Che
cosa mangia una tartaruga del Mediterraneo durante la sua vita? E una
balena? Plastica, molta plastica, come testimoniano i ricercatori
dell’Universita’ di Siena da tempo impegnati nel monitoraggio della
salute degli animali e delle acque marine. Nello stomaco di una
tartaruga sono stati trovati, ad esempio, fino a 143 frammenti di
plastiche di tutti i tipi. Dei 3 miliardi di rifiuti che invadono il
Mare Nostrum, tra il 70 e l’80% e’ infatti costituito da plastiche che
contaminano la fauna marina e la catena alimentare, fino al pesce che
arriva sulle nostre tavole. Quali soluzioni possono essere applicate per
meglio conoscere e quindi mitigare questo fenomeno? Una proposta
pratica e subito applicabile arriva dall’Universita’ di Siena con il
progetto ”Plastic Busters”, una ”solution” che sara’ presentata, insieme
ad altre cinque selezionate nel mondo, domani, venerdi’ 5 luglio, alla
Certosa di Pontignano (Siena), nella giornata conclusiva della
conferenza internazionale First Siena Solutions Conference Sustainable
Development for the Mediterranean Region, l’evento dedicato alla
sostenibilita’, promosso nell’ambito della rete Onu Sustainable
Development Solutions Network. Un’imbarcazione ecologica con ricercatori
e strumenti scientifici fara’ il giro del Mediterraneo per
”acchiappare” le plastiche, mappandone la diffusione, studiandone gli
effetti sugli animali marini, per progettare come ridurre la presenza di
questi rifiuti.
”Plastic
Busters” e’ progetto presentato dal dipartimento di Scienze fisiche,
della terra e dell’ambiente dell’Universita’ di Siena, sotto la
direzione della professoressa Maria Cristina Fossi. Il progetto ha gia’
ottenuto l’adesione di 30 enti di ricerca e istituzioni internazionali e
si avvale di strumenti di analisi e procedure validate in numerose
campagne di monitoraggio sulla salute degli animali marini. L’obiettivo
e’ quello di fare una ”fotografia” completa delle macro e microplastiche
riversate nel Mediterraneo, con le loro conseguenze nefaste
sull’ambiente marino e sulla salute della sua fauna. Il Mare Nostrum,
essendo chiuso e densamente popolato, e’ infatti uno dei piu’
contaminati dalla plastica al mondo. E’ previsto che la
barca-laboratorio ecosostenibile viaggera’ dalla Toscana fino a
Gibilterra, poi verso la Tunisia, l’Egitto, la Grecia e, dopo tre mesi
di navigazione, risalendo l’Adriatico approdera’ a Venezia.
A
bordo, un’e'quipe internazionale di ricercatori fara’ il campionamento
delle acque e, attraverso tecniche di autopsia che non comportano danni
per gli animali, e sofisticate analisi eco tossicologiche, verra’
controllato lo stato di salute delle specie ”sentinella”: le balene, gli
squali e le tartarughe, gli animali che per eccellenza subiscono i
danni dell’inquinamento da plastica. Ricerca, divulgazione al pubblico
durante le soste nei porti, creazione di relazioni istituzionali altri
importanti obiettivi del progetto ”Plastic busters”, che mira a
concordare con tutti i Paesi del Mediterraneo strategie concrete per
mitigare il grave fenomeno dell’inquinamento da plastica. Ma non sono
solo pensate per il mare le ”solution” che saranno presentate domani,
venerdi’ 5 luglio, nel corso della conferenza internazionale First Siena
Solutions Conference. Pannelli solari nelle aree rurali palestinesi,
tetti che rimangono freddi e combattono il riscaldamento globale, eco
materiali che preservano il fondale marino: sono alcune delle proposte
concrete ed immediatamente realizzabili per migliorare la sostenibilita’
dello sviluppo nei Paesi del Mediterraneo, che saranno presentate
accanto a ”Plastic Busters”. Tra le 38 proposte giunte attraverso una
call internazionale da Atenei, studenti universitari e singoli studiosi,
le cinque solution selezionate – due presentate da studenti –
riguardano in modo particolare la conservazione dell’ambiente terrestre,
atmosferico oltre che marino, e intrecciano alla questione ambientale
risvolti sociali ed economici.
Dalla
Palestina, Marwan Haddad del Water and Environmental Studies Institute
punta a migliorare la produzione agricola nelle zone rurali povere con
l’introduzione di pannelli solari e utilizzo di biogas; Sebastiano Calvo
e Filippo Luzzu dell’Universita’ di Palermo, Biosurvey spin-off,
utilizzando un sistema di plastiche biodegradabili recentemente
brevettate, da posizionare sui fondali marini, ha l’obiettivo di
ripristinare la Posidonia oceanica e l’ecosistema marino; Alessandro
Galli del Global Footprint Network propone di combinare gli indicatori
sull’impronta ecologica con altri parametri esistenti, come quelli sullo
sviluppo umano di United Nations Development Program, per fornire basi
di dati affidabili e condivisi, e massimizzare le potenzialita’ degli
interventi di riduzione delle emissioni su vasta scala. Delle due
solution presentate dagli studenti universitari, una riguarda la
conservazione delle foreste in Sardegna, l’altra la mitigazione del
riscaldamento globale attraverso tecnologie innovative. Il progetto di
una studentessa dell’Universita’ di Sassari, Matilde Silvia Schirru, ha
come scopo la promozione di un ”mercato di pagamenti” per l’uso
dell’ecosistema della foresta di Ghirghine, nella provincia di Oristano.
Le somme reperite da questo ”mercato” tra soggetti pubblici e privati
che ”comprano” quote di consumo delle risorse, servirebbe a preservare e
sviluppare la foresta. I ”cool roofs”, tetti che hanno elevata
capacita’ di riflettere la luce solare, sono al centro della solution
presentata da Valentina Coccia, studentessa dell’Universita’ di Perugia.
Si propone di misurare l’impatto dell’utilizzo di questi tetti, che
restando molto piu’ freddi di quelli tradizionali contribuiscono a
ridurre il riscaldamento atmosferico e permettono di limitare l’utilizzo
di aria condizionata negli edifici.
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