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Wednesday, May 4, 2011

Volete sapere come si muore dopo Chernobyl?

L’uomo che amavo, così che non avrei potuto amarlo di più neanche se fosse stato mio figlio, si trasformava sotto i miei occhi in un mostro, in un extraterrestre. Gli si è
deformato il naso aumentando di circa tre volte. Gli occhi si sono spostati ed
hanno assunto un’espressione sconosciuta. Ma questo non mi spaventava.
Ero soltanto preoccupata che lui si vedesse così come era. Però insisteva
affinché gli portassi uno specchio, me lo scriveva ripetutamente
(comunicavamo scrivendo perché egli non riusciva nemmeno a sussurrare).
Ma io facevo finta di niente. Dopo tre giorni sono stata costretta a
portarglielo. Ci è rimasto male. Cercavo di consolarlo: non ti preoccupare,
appena guarirai andremo a stare in qualche paesino abbandonato e ci
vivremo noi due da soli…
Una volta gli ho chiesto:”Ti dispiace che sei andato a Chernobyl?”. Mi ha
risposto di no. Ero così felice con lui. Lo guardavo mentre si faceva la
barba, mentre mangiava, mentre camminava per strada. Non potevo
saziarmi, come se avessi un presentimento che non sarebbe durato a lungo.
Non capisco come può piacere il proprio lavoro. A me piaceva soltanto lui.
Amavo soltanto lui. Di notte grido nel cuscino per non spaventare i figli.
I parenti mi avevano suggerito di portarlo in un ospedale dove morivano gli
ammalati come lui. Anche lui mi supplicava, ha consumato un quaderno per
convincermi. Alla fine ho deciso di farlo. Ci sono andata con suo fratello.
L’ospedale si trovava in periferia di un paesino. Quando ho visto una
grande casa in legno col pozzo rovinato, i servizi fuori, la vecchiette vestite
in nero, non sono nemmeno uscita dalla macchina. Gli ho detto: non ti ci
porterò mai. Mai!Hanno telefonato i suoi colleghi, volevano venire a
trovarlo. Gli hanno portato un diploma d’onore, una cartella rossa con il
profilo di Lenin. Lo guardai e pensai: per cosa muore? I giornali
scrivevano che era esploso non solo Chernobyl, ma anche il comunismo. Il
profilo sulla cartella è rimasto comunque. I colleghi volevano parlargli. Lui
invece si copriva la testa, aveva già paura della gente, accettava solo me.Le
ultime settimane sono state più orribili. L’uomo muore da solo, in
solitudine. Durante il funerale gli ho coperto la faccia con un fazzoletto.
Una sua amica che mi aveva chiesto di scoprire la faccia è svenuta. Quando
è morto nessuno riusciva ad avvicinarsi. I parenti non possono lavare e
vestire il defunto. Ho chiamato due impiegati dell’obitorio. Anche loro che
ne hanno visto di tutti i colori, mi hanno rivelato che è la prima volta che
vedevano questo orrore. Ormai so come moriremo dopo una guerra
atomica, dopo Chernobyl. Anche morto era caldo-caldo. Non si poteva
toccarlo. Ho fermato l’orologio, erano le sette. Anche oggi è lì fermo, non si
riesce a farlo partire. Il meccanico dice che il meccanismo non è rotto, però
non funziona più. Mistero.
Svetlana Alekseievic “Preghiera per Chernobyl”
Il testo raccoglie la testimonianza di Valentina Panasevich, vedova di uno dei “liquidatori” di Chernobyl.

Fonte: http://www.fermiamoilnucleareinsicilia.it

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