ANTEPRIMA. In uscita su Lettera Internazionale un’intervista di Heiko Ernst al filosofo Gunter Anders all’indomani del disastro di Cernobyl. Su Terra i passaggi più significativi di un testo ancora attuale.
Che cosa prova adesso che le sue previsioni e i suoi moniti vanno a poco a poco avverandosi? Che cosa ha pensato quando ha saputo della catastrofe di Cernobyl?
Nulla è più terribile dell’avere ragione e del continuare ad averla…
Secondo Lei, armamento nucleare e uso cosiddetto pacifico dell’energia nucleare sono la stessa cosa…
Inizialmente, coloro che non producevano armi atomiche, ma costruivano soltanto le centrali, ritenevano sul serio di sostenere una nuova forma di approvvigionamento energetico. Molto presto divenne tuttavia chiaro che “qualunque idraulico può costruire armi atomiche con una centrale”. Oggi che è emerso come il funzionamento difettoso di una centrale possa arrecare danni a milioni di persone per un tempo indeterminabile, va riaffermato con forza che con le centrali nucleari si spara contro l’umanità. Sullo sfondo dell’installazione massiccia di centrali atomiche c’è del resto – cosa che viene costantemente taciuta – la lotta contro i proprietari dei giacimenti petroliferi in Oriente. Ci vuole rendere indipendenti dai fornitori energetici del mondo arabo e dagli iraniani. E da qui la minaccia, infarcita di menzogne, dello “spegnersi delle luci”. In questo modo viene nascosto il timore per la crescita della forza dell’islam. Soprattutto per gli USA e per l’Inghilterra, un islam che dal Marocco si estende fino a Giakarta è una minaccia inaccettabile.
I nostri politici non si stancheranno mai di sottolineare che questo incidente poteva avvenire soltanto in Russia.
E naturalmente non è vero. Perché in realtà Cernobyl non è il primo incidente. Il primo è avvenuto trent’anni fa, esattamente nel 1957, a Windscale, dunque in Gran Bretagna. Quell’incendio del reattore contaminò un’area di più di 400 miglia quadrate. Chi se lo ricorda più? Siamo in grado di ricordarlo? Ne siamo mai stati informati allora? Non ne sono sicuro. Il secondo incidente, l’anno successivo, avvenne in Unione Sovietica: a Uralsk. Pare che, all’epoca, il numero delle vittime dirette fosse stato molto alto. E anche di questo abbiamo saputo assai poco. A questo “incidente” ne seguirono quattro negli Stati Uniti, cioè proprio là dove notoriamente - lo si dice ancora oggi - “non potrebbero mai accadere cose simili”. Com’è divertente questo condizionale del politichese! Nel 1968, a Detroit, si fuse addirittura un “reattore autofertilizzante a neutroni veloci”. Poi, tanto per cambiare, toccò nuovamente alla già menzionata centrale di Windscale, in Inghilterra. A seguire, nel 1979, a Harrisburg – un incidente del quale la locale Agenzia Atomica Internazionale riuscì a sapere qualcosa solo con grande ritardo, dopo settimane. E, infine, a Cernobyl è avvenuto l’incidente più grave, incomparabilmente più grave di tutti i precedenti, quello che, come Hiroshima, ha cambiato in modo radicale lo scenario mondiale e, si spera, anche il nostro atteggiamento rispetto alla pericolosa situazione in cui ci troviamo. Certo, il livello tecnico nello Stato comunista, dove, dopo il 1945, si è dovuto recuperare tutto il tempo perduto, è di certo più basso del livello tecnico degli Stati Uniti. Forse le armi nucleari russe non sono ancora “buone” come quelle americane. Tuttavia, il pericolo che abbiamo di fronte non consiste nel fatto che ci siano centrali nucleari comuniste, ritenute perciò da dilettanti, bensì nell’esistenza stessa delle centrali.
A seguito dell’incidente di Cernobyl, la cosa peggiore sembra essere che il pericolo rimane invisibile e che dunque ci si debba fidare degli esperti, i quali a loro volta non sanno nulla di certo…
…e che, se anche potessero dire qualcosa di più certo, il pericolo reale resta invisibile. L’umanità intera è convinta – soprattutto a causa dell’influenza della televisione – che ciò che è deve essere visibile, e che solo il visibile sia vero. Per la casalinga che va al mercato, è incomprensibile che l’insalata, dall’aspetto in tutto e per tutto identico a quella del giorno prima, possa essere cambiata in modo radicale nel giro di ventiquattr’ore, dal 29 al 30 aprile. Non riconosce il pericolo nell’insalata, e non vuole neanche farsi abbindolare dai “signori accademici”. Alcuni politici hanno reagito allo stesso modo autorizzando la vendita, ad esempio, di generi alimentari contaminati. Mangio ogni sera in un ristorante e mi intrattengo con i clienti. Dopo Cernobyl, l’opinione più diffusa è: stanno “gonfiando” il problema! Io rispondo: chi ha interesse a gonfiare il pericolo? I governi? No, non ne hanno alcun interesse. Così come i coltivatori. Lei neanche e io nemmeno. Chi, allora? Naturalmente non sanno rispondere. Ed è sempre così. Lo sforzo di comprendere dinamiche del genere è così gigantesco che non si può pretendere dal buon padre di famiglia di esserne all’altezza. Non si tratta di stupidità. Il fatto è che quanto succede è veramente di difficile comprensione. Persino io, che in un certo senso sono diventato un professionista dell’anti-nucleare e che da trentatré anni mi confronto con questo “tema”, non sempre riesco ad avere un quadro completo dell’enormità della situazione.
Si può tuttavia avere paura per tutta la propria vita, per i propri figli… Alle manifestazioni, subito dopo Cernobyl, il numero dei bambini quasi raggiungeva quello degli adulti, e sicuramente la paura per i propri figli tormenta molti genitori che non ne proverebbero altrettanta per se stessi.
Mi fa piacere che la preoccupazione per le generazioni a venire interessi sempre più persone e organizzazioni, che ci si renda infine conto di tale responsabilità. Anni fa avevo rivolto un appello alle donne. Invano. Arrivare troppo presto è sbagliato quanto arrivare troppo tardi!
A ogni modo, c’è un’istituzione che finora non si è sbilanciata molto, mentre di solito ha molto a cuore la tutela del nascituro. Non c’è alcuna dichiarazione ufficiale della Chiesa cattolica sugli effetti della contaminazione nucleare sulle future generazioni di bambini.
Da molto tempo ormai ho notato l’incredibile intransigenza con cui l’attuale Papa lotta contro l’aborto. Per lui è quasi un’ideé fixe. Ed è sulla stessa barricata insieme a Reagan. Non si era ancora mai visto che il Capo di uno Stato a maggioranza protestante si schierasse con la Chiesa cattolica.
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