Francesca Scipioni è romana, da cinque anni lavora negli Stati Uniti e
attualmente fa parte del team della missione New Horizons.
Francesca,
dalla laurea in Astronomia a Tor Vergata fino a Ultima Thule. Certo ne
ha percorso di strada. Ma come le è venuta in mente di studiare
Astronomia?
«La passione per l'astronomia c'è l'ho sempre
avuta, a quanto ricordo. Il regalo più bello che ho ricevuto da bambina è
stato "Viaggio nel cosmo". I miei mi
raccontano che sono sempre stata attratta dal cielo, soprattutto la
Luna. Credo di non avere mai avuto dubbi su quale sarebbe stato il mio
lavoro».
(Francesca Scipioni, da Tor Vergata alla Nasa)
Ma partiamo dalla fine, come è invece approdata alla missione di New Horizons?
«Sono
entrata nel team due anni fa, nel 2016, subito dopo il post doctorate
al Lunar and Planetary Center di Houston. Sono stata contattata dal team
perché avevano bisogno di qualcuno esperto di spettroscopia infrarossi
per lavorare sui dati di Plutone. Io lavoravo, e lavoro ancora, con i
dati dello spettrometro di Cassini, Vims (Visible and Infrared Mapping
Spectrometer, ndr), quindi hanno contattato me. Anche grazie all'aiuto
della mia collega Cristina Dalle Ore, che era già nel team. Ho applicato
quindi per un post doc a Nasa Ames per lavorare con Dale Cruikshank
per New Horizons, e ho vinto la posizione».
Cosa rappresenta e cosa si propone lo studio di Ultima Thule?
«Si
tratta dell'oggetto più lontano mai osservato da una sonda spaziale!
Arrivare lì è stata una sfida, portare così lontano strumenti
scientifici, fare in modo che funzionino dopo 9 anni di viaggio è
incredibile! Si tratta di un oggetto antico, un residuo della formazione
del Sistema solare. Studiare questo tipo di corpi è fondamentale per
capire come il sistema solare si è formato è, da questo, come noi siamo
qui. L'osservazione da terra o da spazio è possibile, ma difficile.
Questi sono oggetti piccoli e lontani, l'osservazione da terra non
permette di vedere il dettaglio. Per questo missioni spaziali come New
Horizons ci permettono di far crescere esponenzialmente la nostra
conoscenza. Siamo tutti molto curiosi di vedere Ultima Thule da vicino, a
breve le immagini saranno scaricate e analizzate».
Ma perchè proprio Ultima Thule, non si poteva scegliere un altro oggetto della Fascia di Kuiper?
«E'
stato scelto perché su una delle possibili traiettorie di New Horizons.
Il candidato per il flyby doveva infatti essere "a portata di mano", in
modo da poterci arrivare consumando il minimo di carburante a bordo».
Mi scusi la domanda, ma perchè non è rimasta in Italia?
«È
una domanda difficile. Ho fatto il dottorato all'Iaps (Istituto di
astrofisica e Planetologia spaziali, ndr) di Roma, ho iniziato con il
gruppo di Angioletta Corradini. Dopo il dottorato ho fatto un anno di
post doc, ma i fondi scarseggiavano in quel periodo Cassini, su cui
lavoravo, stava per giungere a fine missione, così come i fondi. Ho
mandato una applicazione per un post doc all'lpi di Houston per lavorare
con Paul Schenk, e mi hanno accettata».
Come si è presentata l'occasione di lavorare per la Nasa?
«Come
dicevo sopra, il periodo alla Nasa è cominciato insieme alla mia
partecipazione per New Horizons. Ho lavorato e lavoro con il team di
composizione per capire cosa c'è sulla superficie di Plutone».
Di cosa si occupa al Seti
«Al
Seti continuo a fare esattamente lo stesso lavoro che svolgevo alla
Nasa. Studiare la composizione di Plutone usando i dati di New Horizons,
e quella dei satelliti ghiacciati di Saturno utilizzando i dati di
Vims, lo strumento che era a bordo della sonda Cassini».
Qual è stata la ricerca più interessante di cui si è occupata?
«È
difficile scegliere, ogni oggetto è unico e nasconde nuove sorprese.
Per la maggior parte della mia carriera ho studiato i satelliti di
Saturno, da Mimas a Encelado, Dione e Rhea. Nonostante facciano parte
dello stesso sistema, sono molto differenti tra di loro. Sono composti
principalmente da ghiaccio, che viene però "sporcato" dalla polvere che
compone le particelle cariche che circondano i satelliti. E questa
contaminazione è diversa per ogni satellite, come vediamo dagli spettri
che ci ha inviato Cassini per 13 anni».
enzo.vitale@ilmessaggero.it
Fonte
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