L’identikit ottenuto applicando la teoria evolutiva di Darwin. «Non sappiamo se abbiano due occhi e due gambe, ma devono possedere organi che svolgono compiti diversi e che lavorano in modo coordinato come le api o gli Ewoks di Star Wars
The Octomite», l’alieno immaginato dai ricercatori di Oxford applicando la teoria dell’evoluzione darwiniana. L’illustrazione è opera di Helen Cooper |
Chi di noi non ha pianto vedendo E.T. di Spielberg? Bè, dimenticate l’adorabile extraterrestre con gli occhioni azzurri, il collo telescopico e la punta del dito luminosa. Perché, dice uno studio di tre zoologi di Oxford, non è affatto detto che il modo migliore (o comunque l’unico) per immaginare una forma di vita aliena sia quello di fare delle predizioni basate sull’osservazione di quanto accade sulla Terra.
Ma gli alieni hanno gli occhi?
Nella nostra galassia ci sono 100 miliardi di pianeti. Nel 20 per cento
dei casi si presume che essi si collochino in una zona dello spazio
capace di produrre una biosfera. Anche nel caso in cui solo lo 0,001 per
cento di essi avesse sviluppato una qualche forma di vita, vorrebbe
dire che ci sono 200 mila pianeti abitabili nella nostra Galassia.
Recentemente in America e in Europa si stanno facendo investimenti di
centinaia di milioni di dollari per cercare di immaginare come potrebbe
essere un’ipotetica forma di vita aliena. Ma il solo esempio che i
ricercatori hanno a disposizione è la Terra. Partendo da quanto è
accaduto sul nostro pianeta, si fanno delle previsioni statistiche sul
grado di probabilità che gli stessi fenomeni siano accaduti altrove. Per
esempio, siccome la maggior parte degli animali dispone di occhi,
immaginiamo che anche gli extra-terrestri debbano averli. E siccome il
carbonio è un elemento fondamentale della materia vivente (in un uomo
che pesa 70 chili sono presenti circa 14 kg di carbonio) ipotizziamo che
anche le forme di vita aliena siano a base di carbonio. Ma chi l’ha
detto - dicono gli autori dello studio - che invece non siano fatti di
silicone e senza occhi?
E.T. l’extra-terrestre, capolavoro di Steven Spielberg del 1982
Elementare Watson, elementare
Moderni
Sherlock Holmes, i tre ricercatori di Oxford, invece di applicare il
calcolo statistico, hanno scelto di servirsi del metodo deduttivo. Sono
partiti da un’assunzione: che qualunque forma di vita possa essersi
sviluppata nello spazio debba aver subito una selezione naturale come
quella teorizzata dall’evoluzionismo darwiniano. Perché? Perché, a meno
che non ci si affidi alla teoria del disegno intelligente, il meccanismo
di selezione naturale è il solo che permetta di spiegare la vita,
ovvero l’esistenza di organismi che hanno lo scopo apparente di
riprodurre se stessi. I ricercatori oxoniensi fanno l’esempio della
giraffa. All’inizio vi erano esemplari con il collo di diverse
lunghezze, ma quelli col collo più lungo, potendo arrivare a a mangiare
anche le foglie dei rami più alti, avevano più chance di sopravvivere e
quindi più tempo per riprodursi. Di conseguenza gradualmente la
popolazione delle giraffe finì per essere dominata da esemplari con il
collo lungo.
Benedict Cumberbatch nella serie tv «Sherlock»
Gli organismi e le società evolute? Sopprimono i conflitti
L’evoluzione di forme di vita complessa sulla Terra - dicono ancora i
tre zoologi - sembra essere dipesa da un ristretto numero di quelle che
si definiscono «transizioni maggiori». In ogni processo di transizione
un gruppo di individui che prima potevano riprodursi da soli si mettono
insieme per costituire una organismo di livello superiore, una nuova e
più complessa forma di vita in cui le singole parti cooperano e si
sacrificano per il successo dell’insieme. Prendiamo il corpo umano.
Perché le cellule della mano o del cuore non cercano di riprodursi da
sole ma «si affidano» agli spermatozoi e agli ovuli? La stessa cosa
succede nelle comunità di insetti sociali come le api che invece di
riprodursi fra loro aiutano la regina madre a riprodursi. La ragione di
questo apparente sacrificio da parte delle singole parti (mano, cuore) o
dei singoli individui (api operaie) sta in quello che viene definito un
allineamento di interessi. La mano ha tutto l’interesse a riprodursi ma
«sa» che delegando gli spermatozoi/ovuli (o la regina madre nel caso
delle api) ha più chance di ottenere l’effetto desiderato. La teoria
evolutiva insomma dimostra che affinché si verifichi un processo di
transizione da un singolo individuo a una realtà più complessa deve
essere eliminato ogni elemento di conflitto. Lo stesso vale per
qualsiasi forma di vita aliena immaginabile che sia più complessa di una
semplice molecola che si autoreplichi o di un gigantesco blob.
Celeberrima scena del film di culto «The Blob», 1958
«Ora non ci resta che trovarli»
Supponendo
che anche gli extraterrestri siano passati attraverso fasi di
transizione maggiori si possono fare un serie di ipotesi sulla loro
natura: deve trattarsi di entità composte da sottoentità più piccole che
collaborano fra loro avendo eliminato ogni conflitto interno oppure di
un’organizzazione complessa e solidale come gli insetti sociali
(termiti, formiche, api e vespe) o gli Ewoks di Star Wars. Nel disegno
realizzato dall’illustratrice Helen Cooper appare un esemplare
battezzato «The Octomite» composto da una serie di organi disposti in
ordine gerarchico che svolgono ciascuno un compito diverso e che
dipendono l’uno dall’altro. «Certo - ammette Sam Levin, primo firmatario
dello studio - non siamo ancora in grado di dire se gli alieni
camminano su due gambe o hanno grandi occhi verdi. Tuttavia possiamo
affermare che esiste un livello di prevedibilità nell’evoluzione che
potrebbe portarli ad avere un aspetto simile al nostro». Il che ridà
qualche speranza agli appassionati di E.T., anche se il disegno
dell’Ottomita non somiglia granché al simpatico extraterrestre
realizzato da Carlo Rambaldi. Il modo migliore di immaginare come
potrebbero essere fatti gli alieni, conclude lo studio, è combinando
l’approccio meccanicistico basato sull’osservazione degli organismi
terrestri con quello basato sula teoria evolutiva. «Ora non ci resta che
trovarli».
Il panico scatenato da Orson Welles con il
suo un finto comunicato radiofonico su uno sbarco degli alieni in
America. Era il 1938
Post scriptum
Ma
se gli organismi e le società più evolute si caratterizzano come
strutture cooperative che hanno saputo eliminare i conflitti al proprio
interno in nome di un interesse comune, come avrebbe votato l’«alieno di
Oxford» al referendum sulla Brexit? Applicando la logica dei tre
ricercatori inglesi, sicuramente avrebbe detto di no (come del resto ha
fatto la comunità scientifica della celeberrima università inglese, uno
dei luoghi dove il «Remain» ha vinto con il margine di vantaggio è più
alto: 80 per cento dei voti).
Orsola Riva
Commento di Oliviero Mannucci: Tutto è possibile per carità, e alcuni tipi di alieni che ancora non conosciamo potrebbero somigliare a quelli immaginati dai ricercatori di Oxford, ma molte tipologie di alieni sono molto simili agli esseri umani se non addirittura identici, almeno esteriormente. Leggete a tal proposito il BLUE PLANET PROJECT. Un saluto!
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