Se davvero vogliamo colonizzare il Pianeta Rosso, dobbiamo iniziare a pensare al menu.
Difficilmente succederà nel 2025, come immaginato da Elon Musk.
Più probabilmente bisognerà attendere come minimo fino al 2035, come
prevede la NASA. Una cosa però è certa: le agenzie spaziali di tutto il
mondo – e le compagnie private come SpaceX – hanno messo Marte nel
mirino; con l’obiettivo non solo di portare l’uomo sul Pianeta Rosso, ma
anche di creare basi permanenti e dare vita a una vera e propria
colonizzazione.
Tra i tanti problemi da
risolvere, ce n’è uno a cui solitamente non si pensa più di tanto: cosa
mangeremo quando vivremo su Marte? Per quanto ci sia acqua abbondante
(anche se sotto forma di ghiaccio), dare vita a un’agricoltura marziana
su un pianeta il cui suolo è cosparso di regolite – un materiale tossico
per l’essere umano – non è un’impresa facile. Tutto questo, senza
neanche considerare la quantità enorme di radiazioni che giungono sul
pianeta e il fatto che su Marte arriva circa la metà della luce che
arriva sulla Terra, il che ovviamente avrebbe un impatto sulla
fotosintesi.
Immaginare lo sbarco su Marte
armati di aratro e la creazione in tempi brevi di campi coltivati non
sarebbe credibile neanche in un pessimo romanzo di fantascienza;
figuriamoci nella realtà. E quindi? Prima di tutto, bisognerà inviare
cibo dalla Terra; dopodiché, studiare delle nuove tecnologie che ci
permettano di produrre nutrimento direttamente sul Pianeta Rosso. In
entrambi i casi, però, le sfide da superare sono parecchie.
“Per il primo viaggio, il cibo dovrà essere in
larga parte già posizionato su Marte, in modo che attenda gli astronauti
quando arriveranno”, ha raccontato a PopSci Vickie Kloeris,
scienziata alimentare il cui lavoro è nutrire gli astronauti della NASA.
“Se consideri i sei mesi di tempo necessari per arrivare su Marte, il
cibo sarà già vecchio di 5-7 anni per quando sarà conclusa la missione
degli astronauti”.
Questo, perché prima di
partire per Marte è necessario attendere il giusto allineamento con il
pianeta Terra; che avviene solo una volta ogni due anni circa. La stima
di 5 anni e oltre di Kloeris tiene però conto anche del fatto che la
missione su Marte a cui sta lavorando la NASA durerà tre anni.
In
ogni caso, abbandonare su Marte degli alimenti che devono essere in
grado di nutrire gli astronauti a questa distanza temporale è una sfida
non da poco. Che riguarda in primo luogo come fornire una varietà
sufficiente di cibi in grado di durare così a lungo senza un eccessivo
decadimento nutrizionale. “Quello che dobbiamo scoprire”, prosegue
Kloeris, “è quanto nutrimento sarà rimasto dopo 5-7 anni, e se alcuni
nutrienti saranno ormai troppo scarsi. (...) Possiamo produrre cibi che
saranno sicuri da un punto di vista microbiologico, ma la loro qualità e
il contenuto nutrizionale è tutto da valutare”.
Una possibile soluzione è quella della
fortificazione, attraverso la quale si inseriscono nei cibi una quantità
eccessiva di nutrienti in modo che, perdendoli col tempo, ne conservino
comunque a sufficienza. Restano comunque aperte altre questioni. Per
esempio: quale sarà l’impatto delle radiazioni sul cibo? A questo scopo,
la NASA sta progettando di spedire dei cibi sullo spazio, in zone
vicino alla Luna dove la quantità di radiazioni è simile a quella su
Marte, per poi studiare che impatto queste hanno avuto.
E
per quanto riguarda la produzione di alimenti direttamente su Marte? La
prima possibilità è offerta da strumenti come la Veggie Machine,
macchine delle dimensioni di un forno a microonde che consentono la
produzione di vegetali anche nello spazio. Si tratta di macchinari già
utilizzati sulla Stazione Spaziale Internazionale ma che, almeno per
ora, consentono di produrre solo pochissimi vegetali e che hanno uno
scopo più che altro psicologico.
In un’ottica di colonizzazione del Pianeta Rosso,
però, non si può immaginare di spedire in continuazione cibo dalla
Terra; in primis per una questione di costi. L’unica strada, quindi, è
trovare il modo di rendere l’agricoltura possibile anche sul Pianeta
Rosso. Al di là della coltivazione idroponica (in assenza di suolo e che
sta venendo testata sulla Stazione Spaziale Internazionale), una nuova
possibilità è offerta dalla cosiddetta biologia sintetica.
Questa
branca della biologia permette di leggere il DNA delle piante,
progettare nuovi sistemi biologici e creare nuovi organismi vegetali.
“Questa tecnologia è progredita così tanto che oggi l’ingegneria
genetica di precisione e l’automazione consentono di dare vita a
strutture robotiche automatizzate, note come biofonderie”, spiega su Inverse
Briardo Llorente. “Queste strutture possono testare milioni di progetti
di DNA in parallelo per trovare gli organismi con le qualità che stiamo
cercando”.
Si tratta, in poche parole, di
utilizzare dei software per creare nuovi tipi di piante, in grado di
crescere in maniera ottimale anche nelle difficilissime condizioni che
si trovano su Marte: “Con dei fondi adeguati e una collaborazione
internazionale, una struttura di questo tipo può individuare i tratti
necessari per avere, nel giro di un decennio, dei raccolti direttamente
su Marte”, prosegue Llorente. Alcuni di questi tratti riguardano per
esempio la resistenza alle radiazioni e il miglioramento della
fotosintesi; così come la resistenza alla siccità e al freddo.
Allo
stesso tempo, sarebbe anche possibile creare nuovi tipi di microbi in
grado di eliminare la tossicità del suolo marziano e semplificare
ulteriormente la coltivazione di piante. È facile immaginare come un
processo di questo tipo, su larga scala, sarà il primo passo che
potrebbe portare alla terraformazione; vale a dire alla creazione
artificiale di condizioni simili a quelle terrestri. E a quel punto, la
colonizzazione di Marte potrà davvero cominciare.Fonte
Commento di Oliviero Mannucci: guardate il video qua sotto.
Il sottoscritto insieme a Candida Mammoliti, presidentessa del Centro Ufologico della Svizzera Italiana ( CUSI ). |
Nel 2009 ho parlato di questo, in una presentazione in Power Point di 75 slide, presentando la futura missione su Marte al Convegno del CUSI a Lugano in Svizzera davanti a trecento persone. La presentazione mi fu richiesta da un biologo molecolare e insegnante, anch'esso relatore nel convegno, ed utilizzata come modulo didattico negli istituti superiori svizzeri.La potete rintracciare su Google digitando queste parole : Mission to Mars Oliviero Mannucci pdf. Sottolineo che le didascalie in rosso sono state aggiunte dal biologo molecolare, e non sono mie. Buona visione!
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