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Saturday, March 19, 2011

Sismometri spaziali ad alta sensibilità

Sviluppati per le sonde interplanetarie, gli accelerometri dell’INAF-IFSI di Roma si prestano a essere utilizzati anche in campo geofisico. Funzionando a bassissima frequenza, sono perfetti per rilevare eventi sismici. Valerio Iafolla: «Sono così sensibili da vedere terremoti in qualsiasi parte del mondo».

di Marco Malaspina

PRONTI PER MERCURIO, GIÀ IN USO SULLA TERRA

Nome: ISA, Italian Spring Accelerometer. Destinazione: Mercurio, o meglio, la sonda ESA BepiColombo, il cui lancio verso il pianeta più interno del Sistema solare è in calendario per il 2014. ISA è un accelerometro ultrasensibile, il cui compito consisterà nel rilevare tutte le sollecitazioni e accelerazioni che agiscono sul satellite ESA. Ma le sue caratteristiche sono tali da aver già destato interesse anche fra i geofisici: l’estrema precisione, la sensibilità alle basse frequenze e l’essere in grado di comportarsi egregiamente anche in condizioni avverse, come appunto nello spazio, rendono quella sviluppata per ISA la tecnologia ideale in molte applicazioni terrestri. Dove gli accelerometri possono essere utilizzati come sismometri e gravimetri. Per il monitoraggio di zone ad alto rischio sismico, anzitutto. O per tenere sotto osservazione le zone vulcaniche. Ma, anche, come strumenti di supporto alla ricerca di risorse naturali, dal gas al petrolio, con misure eseguite sia a terra che in mare.

Una tecnologia, quella alla base di ISA, che ha già dato vita a uno spin-off: la Assist in Gravitation and Instrumentation (AGI) Srl, sostenuto dall’INAF tramite una convenzione. E a una stretta collaborazione con l’INGV, l’Istituto di Geofisica e Vulcanologia, che già sta collaudando gli accelerometri INAF soprattutto nell’ambito di campagne di misura sottomarine. Ne parliamo con Valerio Iafolla, ricercatore all’INAF-IFSI di Roma alla guida del gruppo di scienziati che li ha progettati.

Quando parliamo di accelerometri, vengono in mente i controller della Wii. O i nuovi smartphone, quelli che cambiano il layout del display in base all’inclinazione…

Il principio è quello. Di fatto, qualsiasi accelerazione che agisce su un sistema produce effetto su una massa, la cosiddetta massa inerziale, che tenta di restaer ferma. Se si scuote questo sistema, ne esce un segnale. Il principio, dunque, è identico, però i nostri accelerometri sono ultrasensibili, e funzionano a bassissima frequenza.

Come è avvenuto il passaggio dall’uso su satelliti ad applicazioni terrestri?

Per essere sicuri che poi funzionino nello spazio, devono essere calibrati a Terra. È una procedura abbastanza delicata, perché non ci si può isolare dal rumore, per cui siamo costretti a metterli in funzione in posti dove veramente il rumore è basso – tipo in caverne, nei laboratori del Gran Sasso – tentando d’isolarli al massimo. E in ogni caso loro sono sempre in grado di vedere quello che noi chiamiamo rumore sismico, che poi di fatto è anche un segnale. I nostri strumenti sono così sensibili d a vedere terremoti che avvengono in qualsiasi parte del mondo. Li registrano come vibrazioni della Terra, quelle che si chiamano telesismi. Quindi, di fatto, noi siamo costantemente in misura. E riusciamo appunto a vedere questi terremoti. È stato dunque naturale passare dall’applicazione in ambito spaziale all’idea di utilizzarli anche in campo geofisico.

Così sensibili da sentire terremoti in tutto il pianeta, diceva. Un tema, purtroppo, di estrema attualità. Ne avete già qualcuno in funzione, qui sulla Terra?

Sì, c’è uno di questi nostri oggetti, in una versione modificata per renderlo idoneo a misurare la componente verticale dell’accelerazione, che dovrebbe essere già in misura in fondo al mare, a 2000 metri di profondità, di fronte alle coste di Catania. Proprio per il monitoraggio della sismicità legata all’Etna. Visto che misura la componente verticale si chiama gravimetro, ma il concetto è sempre quello degli accelerometri di cui abbiamo parlato. Quello dovrebbe essere già in funzione.

E secondo lei è stato in grado, dal Mar Mediterraneo, di rilevare la scossa che ha colpito il Giappone l’11 marzo scorso?

Sì, senz’altro. La campagna di prove era iniziata proprio da pochissimi giorni: per cui, se tutto era già stabilizzato, lo strumento è senz’altro stato in grado di vederlo.


Fonte: http://www.media.inaf.it

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