Arrival: oltre il processo della comunicazione
Arrival è un film del 2016 diretto da Denis Villeneuve, su un soggetto di Ted Chiang, tratto dalla novella di fantascienza “Storia della tua vita”, scritto nel 1998 pubblicato lo stesso anno nella serie di racconti “Starlight 2”, edita in Italia l’anno successivo dalla casa editrice Nord.
Il film racconta dell’atterraggio di oggetti non identificati in più punti della terra e dell’approccio comunicativo della linguista Luise Banks (Amy Adams) e del fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), chiamati al servizio dall’esercito per scongiurare un approccio offensivo nei confronti degli eptapodi, la razza aliena che abita queste astronavi a forma di conchiglia. Villeneuve, mantiene nel film un’ottima prosodia della tensione della drammaticità la complessa sfaccettatura del genere umano, dei suoni comportamenti nei confronti del diverso, il dramma di una madre che perde la figlia a causa del cancro in età adolescenziale (dodici anni), la paura dei soldati di rango inferiore, che cedono ai pensieri dei podcast e dei video di gente comune innalzatasi a stendardo della libertà e della fierezza umana, utilizzando anche il famoso slogan “non ce lo dicono!”, l’impotenza delle varie nazioni, gli stalli intestini e le fragili collaborazioni tra le nazioni
Le scienze applicate alla comunicazione
L’approccio utilizzato in questo film risulta fresco, abituati come siamo allo schema dell’incontro tra umani ed extraterrestri: se nell’immaginario collettivo si ragiona in un’ottica di difesa dall’invasione, con gli alieni che nella migliore delle ipotesi sono giunti per colonizzare il pianeta, o nella peggiore abbatterlo per costruire un’autostrada, nel film di Villeneuve, ci si imbatte in un’impaurita ma razionale analisi dell’altro, una voglia di comprendere nonostante la neofobia e la conseguente nevrosi che domina le istituzioni militari umane. Ciò che colpisce, oltre alla regia di V. che tinge di colori freddi le inquadrature e i vasti campi utilizzati per far tastare all’occhio dello spettatore la differenza tra la nave e gli umani, anche come metafora tra la sconfinata conoscenza e l’inconsapevolezza, è il progresso degli scienziati che unendo scienza linguistica e fisica, riescono a decifrare i messaggi degli eptapodi, scongiurando una guerra inutile probabilmente infruttuosa, dato lo scopo ultimo delle entità. La fisica del tempo del dottor Donnelly e la linguistica generativa della dottoressa Adams lavorano a stretto contatto, si fondono secondo uno schema interdisciplinare che li porterà a scoprire che i segni e i sintagmi sono circolari come lo è il tempo, il tempo è linguaggio: gli alieni vivono in una condizione linguistica temporale che permette loro di essere a conoscenza del passato e del futuro. Qualcosa che nel film viene spiegato un po’ troppo di fretta, ma che comunque rimane d’effetto dato il processo di consapevolezza raggiunto con un ritmo mai troppo serrato, ma mai troppo frettoloso, escludendo gli ultimi venti minuti.
Lingua e azione
Villeneuve mette sul piatto dello spettatore due modi di comunicazione a confronto: quello umano-umano e umano-alieno. Come già accennato nel segmento introduttivo, la neofobia umana, presente in molti film di fantascienza come l’elemento vivo e violento nei confronti dell’altro dallo spazio, è molto forte, ma non è l’arma di difesa, bensì una reazione emotiva incatenata dalla razionalità e dalla voglia di non destabilizzare una situazione che potrebbe degenerare. Almeno il piano iniziale avrebbe dovuto prevedere questo approccio di tenuta stagna dell’irrazionalità. Una massa per quanto possa essere controllata, può risultare preda di bassi istinti e all’azione meno ragionata. È di fatti ciò che succede tra i bassi ranghi dell’esercito statunitense: un gruppo di rivoltosi piazza sottobanco delle cariche esplosive temporizzate all’interno della nave dei due eptapodi atterrati sul suolo americano (nominati Gianni e Pinotto dai protagonisti, in lingua originale, nella trasposizione italiana Tom e Jerry). Il gesto è fomentato da una paura dell’ignoto, radicata a causa delle “fonti d’informazione” a cui questo gruppo di soldati attingeva (Villeneuve sottolinea questo aspetto in più inquadrature nei minuti precedenti). La paura delle ricerche lente e poco chiare a chi non è in grado di comprendere di primo acchito le informazioni, la sensazione di inconcludenza del loro lavoro, la fierezza dell’americano forte che si abbatte come furia sul nemico, l’interventista. Tutte emozioni comuni e vivide nella realtà extra-cinematografica. Presenti anche podcast pseudo-politici e complottisti che plagiano le menti dei ribelli: la sensazione triste di deja-vu durante la visione del film che porta lo spettatore alla realtà, poiché forse l’aspetto più crudo non è lo l’ansia dello stallo, bensì le reazioni umane alle informazioni e agli scambi di codice linguistico tra gli stessi esseri umani. La Adams e Donnelly progredendo nei loro studi a contatto con gli eptapodi scoprono che più concetti vengono espressi nella lingua aliena, e molti dei quali possono risultare fraintendibili: dono, arma, aiuto, vengono recepiti e fraintesi da tutti gli stati, in primis da Russia e Cina che utilizzano come base di comunicazione linguistica gli scacchi e il Mah jong. Un approccio di comunicazione più semplice ma che porta da sé il concetto di sopraffazione, guerra e scontro. Si scoprirà successivamente che la gerarchia linguistica della dottoressa Adams, più lenta, ma produttiva, sarà quella più adatta: l’apprendimento di gesti e concetti a vicenda, lo scambio di concezioni di parola, gesto. La pazienza dello studio, il frutto dell’attesa e delle ricerche avrà la meglio sul pragmatismo spicciolo che controlla le superpotenze mondiali.
La piena comprensione dell’essere
La caverna di Platone è uno dei concetti più utilizzati in questo film, nelle inquadrature nei concetti: la divisione tra esseri umani e alieni, i primi in uno spazio oscuro, gli altri in un segmento rettangolare luminoso bianco che fa trasparire le sagome dei due eptapodi. Ciò che viene proiettato nell’ombra sono delle figure che non si conoscono, che donano ai protagonisti e allo spettatore le forme di qualcosa che sembra reale, ma non lo è. Le sagome sono la proiezione di com’è il mondo, la luce è come la fiamma nella caverna, crea un’illusione della realtà. Amy Adams sarà l’unica ad attraversare la luce e a raggiungere la piena consapevolezza della situazione, non essendo rimasta a guardare solo la luce della barriera riesce ad entrare in contatto fisico con gli eptapodi e ad acquisire la vera consapevolezza: dopotutto che senso avrebbe avuto per questi esseri, comunicare una distruzione del mondo ? Perché imparare una nuova cultura, una nuova concezione, se lo scopo primo fosse stato l’annichilimento?
Tutto si rivela, la luce è conoscenza e comprensione del potere della lingua degli eptapodi, coscienza del tempo tramite il linguaggio, un’arma che permetterà all’uomo di soccorrerli. Ecco il perché dell’attesa da parte degli alieni. Attesa di essere compresi per chiedere aiuto alla razza umana, collaborazione interna tra tutti i popoli.
Conclusioni
Il film risulta un ottimo compendio di comportamento, fresco nelle idee, crudo nelle reazioni umane e fin troppo realistico nei riguardi della comunicazione di massa. Una pecca rimane il finale accelerato che porta a soluzioni semplicistiche sul piano registico, come l’utilizzo del telefono satellitare da parte di Amy per comunicare con il generale cinese Shang. Telefono che si trovava comodamente nella sala di controllo, incustodito e a cui nessuno ha fatto caso. Oppure la semplificazione estrema della lingua degli eptapodi negli ultimi quindici minuti: la dottoressa Adams essendo una linguista, professoressa, ferrata e forgiata dagli studi universitari e di dottorato, riesce a comprendere velocemente le scritture aliene, quando nei minuti precedenti Villeneuve ci fa intuire che essendo molto complessi, nonostante la piena comprensione della lingua, si necessita di tempo per leggerli. Affrettata anche la toppa che viene inserita come scusante di questo escamotage; il contatto fisico tra lei e l’extraterrestre. Nonostante ciò, il film è ottimo: emozionante e carico di tensione, con un montaggio serrato e campi lunghi con luce fredda, desaturata, che donano la sensazione di vuoto e nullità dell’uomo. Mi torna in mente Leopardi in “A me stesso” <<[…] La vita altro mai nulla: e il fango è il mondo>>.
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