L’addio al nucleare nel 1987, ma i lavori, assegnati alla società pubblica Sogin, sono ancora in corso. Tra consulenze, subappalti, indennizzi e iniziative discutibili, il tutto ci è costato più di 15 miliardi.
L’Italia ha detto addio al nucleare nel 1987, un anno dopo l’incidente di Chernobyl, con un referendum. Lo smantellamento delle quattro centrali, che procede da 25 anni, non è ancora terminato e intanto i costi lievitano. Se ne occupa la Sogin, società pubblica nata da una costola dell’Enel e di proprietà del Tesoro, presieduta Giancarlo Aragona, ex ambasciatore a Mosca e a Londra.
L’ultimo dato disponibile sull’attività dell’azienda è contenuto in una relazione della Corte dei Conti che si riferisce al 2011. Viene riportato che la Sogin, con 24 anni di ritardo, “ha intensificato l’attività di smantellamento, per la prima volta aggredendo il core delle centrali”. La via per la bonifica delle centrali di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta) è ancora lunga.
Al 31 dicembre del 2011 i dipendenti di Sogin erano 887, 71 in più rispetto a due anni prima. Il che significa che il gruppo continua ad assumere perché il lavoro è ben lontano dalla conclusione. L’aumento del personale è anche un segno del fatto che la Sogin si rivolge sempre meno a ditte esterne, largamente utilizzate nel periodo precedente.
In questi anni, poi, non sono mancate trovate inutili e controproducenti. Negli anni in cui il legame tra Berlusconi e Putin era saldissimo, la Sogin ha aperto una lussuosa sede a Mosca e si è pensato bene di affidargli lo smantellamento dei sommergibili russi, visto che quello delle nostre centrali andava così bene. La Sogin ha pure partecipato, non si sa per quale motivo, alla fiera del libro usato, cara a Dell’Utri, investendo un risparmiabilissimo milione di euro. La parentopoli, poi, non si è mai arrestata.
La Sogin è pagata dai contribuenti. In base a un provvedimento del 2001, è stato stabilito un finanziamento di 4 miliardi e 236 milioni in vent’anni per mezzo delle bollette. A questo costo, vanno aggiunti gli 11 miliardi e 456 milioni di euro corrisposti all’Enel, agli appaltatori e ai fornitori, tra cui Ansaldo, della centrale di Montalto di Castro, quasi completata nel 1987 e mai entrata in funzione. Negli anni ’90 una commissione di esperti aveva stabilito che un risarcimento congruo avrebbe dovuto attestarsi intorno ai 4 miliardi.
L’uscita del nucleare ci costerà 15 miliardi 692 milioni, l’un per cento del Pil, sempre che si rispettino i tempi. Smantellare quattro centrali ci costerà l’equivalente di costruirne una decina.
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