OVUNQUE vada, la nostra specie tende a lasciare qualche traccia del suo passaggio. E non solo sul nostro pianeta: la Luna, Marte, e molti altri corpi celesti del Sistema solare sono ormai disseminati di sonde e relitti prodotti dall’uomo. Per non parlare dello spazio nei pressi della Terra, letteralmente zeppo di satelliti e rifiuti spaziali di ogni tipo, forma, e dimensione. Sporcare, insomma, sembra piuttosto naturale per la nostra specie. Che valga lo stesso per qualunque società tecnicamente avanzata?
Se fosse così, un’ipotetica razza aliena che avesse visitato il nostro Sistema solare potrebbe aver lasciato dietro di sé qualche segno del suo passaggio: rifiuti o relitti spaziali che nelle giuste condizioni potrebbero riflettere la luce emessa dal Sole, e apparire come improvvisi bagliori nella volta celeste. Eventualità rara, è vero, ma non per questo impossibile. E grazie all’ultimo lavoro dell’astrofisico di Berkeley Brian Lacki ora la comunità scientifica sa anche esattamente cosa, e dove, cercare.
Nell'immagine una rappresentazione artistica di Oumuaouma. Speriamo che non sia quello che penso? |
Il suo lavoro – spiega lo scienziato nello studio pubblicato sul server di preprint ArXiv – rientra in un filone di ricerche conosciute con l’acronimo Seta, o e Search for Extraterrestrial Artifacts. Un campo di studi poco esplorato - che negli ultimi anni sta tornando in auge - che si differenzia dagli approcci classici perché invece di cercare indizi dell’esistenza di forme di vita aliene 'a casa loro', puntando i radiotelescopi su una stella e sperando di captare dei segnali elettromagnetici caratteristici di una società tecnologica, li cerca invece 'a casa nostra'.
A caccia di rifiuti alieni
L’idea è la seguente: raggiunto il giusto grado tecnologico è probabile che qualunque società si metta ad esplorare l’universo. E se una specie aliena fosse passata nei pressi del nostro pianeta, magari attratta dalle tracce elettromagnetiche della nostra società, potrebbe avere lasciato dietro di sé alcuni segni rivelatori. E uno dei possibili indizi, ancora mai esplorato dalla ricerca, potrebbero essere proprio artefatti o rifiuti alieni abbandonati nello spazio interplanetario: pezzi di scafo, pannelli solari, sensori o sonde, insomma, qualunque oggetto di dimensioni sufficienti, piatto e capace di riflettere la luce solare potrebbe rappresentare un segnale visibile da Terra. E data la forma (simile a uno specchio) avrebbe altissime probabilità di essere un reperto tecnologico, e non un semplice detrito spaziale 'naturale'.Calcoli e bagliori: gli indizi nello spazio
Il problema è che lo spazio è enorme, gli oggetti in questione relativamente piccoli, e per essere visibili dal nostro pianeta dovrebbero riflettere la luce solare in una direzione abbastanza precisa. Quanto è realistico che accada? Quanto dovrebbero essere grandi, e numerosi, oggetti extraterrestri del genere per avere qualche chance di essere identificati dai nostri telescopi? Per rispondere, Lacki ha fatto quello che avrebbe fatto qualunque buon fisico: ha preso carta e penna, e si è messo a fare i conti. Basando le sue analisi su un tipo di bagliori che conosciamo ormai fin troppo bene: i riflessi provocati dai satelliti che affollano l’orbita terrestre.Bagliori del genere, spiega lo scienziato, possono essere individuati facilmente da Terra, alle giuste condizioni. Come racconta un articolo di Science, Il telescopio Pan-STARRS1 delle Hawaii (parte di un sistema di esplorazione astronomica che effettua periodiche 'fotografie' di tutta la volta celeste per identificare asteroidi, comete, e altri corpi celesti in movimento nel Sistema solare) potrebbe identificare il bagliore emesso da uno specchietto delle dimensioni di un sottobicchiere posto alla stessa distanza dalla Terra di quella che ci separa dal Sole. Sempre che lo specchietto in questione non ruoti su sé stesso troppo velocemente. Se lo stesso oggetto ruotasse a velocità elevata, per essere identificato dal nostro pianeta dovrebbe infatti avere le dimensioni di un campo da tennis.
Un milione di specchi
Insomma, le variabili da tenere sotto controllo sono un bel po’. Tutto considerato, dai calcoli di Lacki servirebbero circa un milione di specchi (o rifiuti alieni piatti e riflettenti) nel Sistema solare per avere una chance di identificarne almeno uno durante una delle sessioni di osservazione di Pan-STARRS1. Piuttosto deludente, è vero. La buona notizia, però, è che basterebbe concentrare le osservazioni in alcune aree più delimitate della volta celeste per migliorare di molto le probabilità di riuscita. Prendiamo i cosiddetti punti langrangiani: porzioni di spazio in cui l’interazione tra la forza gravitazionale di due corpi molto grandi (come possono essere la Terra e la Luna) fa sì che un terzo corpo di massa molto minore mantenga un’orbita stabile. È proprio in punti simili – spiega il ricercatore – che tenderebbero naturalmente ad accumularsi i rifiuti lasciati nel Sistema solare da una civiltà aliena. E concentrando su di essi le osservazioni, basterebbe appena qualche centinaio di specchi per avere ottime chance di identificarne almeno uno. Come per ogni buona notizia che si rispetti, anche in questo caso ad accompagnarla non manca quella cattiva: per ora di simili bagliori non se ne è vista neanche l’ombra.Fonte
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