di David Biello
Il 10 marzo 2011, il primo ministro Naoto Kan era certo che l'energia nucleare fosse sicura e vitale per il Giappone. La sera del giorno seguente, dopo il forte sisma di Tohoku, il successivo tsunami e l'inizio della crisi nell'impianto nucleare di Fukushima Daiichi, aveva cambiato opinione "di 180 gradi". Come ha raccontato in una conferenza all'YMCA di New York lo scorso 8 ottobre, durante le buie notti passate nel suo ufficio dopo quell'11 marzo, Kan riusciva solo a chiedersi di quanto potesse peggiorare la fusione a Fukushima e in che modo impedire che si aggravasse ancora.
La lettura del rapporto sullo scenario più pessimistico che aveva commissionato alla Commissione giapponese sull'energia atomica confermò le sue paure: l'area di evacuazione avrebbe potuto allargarsi fino a 250 chilometri di distanza dall'impianto, una zona di esclusione che sarebbe arrivata fino a Tokyo coinvolgendo circa 50 milioni di persone.
Le dimensioni potenziali del disastro erano così ampie perché l'area di Fukushima ospita un totale di 10 reattori e 11 piscine in cui è stoccato il combustibile nucleare. Entro il 15 marzo, tre dei reattori erano andati incontro a una fusione almeno parziale, e in quattro, a causa di una piscina per il combustibile esausto che perdeva l'acqua di raffreddamento delle barre di combustibile ancora calde, c'erano state esplosioni d'idrogeno.
Kan è un uomo brusco ma prudente, capace di ammettere gli errori e poco tenero con chi non lo fa. Nel 1996, in carica come ministro della salute, del lavoro e del welfare, si scusò per la responsabilità del governo nell'utilizzo di sangue infetto da HIV negli ospedali. Nel 2010, da premier, si è scusato con la Corea del Sud per l'annessione al Giappone di un secolo prima.
Oggi, questo ex sostenitore del nucleare si sta battendo per l'abbandono dell'energia ricavata dalla fissione. “Non
Il terremoto e lo tsunami hanno ucciso più di 15.000 persone, mentre la fusione plurima di Fukushima, secondo il Comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomche, finora non ha causato vittime accertate ed è improbabile che potrà causare effetti sanitari, come un incremento di tumori.
Ma a più di due anni e mezzo dal terremoto, il disastro nucleare va avanti. L'acqua contaminata dalle particelle radioattive delle fusioni continua a raggiungere l'oceano Pacifico, e recentemente i livelli di radiazione degli impianti colpiti hanno avuto un picco. Tifoni, terremoti, e altre catastrofi naturali continuano a minacciare ulteriori disastri nel sito e una totale demolizione può richiedere decenni. “Le cause di questa catastrofe, naturalmente, sono il terremoto e lo tsunami, a cui però si è aggiunto il fatto che non fossimo preparati”, spiega Kan. “Non avevamo previsto che potesse avvenire un disastro naturale di quelle dimensioni”. E aggiunge che le informazioni fornitegli dalla società di gestione degli impianti si sono dimostrate false.
In Giappone, dove Kan è ora uno dei leader dell'impegno del suo partito nella promozione di fonti energetiche alternative, la sua campagna antinucleare raccoglie un ampio sostegno popolare, e nessuno dei 50 reattori del paese è attualmente operativo. Ma il primo ministro Shinzo Abe del Partito liberaldemocratico (LDP), sostiene la riapertura degli impianti, influenzato in parte dai pesanti costi dell'importazione di gas naturale e carbone per produrre l'elettricità che prima arrivava dal nucleare.
Inoltre, in conseguenza dello spegnimento degli impianti nucleari, le emissioni di gas serra del Giappone sono aumentate di circa il 6 per cento nel 2012, secondo l'International Energy Agency, dopo un incremento del 4 per cento nel 2011, secondo i dati nazionali giapponesi. “Siamo arrivati al momento cruciale della battaglia da cui dipenderà il futuro del Giappone" afferma Kan, "Le strade migliori e più efficaci per raggiungere l'indipendenza dalle fonti fossili sono l'efficienza e il risparmio energetico”.
Il Giappone ha già dimostrato che è possibile tagliare il consumo di energia tramite il setsuden, o risparmio energetico, che include misure come quella di indossare abiti leggeri d'estate, invece di completi in giacca e cravatta, per limitare il ricorso all'aria condizionata. Le pratiche di setsuden applicate nell'estate del 2011, dopo le fusioni di Fukushima, hanno permesso tagliare di circa il 20 per cento la richiesta di elettricità durante le ore di punta nella regione di Tokyo. E Kan spera che, entro un decennio o giù di lì, le fonti di energia rinnovabile sostituiscano completamente il nucleare.
Kan non è l'unico a essersi unito allo schieramento di coloro che si oppongono all'energia nucleare in Giappone. L'ex primo ministro dell'LDP Junichiro Koizumi ha ribadito il suo no a settembre. Il disastro di Fukushima gli ha fatto cambiare opinione, insieme a una recente visita a un impianto per lo stoccaggio a lungo termine in Finlandia, che l'ha convinto che nulla di simile potrebbe mai essere costruito in Giappone. L'inquieta geologia del suo territorio, inoltre, rende il paese poco adatto a ospitare reattori nucleari. Il Giappone ha già il reattore autofertilizzante di Monju che consente il riciclaggio del combustibile nucleare esausto e di evitare lo stoccaggio a lungo termine, ma l'impianto ha dovuto affrontare incendi, spegnimenti e altri problemi.
Il disastro di Fukushima ha influenzato il destino dell'energia nucleare in tutto il mondo, rallentando la crescita di una tecnologia ritenuta risolutiva per la produrre elettricità su larga scala con un'emissione di gas serra notevolmente inferiore rispetto agli impianti a carbone oggi dominanti. "Gli incidenti gravi possono avvenire e avverranno. Forse non domani, non tra 10 anni e neppure tra 30, ma prima o poi avverranno ”, ha spiegato Gregory Jaczko, che ha diretto la Nuclear Regulatory Commission degli Stati Uniti fino al luglio del 2012. “Perché l'energia nucleare possa essere considerata sicura, gli impianti non dovrebbero produrre incidenti come questo”.
Tutti gli abitanti di Fukushima hanno dovuto lasciare le loro abitazioni, forse per sempre, e il disastro ha colpito l'intera economia del Giappone. “Non c'è niente di più difficile che guardare negli occhi una persona anziana che non vede più i suoi figli, trasferiti altrove per trovare lavoro”, ha detto Jaczko al suo pubblico, riferendosi a un uomo che ha incontrato durante la sua visita in Giappone nel 2011. “Questa è la tragedia che ha colpito 100.000 persone in Giappone a causa del disastro di Fukushima. Questi eventi drammatici non possono essere quantificati in dollari, ma sono molto tangibili”.
Nuovi progetti che renderebbero i reattori meno sensibili agli errori e alle leggerezze umani, oppure un orientamento dell'industria verso impianti nucleari più piccoli o tecnologie alternative per i reattori, potrebbero mitigare alcune preoccupazioni per la la sicurezza. Ma Kan non pare convinto. “L'abbandono dell'energia nucleare non porterebbe certo la popolazione alla fame”, afferma, e sottolinea che al largo delle coste di Fukushima si possono scorgere le turbine eoliche galleggianti, in fase di test, che rappresentano la speranza per il futuro. Sono state battezzate "Fukushima mirai”, vale a dire “il futuro di Fukushima”. “In Giappone” conclude Kan, “stiamo constatando che anche senza impianti nucleari possiamo produrre abbastanza energia da soddisfare il nostro fabbisogno”.
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