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Thursday, February 18, 2021

Il prof degli extraterrestri

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Avi Loeb, professore di astrofisica ad Harvard, ha pubblicato di recente un libro sugli extraterrestri. Gli unici a non averlo capito sono i suoi colleghi 

 

Nel libro dei Re al capitolo 4 c’è questa sfilata principesca: “Il re Salomone estese il suo dominio su tutto Israele. Questi erano i suoi dignitari… Azaria, figlio di Natan, capo dei prefetti… Salomone aveva dodici prefetti su tutto Israele, i quali provvedevano al re e alla sua casa; ognuno aveva l’incarico di procurare il necessario per un mese all’anno. Questi sono i loro nomi”. E compare “il figlio di Deker, prefetto a Makas, a Saalbìm, a Bet-Semes, a Elon-Bet-Canan.” Bet-Canan esiste anche oggi, ha i suoi cinquecento abitanti giunti lì un secolo fa dalla Bulgaria.

Un bambino nato a Bet-Canan negli anni Sessanta, in clima non proprio disteso con l’Egitto, figlio di una panettiera che leggeva roba tosta (Nietzsche, Sartre), si chiamava Abraham Loeb, oggi per gli amici è Avi Loeb, professore di astrofisica a Harvard. Quando si guarda la sua pagina sul sito dell’università si rimane basiti. Quest’uomo sforna articoli scientifici con la facilità di un gazzettiere. Questa è la scienza: un campo in cui tutti cercano di lanciare la loro rivoluzione, e per farlo hanno bisogno di fondi.

Poi è chiaro, c’è chi si appiglia alla gnosi di Rovelli ed è contento di finire imitato da Crozza. Piccinerie italiane. Proviamo allora a seguire questo ebreo americano visionario. Ricordiamoci ogni tanto che per Calvino Galileo era il migliore prosatore in linguaLa presenza sui media di Loeb si fa sentire da quando è uscito il suo libro Extraterrestrial, recensito con una certa stizza dall’Indipendent (“L’autore dà il suo meglio quando rimane terra-terra”)..

                             

Ma cos’è successo di così emozionante? Il 19 ottobre 2017 ha fatto una comparsa nello spazio solare un oggetto che Loeb ha battezzato con una parola hawaiana: ‘Oumuamua, che sta per scout. Sulla sua carta d’identità si legge:

1. è diverso dagli altri prodotti stellari del nostro sistema solare perché

2. si muoveva lentamente in confronto alle altre stelle, “era come una boa sulla superficie dell’oceano, laddove il sistema solare è una nave a velocità di crociera” e insomma

3. aveva una velocità troppo elevata se paragonata a quella degli asteroidi comunemente espulsi dalle stelle, per di più

4. aveva la forma di una fettina di pancake, quindi una lunghezza dieci volte il suo spessore mentre per gli asteroidi il rapporto è di 3:1, questi dati in mancanza di foto sono stati ricavati dall’intensità luminosa rilevata, la quale variava velocemente per la sua lunghezza, e a proposito di luminosità

5. il nostro amico era estremamente luminoso, 10 volte più degli asteroidi consueti, quindi

6. la conclusione merita di essere tradotta, pare una fantasia sansimoniana : “la traiettoria di ‘Oumuamua ha deviato da quella attesa basandosi sulla gravità solare, una deviazione piccola di un decimo di percentuale, ma altamente significativa su piano statistico. Le comete hanno questo comportamento quando per illuminazione solare il ghiaccio sulla loro superficie si scioglie e evapora, generando un effetto razzo. Nel caso di ‘Oumuamua la spinta di velocità extra potrebbe esser stata originata da una fuoriuscita gassosa come nelle comete se almeno un decimo della sua massa fosse evaporata: cosa che avrebbe fatto fuoriuscire una coda cometaria, che però non si è vista”.

La conclusione di questo ritratto in sei punti, apparso su Scientific American è sottilmente inquisitiva: “Studiare gli oggetti interstellari mi ricorda il passatempo preferito delle mie figlie, ci piace raccogliere conchiglie sul bagnasciuga e pensare alle loro diverse origini. A volte troviamo una bottiglia di plastica e pensiamo alle sue origini artificiali, come quando gli astronomi si trovano davanti un oggetto nel sistema solare. Non ho dubbi che i sei tratti esposti qui sopra abbiano il potenziale per farci entrare drammaticamente in una nuova epoca di scienza spaziale”.

Retorica a parte, la visione di Abraham / Avi Loeb è nitida perché si chiede, ci chiede: siamo disposti a dire di sì al multiverso dei fisici, alla teoria delle stringhe, a finanziare questi studi con soldi a pioggia anche se non abbiamo evidenze visibili della cosa? Allora perché la vita nello spazio ci spaventa e un post-doc che firmi un articolo su ‘Oumuamua rischia di rovinarsi la carriera accademica?

È tutta una questione di forme mentali. Non siamo ancora pronti per cambiare il paradigma spaziale, instaurando una rivoluzione scientifica. Nessuno sa quando la struttura astronomica attuale potrà collassare: forse serve ancora più anarchia di osservazioni, forse non abbiamo una prosa degna di Galileo per scalfire i dogmi posati, riposanti della comunità astrofisica.

 

Loeb quando vuol essere pop ruba le parole all’investigatore di Baker Street che si doveva drogare quando la società lo lasciava annoiare: “Quando avete escluso l’impossibile, quel che resta, quantunque improbabile, deve essere la verità”. Detto in termini di logica leibniziana, da migliore dei mondi possibili: “il probabile è la misura del possibile”.

Risultato: ‘Oumuamua era uno scout mandato sopra le nostre teste per studiarci. Sul punto Guardian è stato più generoso di altri giornali facendo parlare senza riserve il vecchio Avi: “L’implicazione della sua forma a pancake, con il suo spessore di un millimetro non esistente in natura, era ovvia, qualcosa o qualcuno lo aveva manufatto. Con ‘Oumuamua potrebbe trattarsi di una sonda operativa spedita intenzionalmente nelle prossimità della terra da una civiltà aliena”.

Vero. Allora perché chi parla nelle massime università di un oggetto che per la nano-fisica può essere sia a sinistra che a destra nello stesso momento è circondato da aura silenziosa, voi gli credete e vi beate, vi sentite colpiti dalla freccia di Zenone, mentre un pancake volante non vi eccita più?

Andrea Bianchi 

 Fonte

 

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