regioni sono a rischio desertificazione, in
particolare, Sicilia, Puglia, e Sardegna.
I
cieli vengono quotidianamente irrorati con massicce dosi di sostanze
tossiche (alluminio e bario), nocive per la salute, con lo scopo di
modificare e controllare il clima a piacimento. E’ fin troppo evidente
(lapalissiano), che non c’è alcuna teoria del complotto, ma un
avvelenamento di massa, a cui si reagisce solo con una ribellione
planetaria.
Riferimenti:
L’oceano Pacifico è morto. Il resoconto di una traversata fa il giro del mondo
L’oceano Pacifico è morto, è svuotato di ogni vita. Ci sono solo rifiuti e barche per la pesca industriale intente a saccheggiare accuratamente quel poco che è ancora rimasto
Sta facendo il giro del mondo, sui media di lingua inglese, il racconto struggente, tragico e a suo modo poetico di un marinaio, Ivan Macfadyen (foto), che ha ripetuto la traversata del Pacifico effettuata dieci anni fa. Allora fra l’Australia e il Giappone bastava buttare la lenza per procurare pranzo e cena succulenti. Stavolta in tutto due sole prede. Dal Giappone alla California, poi, l’oceano è diventato un deserto assoluto formato da acqua e rottami.
Nessun animale. Non un solo richiamo di uccelli marini. Solo il rumore del vento, delle onde e dei grossi detriti che sbattono contro la chiglia.
Il racconto di Ivan Macfadyen, vecchio marinaio col cuore spezzato dopo 28 giorni di desolata navigazione nel Pacifico, è stato raccolto dall’australiano The Newcastle Herald ed è stato variamente ripreso da decine e decine di testate, tutte in inglese.
Macfadyen ha navigato con il suo equipaggio a bordo del Funnel Web sulla rotta Melbourne -Osaka – San Francisco. Dice di aver percorso in lungo e in largo gli oceani per moltissimi anni, dice di aver sempre visto uccelli marini che pescavano o che si posavano sulla nave per riposarsi e farsi trasportare. E poi delfini, squali, pesci, tartarughe… Stavolta nulla di tutto ciò: nulla di vivo per oltre 3.000 miglia nautiche.
Unica apparizione, poco a Nord della Nuova Guinea, quella di una flotta per la pesca industriale accanto ad una barriera corallina. Volevano solo il tonno, tiravano e ributtavano in mare – morta – ogni altra creatura marina.
E poi la parte più allucinante del viaggio, quella dal Giappone alla California, costantemente accompagnata dalla gran quantità di rottami trascinati in mare dallo tsunami del 2011, quello che ha innescato la crisi di Fukushima.
Rottami, rottami grandi e piccoli ovunque: impossibile perfino accendere il motore. Rottami non solo in superficie ma anche sui fondali, come si vedeva chiaramente nelle acque cristalline delle Hawaii. E poi plastica, rifiuti di plastica dappertutto.
Nel racconto di Ivan Macfadyen un solo elemento è direttamente riconducibile ai tre reattori nucleari in meltdown sulla costa giapponese: dice di aver raccolto campioni destinati ad essere esaminati per la radioattività e di aver compilato durante il viaggio questionari periodici in seguito a richieste provenienti dal mondo accademico statunitense.
Però non si può non pensare a Fukushima quando Macfadyen afferma che nelle acque del Giappone il Funnel Web ha perso il suo colore giallo brillante e quando dice che uno dei pochissimi esseri viventi incontrati dal Giappone alla California era una balena che sembrava in fin di vita per un grosso tumore sul capo.
Sui social e nei commenti sul web si fa un gran parlare della relazione fra Fukishima e l’assenza di esseri viventi fra Giappone e California.
Io sottolineo tre elementi: primo, la sorgente di radioattività di Fukushima, sebbene molto intensa, paragonata alla vastità dell’oceano diventa come uno sputo in un fiume; secondo, nei dintorni di Fukushima e prima di diluirsi nella vastità dell’oceano la radioattività effettivamente si accumula nella catena alimentare e vi resterà per molti decenni; terzo, una desolazione vasta e assoluta come quella raccontata da Macfadyen si sposa benissimo con gli effetti della pesca industriale dissennata, senza bisogno alcuno di scomodare la radioattività i cui effetti sensibili – stando alle informazioni note – si limitano al tratto di mare davanti ad una parte delle coste giapponesi.
Il Pacifico è morto – si è rotto, per usare l’espressione di Macfadyen – e l’ha ucciso il genere umano, che sta al pianeta come una nuvola di cavallette sta ad un campo di grano. Macfadyen, raccolta il The Newcastle Herald nel seguito della storia, non ha voluto rilasciare altre interviste dopo quella che ha fatto così tanto rumore. Desidera però che il mondo sia consapevole di quanto egli ha visto. Accontentiamolo.
Fonte
Sta facendo il giro del mondo, sui media di lingua inglese, il racconto struggente, tragico e a suo modo poetico di un marinaio, Ivan Macfadyen (foto), che ha ripetuto la traversata del Pacifico effettuata dieci anni fa. Allora fra l’Australia e il Giappone bastava buttare la lenza per procurare pranzo e cena succulenti. Stavolta in tutto due sole prede. Dal Giappone alla California, poi, l’oceano è diventato un deserto assoluto formato da acqua e rottami.
Nessun animale. Non un solo richiamo di uccelli marini. Solo il rumore del vento, delle onde e dei grossi detriti che sbattono contro la chiglia.
Il racconto di Ivan Macfadyen, vecchio marinaio col cuore spezzato dopo 28 giorni di desolata navigazione nel Pacifico, è stato raccolto dall’australiano The Newcastle Herald ed è stato variamente ripreso da decine e decine di testate, tutte in inglese.
Macfadyen ha navigato con il suo equipaggio a bordo del Funnel Web sulla rotta Melbourne -Osaka – San Francisco. Dice di aver percorso in lungo e in largo gli oceani per moltissimi anni, dice di aver sempre visto uccelli marini che pescavano o che si posavano sulla nave per riposarsi e farsi trasportare. E poi delfini, squali, pesci, tartarughe… Stavolta nulla di tutto ciò: nulla di vivo per oltre 3.000 miglia nautiche.
Unica apparizione, poco a Nord della Nuova Guinea, quella di una flotta per la pesca industriale accanto ad una barriera corallina. Volevano solo il tonno, tiravano e ributtavano in mare – morta – ogni altra creatura marina.
E poi la parte più allucinante del viaggio, quella dal Giappone alla California, costantemente accompagnata dalla gran quantità di rottami trascinati in mare dallo tsunami del 2011, quello che ha innescato la crisi di Fukushima.
Rottami, rottami grandi e piccoli ovunque: impossibile perfino accendere il motore. Rottami non solo in superficie ma anche sui fondali, come si vedeva chiaramente nelle acque cristalline delle Hawaii. E poi plastica, rifiuti di plastica dappertutto.
Nel racconto di Ivan Macfadyen un solo elemento è direttamente riconducibile ai tre reattori nucleari in meltdown sulla costa giapponese: dice di aver raccolto campioni destinati ad essere esaminati per la radioattività e di aver compilato durante il viaggio questionari periodici in seguito a richieste provenienti dal mondo accademico statunitense.
Però non si può non pensare a Fukushima quando Macfadyen afferma che nelle acque del Giappone il Funnel Web ha perso il suo colore giallo brillante e quando dice che uno dei pochissimi esseri viventi incontrati dal Giappone alla California era una balena che sembrava in fin di vita per un grosso tumore sul capo.
Sui social e nei commenti sul web si fa un gran parlare della relazione fra Fukishima e l’assenza di esseri viventi fra Giappone e California.
Io sottolineo tre elementi: primo, la sorgente di radioattività di Fukushima, sebbene molto intensa, paragonata alla vastità dell’oceano diventa come uno sputo in un fiume; secondo, nei dintorni di Fukushima e prima di diluirsi nella vastità dell’oceano la radioattività effettivamente si accumula nella catena alimentare e vi resterà per molti decenni; terzo, una desolazione vasta e assoluta come quella raccontata da Macfadyen si sposa benissimo con gli effetti della pesca industriale dissennata, senza bisogno alcuno di scomodare la radioattività i cui effetti sensibili – stando alle informazioni note – si limitano al tratto di mare davanti ad una parte delle coste giapponesi.
Il Pacifico è morto – si è rotto, per usare l’espressione di Macfadyen – e l’ha ucciso il genere umano, che sta al pianeta come una nuvola di cavallette sta ad un campo di grano. Macfadyen, raccolta il The Newcastle Herald nel seguito della storia, non ha voluto rilasciare altre interviste dopo quella che ha fatto così tanto rumore. Desidera però che il mondo sia consapevole di quanto egli ha visto. Accontentiamolo.
Fonte
E se gli animali facessero a noi quello che noi facciamo loro?
DI FRANCO LIBERO MANCO
luigiboschi.it Da
millenni noi esseri umani sfruttiamo sistematicamente gli animali,
tormentandoli in ogni modo, coinvolgendoli in tutte le nostre losche
situazioni belliche, uccidendoli nei mattatoi, nei boschi, nei mari,
costringendoli a lavorare per noi come schiavi, e oggi sperimentando su
di loro ogni tecnica chirurgica, ogni medicinale, ogni veleno, ogni
cosmetico, ogni prodotto chimico, rubando loro non solo la libertà, il
loro manto, il loro latte, le loro uova, il loro miele, ma anche il loro
unico bene, la vita.
E se per ipotesi gli animali facessero a noi quello che noi facciamo a loro?
Se fin della
nostra nascita gli animali avessero il potere di privare noi e i nostri
bambini della libertà e della luce del sole e ci allevassero in gabbie e
in capannoni lager per tutta la nostra vita per poi ucciderci nel modo
più crudele sezionando ogni parte del nostro corpo e mangiassero i
nostri arti, il nostro cuore, il nostro fegato, il nostro cervello, i
nostri polmoni, i nostri intestini, la nostra lingua e scaricassero il
nostro sangue nelle fogne come succede nei mattatoi?
Se le donne
venissero ingravidate con mezzi rudimentali e meccanici, come succede
per le mucche, per farle partorire continuamente e dopo il parto gli
animali, ghiotti del latte delle nostre donne, sottraessero i bambini
alle loro madri, li richiudessero in gabbie alimentandoli con pastoni
innaturali e dopo pochi mesi li uccidessero per mangiare le loro tenere
carni, e le donne disperate e rese folli dal dolore quando non più in
grado di procreare e produrre latte venissero soppresse per diventare il
loro pasto? E immaginiamo che tale specie sia talmente stupida e avida
della nostra carne da trascurare gli effetti devastanti sulla loro
salute?
E immaginiamo
che gli animali usassero torturarci per mero divertimento; oppure che
usassero sperimentare, su centinaia di milioni di esseri umani, ogni
loro strumento, ogni loro veleno, ci aprissero il torace per studiare su
di noi le loro malattie e prelevassero i nostri organi interni per
trapiantarli nei loro corpi?
E immaginiamo
ancora che il loro divertimento preferito fosse quello di entrare nel
nostro ambiente, nelle nostre case, ad uccidere noi e i nostri piccoli,
(come succede con la caccia); immaginiamo che usassero mettersi addosso
la nostra pelle, ritenuta pregiata a seconda del colore bianca, nera,
rossa, gialla, ci allevassero in condizioni disumane e ci spellassero
spesso ancora vivi e lasciassero marcire i nostri corpi?
Immaginiamo
pure che, come succede per la pesca, che gli animali avessero la
possibilità di catturare un gran numero di umani e che li facessero
morire spasimanti, agonizzanti senza aria o devastati dai loro artigli,
come succede con la pesca e con gli arpioni?
E immaginiamo
ancora che fossero gli animali ad aver reso questo pianeta invivibile,
la causa della distruzione delle foreste, dell’inquinamento dell’aria,
della terra, dei mari, dei fiumi, dei laghi e che avessero portato
questo pianeta sull’orlo della catastrofe ecologica?
E immaginiamo
che tale progenie usasse da sempre massacrare i suoi stessi simili in
assurde battaglie fratricidi. Ora, se esistesse una simile specie,
capace di una così spietata freddezza, cieca e sorda al nostro dolore e
alle nostre suppliche, non saremmo forse concordi nel ritenere questi
animali dei mostri sanguinari, come la specie più perniciosa del
pianeta? Non spereremmo forse che il cielo provvedesse a farla sparire
per sempre dalla faccia della terra?
Franco Libero Manco
Fonte: www.luigiboschi.it
Link: http://www.luigiboschi.it/content/e-se-gli-animali-facessero-noi-quello-che-noi-facciamo- loro
23.10.2013
Commento di Oliviero Mannucci: Io sono lacto vegetariano dal 1985, e mi complimento con chi ha scritto questo articolo. Peccato che la maggior parte degli uomini di questo pianeta si comporta proprio come si dice nell'articolo e oltre che a sbagliare si sentono in diritto di criticare chi invece cerca di dare meno disturbo possibile alle forme di vita animali che vivono su questo pianeta.
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