Qualche giorno fa, un astronomo
dilettante alla ricerca del satellite segreto Zuma, sulla cui sorte sono
state espresse dichiarazioni diverse e inconcludenti, si è con ogni
probabilità imbattuto in IMAGE, un satellite NASA per l’osservazione
della magnetopausa, perso da 12 anni e inaspettatamente attivo.
Il cielo è un gran pasticcio. Questa è
una conclusione alla quale si può giungere se si leggono i report in
merito alla “spazzatura spaziale” nell’orbita bassa terrestre. Il volume
di detriti spaziali è cresciuto a livelli così elevati che gli oggetti
in orbita vengono spesso in collisione e un giorno non troppo lontano,
se non ci saranno azioni coordinate di razionalizzazione, il problema
diventerà così complesso da porre pesanti ipoteche sull’esplorazione
spaziale stessa. In un contesto di questo genere, può sembrare quasi
normale che un’agenzia spaziale perda un satellite, lo dichiari
inoperativo e a distanza di più di un decennio sia un radio astronomo
dilettante a ritrovarlo attivo, ma si tratta in realtà di
un’interessante storia di passione e di serendipità. E’ infatti quello
che è successo a Scott Tilley, che si dedica alla ricerca amatoriale di
satelliti per lo più segreti. La sua è una passione condivisa da molti
astronomi dilettanti che scrutano il cielo “nascosto” nel quale, se si
dispone dell’attrezzatura adatta, è possibile localizzare ed
identificare satelliti di ogni tipo, persino quelli segreti. Molti di
questi appassionati tengono blog e siti sui quali pubblicano i risultati
delle loro ricerche, specialmente quando coronate dal successo. Nella
maggior parte dei casi la loro attività si concentra su oggetti
classificati, dato che l’entusiasmo e lo stimolo maggiore deriva per il
dilettante dalla sfida del ritrovamento della posizione o del segnale di
satelliti spia, i cui dati non sono resi pubblici dagli operatori e
dalle agenzie. Un appassionato estremamente attivo è Marco Langbroek,
che cura il blog SatTrackCam Leiden e che ha attivamente cercato di dare un esito alla missione Zuma, senza dubbio tra le più elusive, lanciata di recente da SpaceX e sulla cui sorte si sono intervallate numerose versioni, tutte per lo più inconcludenti.
Alla ricerca di Zuma si stava dedicando anche Scott Tilley, che la settimana scorsa ha divulgato i risultati della sua ricerca sul suo blog
(nel quale si trovano tutti i dettagli e le immagini), riferendo di
aver trovato evidenza che una missione NASA ritenuta ormai terminata da
12 anni, è in realtà ancora attiva. IMAGE (Imager for Magnetopause-to-Aurora Global Exploration) era
stato lanciata il 25 marzo del 2000 e aveva iniziato il suo lavoro di
osservazione della magnetosfera restituendo immagini globali del plasma
presenti nella magnetopausa. Tra le scoperte più rilevanti di IMAGE c’è
quella dei varchi esistenti nella magnetosfera e nella plasmasfera,
all’origine del passaggio dei flussi protonici provenienti dal Sole e
collegati alle aurore protoniche altamente energetiche presenti nelle
osservazioni del satellite. A partire dal 18 dicembre 2005, dopo quasi
sei anni di operatività, sono stati persi i dati telemetrici della sonda
e la missione è stata dichiarata terminata: la NASA ha rilasciato una relazione definitiva il 19 settembre 2006. La
missione è stata chiusa sulla scorta del guasto rilevato al controller
che alimentava il transponder e la relazione ha escluso ogni altra
possibile causa.
Con un segnale radio in mano e non
persuaso che si trattasse della traccia di Zuma, Tilley ha confrontato
l’orbita associata al segnale con quella di IMAGE e ha trovato
corrispondenza. La conferma è arrivata dall’identificazione del segnale
sui 2275,905 MHz che ha collegato l’emissione con l’oggetto 2000-017A,
26113, ovvero proprio la missione NASA persa nel 2005. Nel report
dell’incidente si menzionava come il guasto al controller
dell’alimentazione del transponder di IMAGE fosse un evento per il quale
non c’era possibilità di recupero del satellite, per come era stata
progettata la missione. Tuttavia l’orbita di IMAGE ha lasciato il
satellite ad intervalli regolari nell’ombra della Terra, cosa che
teoricamente avrebbe riavviato il suo sistema di alimentazione: il reboot
è di fatto avvenuto nel 2007, anno nel quale tutti i tentativi di
contattare IMAGE da parte della NASA erano verosimilmente già terminati
da qualche tempo.
Avendo trovato IMAGE e convinto che
tutto sommato la cosa non fosse così rilevante, dato che un semplice
segnale poteva non voler dire alcunché e la NASA poteva anche esserne a
conoscenza, Tilley ha messo da parte la sua scoperta per un po’.
Tuttavia, mentre passava ad altre frequenze, ha capito che IMAGE stava
effettivamente trasmettendo dati in modo attivo. A questo punto ha
effettuato altre ricerche e ha scoperto che IMAGE era stato considerato
perso proprio a causa del problema con l’alimentazione del transponder.
Di conseguenza ha deciso di dare un’occhiata più attenta al segnale e
l’esito è stata la conferma che il satellite ruotava ad una velocità
compatibile con IMAGE e che il il segnale trasmesso conteneva dati.
Al momento non si ha ancora idea di
quale sia la stato diagnostico generale del satellite o della quantità
di hardware ancora operativa, ma uno dei co-investigatori originali
della missione, Patricia Reiff della Rice University di Houston, ha
trovato il post sul blog di Tilley e ha riferito che ci sono strumenti
attivi e passivi che potrebbero sicuramente fornire utili dati
scientifici utili. E’ di conseguenza entrata in contatto con Scott
Tilley per verificare come ottenere le informazioni necessarie per
estrarre i dati dal segnale scoperto e attualmente monitorato. Nel
frattempo Tilley ha contattato il mission manager della
missione, Richard J. Burley e l’incontro ha messo in moto una serie di
altre azioni.
Come ulteriore sviluppo, Jeff Hayes, esperto di eliofisica presso il quartier generale della NASA a Washington, ha scritto ad AmericaSpace
che non c’è ancora una certezza assoluta che il segnale identificato
sia veramente quello di IMAGE, ma la NASA sta ora lavorando per
ricontattare le persone informate sulla missione dopo tutto questo tempo
nel tentativo di ottenere tutti gli script e il software appropriati,
nell’ipotesi che si tratti veramente di IMAGE. In scala cronologica
decisamente ridotta, è qualcosa di molto simile a quanto accaduto per la
riaccensione dei propulsori della Voyager 1,
per cui è stato necessario riportare in vita software e linguaggi
oramai in disuso. Nel frattempo tutta una serie di altri astronomi
dilettanti dediti al tracking dei satelliti ha confermato la scoperta di Tilley e il segnale viene ora monitorato da più parti del pianeta.
Il caso di IMAGE non è il solo
nell’ambito della riscoperta di satelliti e sonde apparentemente perse
nello spazio: basti ricordare il caso del satellite LES-1,
la cui operatività era stata cessata nel 1967 ma ritrovato ancora
funzionante ben 46 anni dopo, oppure la missione ISEE-3, partita nel
1978 per l’esplorazione del Sole e riconvertita allo studio cometario
per poi rimanere silenziosamente accesa dal 1990 al 2014, quando è
diventata protagonista di un appassionante tentativo di reboot.
Al momento la NASA ha una missione attiva che sta continuando il lavoro di IMAGE, ovvero MMS (Magnetospheric Multiscale Mission),
ma considerando il valore economico di una missione scientifica, il
lavoro di Tilley, nato da un entusiasmante filone di indagine
dilettantistica al limite con l’archeologia delle missioni spaziali,
potrebbe aver dato alla NASA un consistente beneficio collegato al
recupero di importanti informazioni scientifiche passate o
potenzialmente nuove, nel caso la missione possa avere un inatteso reboot a ben 13 anni di distanza.
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