Trovati seminudi e al gelo. Mosca riapre l'inchiesta sulla spedizione dannata
Nove escursionisti morirono per cause ignote Tra le ipotesi anche un attacco di extraterrestri
Jurij Efimovic Judin ha ottantun anni e
nella vita sa di avere avuto almeno una grande fortuna: ammalarsi
d'improvviso il 28 gennaio 1959, quando aveva ventun anni e con nove
amici stava avviandosi alla conquista dell'Otorten, una montagna degli
Urali settentrionali, nell'oblast' di Sverdlovsk, in quella che allora
era l'Unione Sovietica.
Nessuno di loro tornò mai. E Judin fu destinato a una vita da eterno sopravvissuto.
Quello
che sessant'anni fa più qualche giorno, il 2 febbraio 1959, cancellò
l'intera spedizione di escursionisti è noto come incidente del Passo di Djatlov, come è stato ribattezzato quel luogo inospitale sul versante
orientale del Cholatchachl', che in lingua mansi significa «montagna dei
morti», visto che a capo del gruppo c'era il ventitreenne Igor
Alekseevi Djatlov. La vicenda è avvolta tutt'ora nel mistero.
Un'inchiesta aperta dopo l'incidente fu chiusa frettolosamente (per
qualcuno troppo) qualche mese dopo per «assenza di colpevoli». Ma ora la
Procura generale russa ha annunciato che riaprirà l'indagine e invierà
appena il freddo sarà meno violento un nuovo gruppo di specialisti per
il passo. Più o meno quello che nel film horror Devil's Pass, uscito nel
2013, si immagina faccia un gruppo di cinque studenti americani per
girare un documentario. Non finisce bene per loro, proprio no - c'è da
precisarlo?
Il massacro del Passo di Djatlov del resto è un plot
perfetto, che in sei decenni ha alimentato teorie le più disparate,
dalle più orribili alle fantapolitiche. Ad alimentarle l'assenza di
testimoni, e alcune circostanze appurate dalle indagini avviate con
parecchio ritardo, quando il mancato ritorno della spedizione e lo
svanire progressivo di ogni possibile giustificazione al ritardo aveva
fatto scattare l'allarme tra i familiari dei giovani. Soltanto il 26
febbraio l'accampamento fu avvistato ed esplorato. E si vide subito che
le tende nelle quali i nove escursionisti - tutti esperti, va detto -
dormivano quella notte furono squarciate dall'interno, come se qualcosa
di spaventoso fosse improvvisamente successo. I corpi dei nove giovani
furono trovati alla spicciolata: i primi due, quelli di Jurii
Krivonienko e Jurij Doroenko, sul limitare di una foresta, entrambi
scalzi e vestiti solo della biancheria intima; altri tre, quelli dello
stesso Djatlov e di Zina Kolmogorova e Rustem Slobodin, tra la tenda e
un albero di cedro. Gli ultimi quattro, Nikolaj Thibeaux-Brignolles,
Ljudmila Dubinina, Aleksandr Kolevatov e Aleksandr Zolotarev, furono
trovati solo a maggio e riportavano i segni di gravi traumi interni,
come se i loro corpi fossero stati sottoposti a una violentissima
pressione. Alla Dubinina mancava perfino la lingua.
Che cosa aveva
spinto i nove a fuggire in tutta fretta nella notte, alcuni seminudi a
meno trenta gradi? Che cosa aveva colpito con tale furia alcuni di loro?
Tante le ipotesi fatte: che il gruppo fosse stato attaccato dalla
ostile tribù indigena dei Mansi. Che fosse stato massacrato dagli
extraterrestri, visto che i membri di una spedizione che in quelle
stesse ore si trovava non lontano raccontarono poi di aver visto quella
notte nel cielo strane sfere arancioni e che un ragazzo che partecipò ai
funerali di cinque vittime trovo tutte stranamente abbronzate; i più
complottisti assicurano che i nove furono vittime di test militari
segreti condotti dal governo sovietico; qualcun altro parla di tempesta
perfetta o di panico da valanga. Per tre anni quell'area restò
interdetta a escursionisti e curiosi. Che cosa si potrà trovare oggi?
Andrea Cuomo
Fonte
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