Il governo giapponese presenta la candidatura di Tokyo alle Olimpiadi 2024
e la vince pure, contro Istanbul e Madrid. Non uno scontro tra titani, è
vero, ma presentare la capitale giapponese per i Giochi, che si trova a
meno di 250 km da Fukushima, fa riflettere. Un paese che dovrebbe
spendere miliardi di dollari in un improbo risanamento dei reattori e
dell’area, in non si sa quanti anni o decenni, e ripensare da subito il
suo fragile modello energetico, dovrà cimentarsi invece nelle
infrastrutture necessarie a far svolgere in due settimane la kermesse
delle discipline sportive, badmington ed equitazione incluse. A parte
l’impatto ambientale che è sempre associato ai Giochi (recente è la
notizia della distruzione di molte aree naturali a Soči in Russia dove
dal 7 al 23 febbraio 2014 si svolgeranno i XXII Giochi olimpici
invernali), alle cattedrali nel deserto che ne derivano e ai buchi nei
bilanci statali di quasi tutti i paesi che li hanno organizzati, la
scelta di candidare Tokyo, per giunta sede che se li è aggiudicati,
sembra quella classica reazione psicologica di molti uomini che quando
si trovano di fronte ad un problema enormemente grande, pensano sia
meglio rimuoverlo occupandosi di altro, piuttosto che risolverlo.
In
Giappone ad una distanza da Tokyo paragonabile a quella che c’è tra
Roma e Napoli sta intanto 'collassando' quel che resta della centrale
nucleare Fukushima Daiichi, e stanno al contempo emergendo bugie,
omissioni e l'inadeguatezza della TEPCO, la società elettrica che possiede e gestisce la centrale, che insieme al governo ne ha fatte di cotte e di crude.
Dopo esattamente due anni e mezzo dal disastro
nucleare provocato dallo tsunami, la situazione, molto lontana
dall’essere risolta, non fa invece che peggiorare. Decine di migliaia di
persone sono state allontanate dall’area e probabilmente non vi faranno
ritorno per diverse decadi; gli esperti stimano che lo smantellamento
dei reattori danneggiati richiederà più di 40 anni e un
costo di oltre 11 miliardi di dollari. Per molti una cifra molto
sottostimata. “Un disastro da incubo, e nessuno ha la più pallida idea
di cosa fare. La sfida è impedire che il sito nucleare azzoppato si
trasformi in uno ‘spettacolare super reattore all’aria aperta’, tale da
provocare una pericolosa catastrofe da fusione”, ha detto ad agosto il
professor Christopher Busby, scienziato nucleare inglese e membro del Comitato Europeo per i rischi da radiazione.
Se
non c’è acqua sulle barre di combustibile il calore che si produce nel
reattore fonde il combustibile in una massa che precipita al fondo del
contenitore d’acciaio a pressione e continua a fondere attraverso
l’acciaio fin dentro nel terreno, scendendo sempre più in profondità.
Oggi sarebbe necessario pompare oltre 100 tonnellate d’acqua al giorno, ma non si sa dove mettere questa acqua contaminata visto che quasi il 90% delle 380.000 t da stoccare nei serbatoi costruiti
ad hoc (oltre 1000, gran parte dei quali non sicuri), è già stato
riempito. L’acqua pompata può inoltre allentare il terreno e
destabilizzare le fondamenta degli edifici dei reattori facendoli
crollare e impedire un ulteriore raffreddamento. E’ per questo motivo
che alcuni già prospettano lo scenario di un reattore all’aria aperta. Un incubo, che diventa ogni mese più probabile.
La TEPCO ha ammesso pochi giorni fa che la perdita di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva
da uno degli enormi serbatoi. L’acqua sta contaminando il sottosuolo e
il mare, forse da luglio. Per la NRA (l’autorità giapponese per la
sicurezza nucleare) questo è un incidente di livello 3, cioè ‘molto
serio’ sulla scala INES. Acqua contaminata (con stronzio-90) è stata
prelevata da un pozzo scavato a 20 metri di profondità: 3.200 Bq/litro,
mentre il livello nella norma è di 150 Bq/litro. Si sta scavando ancora
più in profondità per vedere quanto a fondo sia arrivata la
contaminazione. Nuovi strumenti hanno potuto misurare la radioattività
presso i serbatoi e si è così scoperto che è arrivata a 1800 mSv/ora
(poi cresciuta a 2200), una dose sufficiente ad uccidere un uomo che vi
è esposto in quattro ore. La legge giapponese limita i lavoratori delle
centrali l’esposizione alle radiazioni nucleari a circa 50 mSv/anno; in
genere però la dose massima ammissibile per i lavoratori delle centrali
atomiche è stata fissata in 20 millisievert, un limite anche questo
molto criticabile.
L’emergenza resta
grave e, vista la distanza, anche una città come Tokyo potrebbe essere
toccata dalle radiazioni: una dose di 20 millirem (0,2 millisivert, ndr)
su 50mila persone - come stimato da Gianni Mattioli in un' intervista a QualEmergia.it - può causare la morte di 30 persone.
Molta
dell’acqua radioattiva dispersa è finita in mare. Quasi sicuramente ciò
sta accadendo fin dalle prime ore del disastro. Già la Corea del Sud ha
annunciato il blocco delle importazioni di pesce da
otto prefetture giapponesi e ridotto l’acquisto di pesce e frutti di
mare da altre parti del paese, una voce importante della bilancia dei
pagamenti nipponica. Il direttore di NRA ritiene che rilasciare questa
acqua nel mare, oggi altamente radioattiva, sarà pressoché inevitabile,
una volta però – ha spiegato – che sia stata purificata e sicura secondo
gli standard internazionali. Ma ci sembra una ipotesi molto edulcorata,
complessa. Ora sta prendendo piede il progetto di costruire un muro di ghiaccio sottorraneo per provare a fermare l’acqua radioattiva. Costo dell'opera è di 473 milioni di euro.
L’effetto domino che
si può produrre in questa situazione, in continuo divenire, è veramente
impressionante secondo i report che stiamo consultando e avremo cura di
segnalare nei prossimi giorni, anche con interventi di esperti.
Mentre
l’industria minimizza il pericolo per non affossare quel che resta
dell’industria dell’atomo e la stampa è silenziosa sulla vicenda, i
giapponesi (e il comitato olimpico) si trastullano con l’idea della
festa olimpica del 2024.
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