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Saturday, January 5, 2019

Ultima Thule, una romana nel team Nasa: «Vi svelo i misteri dell'asteroide»

Francesca Scipioni è romana, da cinque anni lavora negli Stati Uniti e attualmente fa parte del team della missione New Horizons.
Francesca, dalla laurea in Astronomia a Tor Vergata fino a Ultima Thule. Certo ne ha percorso di strada. Ma come le è venuta in mente di studiare Astronomia?
«La passione per l'astronomia c'è l'ho sempre avuta, a quanto ricordo. Il regalo più bello che ho ricevuto da bambina è stato "Viaggio nel cosmo". I miei mi raccontano che sono sempre stata attratta dal cielo, soprattutto la Luna. Credo di non avere mai avuto dubbi su quale sarebbe stato il mio lavoro».

(Francesca Scipioni, da Tor Vergata alla Nasa)

Ma partiamo dalla fine, come è invece approdata alla missione di New Horizons?
«Sono entrata nel team due anni fa, nel 2016, subito dopo il post doctorate al Lunar and Planetary Center di Houston. Sono stata contattata dal team perché avevano bisogno di qualcuno esperto di spettroscopia infrarossi per lavorare sui dati di Plutone. Io lavoravo, e lavoro ancora, con i dati dello spettrometro di Cassini, Vims (Visible and Infrared Mapping Spectrometer, ndr), quindi hanno contattato me. Anche grazie all'aiuto della mia collega Cristina Dalle Ore, che era già nel team. Ho applicato quindi per un post doc a Nasa Ames per lavorare con  Dale Cruikshank per New Horizons, e ho vinto la posizione».
Cosa rappresenta e cosa si propone lo studio di Ultima Thule?
«Si tratta dell'oggetto più lontano mai osservato da una sonda spaziale! Arrivare lì è stata una sfida, portare così lontano strumenti scientifici, fare in modo che funzionino dopo 9 anni di viaggio è incredibile! Si tratta di un oggetto antico, un residuo della formazione del Sistema solare. Studiare questo tipo di corpi è fondamentale per capire come il sistema solare si è formato è, da questo, come noi siamo qui.  L'osservazione da terra o da spazio è possibile, ma difficile. Questi sono oggetti piccoli e lontani, l'osservazione da terra non permette di vedere il dettaglio. Per questo missioni spaziali come New Horizons ci permettono di far crescere esponenzialmente la nostra conoscenza. Siamo tutti molto curiosi di vedere Ultima Thule da vicino, a breve le immagini saranno scaricate e analizzate».
Ma perchè proprio Ultima Thule, non si poteva scegliere un altro oggetto della Fascia di Kuiper?
«E' stato scelto perché su una delle possibili traiettorie di New Horizons. Il candidato per il flyby doveva infatti essere "a portata di mano", in modo da poterci arrivare consumando il minimo di carburante a bordo».
Mi scusi la domanda, ma perchè non è rimasta in Italia?
«È una domanda difficile. Ho fatto il dottorato all'Iaps (Istituto di astrofisica e Planetologia spaziali, ndr) di Roma, ho iniziato con il gruppo di Angioletta Corradini. Dopo il dottorato ho fatto un anno di post doc, ma i fondi scarseggiavano in quel periodo Cassini, su cui lavoravo, stava per giungere a fine missione, così come i fondi. Ho mandato una applicazione per un post doc all'lpi di Houston per lavorare con Paul Schenk, e mi hanno accettata».
Come si è presentata l'occasione di lavorare per la Nasa?
«Come dicevo sopra, il periodo alla Nasa è cominciato insieme alla mia partecipazione per New Horizons. Ho lavorato e lavoro con il team di composizione per capire cosa c'è sulla superficie di Plutone».
 Di cosa si occupa al Seti
«Al Seti continuo a fare esattamente lo stesso lavoro che svolgevo alla Nasa. Studiare la composizione di Plutone usando i dati di New Horizons, e quella dei satelliti ghiacciati di Saturno utilizzando i dati di Vims, lo strumento che era a bordo della sonda Cassini».
 Qual è stata la ricerca più interessante di cui si è occupata?
«È difficile scegliere, ogni oggetto è unico e nasconde nuove sorprese. Per la maggior parte della mia carriera ho studiato i satelliti di Saturno, da Mimas a Encelado, Dione e Rhea. Nonostante facciano parte dello stesso sistema, sono molto differenti tra di loro. Sono composti principalmente da ghiaccio, che viene però "sporcato" dalla polvere che compone le particelle cariche che circondano i satelliti. E questa contaminazione è diversa per ogni satellite, come vediamo dagli spettri che ci ha inviato Cassini per 13 anni».
enzo.vitale@ilmessaggero.it

Fonte

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