Astronomia: su Marte migliaia di giovani vulcani di fango
Il sottosuolo di Marte è ancora un ambiente poco
studiato a causa di una barriera tecnologica che non permette il
sondaggio approfondito
Su Marte, nella zona di Arcadia Planitia un’ampia regione delle pianure del nord del pianeta, scoperta un’area di 12.000 km quadrati con migliaia di vulcani di fango, cioè edifici di emissione prodotti dalla risalita di acqua, sedimenti e gas anziché dall’emissione di lave.
La scoperta, pubblicata su Scientific Reports di Nature Research dal team dell’Università di Padova
coordinato dalla dottoressa Barbara De Toffoli del Dipartimento di
Geoscienze, rimette in discussione l’attività finora ipotizzata del
pianeta e apre un nuovo scenario su quanta acqua sia in effetti rimasta
nelle profondità del pianeta. La produzione di migliaia di vulcani di
fango, dovuta alla mobilizzazione di grosse masse d’acqua in risalita
dal permafrost marziano, sarebbe avvenuta infatti solo 370 milioni di
anni fa.
Il sottosuolo di Marte è ancora un
ambiente poco studiato a causa di una barriera tecnologica che non
permette il sondaggio approfondito come quello che è possibile
sviluppare sulla Terra. La conoscenza della profondità a cui si trova il
permafrost marziano è il risultato di una ricerca americana del 2010.
Per primi, i ricercatori dell’Università di Padova, hanno applicato una
combinazione di analisi geomorfologica e analisi frattale ai vulcani di
fango studiati per poi creare un collegamento tra forme di superficie e i
livelli di permafrost nel sottosuolo.
“Per prima cosa abbiamo
osservato le immagini della superficie che la Context Camera (CTX) a
bordo di Mars Reconnaissance Orbiter (MRO) ha acquisito. Siamo stati in
grado di capire che questi allineamenti di strutture potessero essere
interpretati come centri di emissione di fluidi e sedimenti.
Successivamente abbiamo classato le caratteristiche peculiari e comuni
di questi migliaia di vulcani marziani e li abbiamo paragonati con
strutture simili, sia terrestri che marziane, individuando una
morfologia pressoché identica a quelle in esame – dice Barbara De Toffoli del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova e prima firma della pubblicazione – Ma
un’osservazione della sola morfologia non è sufficiente per
discriminare il tipo di struttura sotto osservazione. Per questa ragione
abbiamo aggiunto una seconda analisi, quella frattale, che tramite lo
studio della distribuzione spaziale dei centri di emissione nello spazio
è in grado di restituirci una stima della profondità fino a cui si
estende il sistema di fratturazione che collega i vulcanelli di
superficie alla loro sorgente di fluido“.
“Dobbiamo infatti immaginare i vulcani, di fango in questo caso, – continua De Toffoli – non
come edifici singoli e scollegati, ma come una rete di fratture che
coinvolge uno spessore della crosta pari a 18 km dove abbiamo ipotizzato
essere la sorgente dei materiali emessi e risaliti in superficie
producendo i vulcani di fango. Con l’utilizzo di una tecnica, quella di
conteggio dei crateri che è l’unico metodo attualmente disponibile per
analisi su corpi planetari diversi dalla terra, abbiamo poi stimato
l’età di questi vulcani di fango: maggiore è l’età di una superficie
quanto maggiore sarà stato il flusso di impattori (materiale) che l’ha
raggiunta e maggiori saranno le loro dimensioni“.
La zona di
Arcadia Planitia, su cui si è focalizzata la ricerca, presentava questi
interessanti allineamenti di strutture che dopo lo studio si possono
datare a 370 milioni di anni fa, cioè in tempi veramente recenti per il
tempo geologico marziano. Marte è un pianeta molto meno attivo del
nostro che, ad esempio, non presenta tettonica a placche. Dopo un primo
periodo che termina 3/3.5 miliardi di anni fa in cui su Marte l’attività
dell’acqua era abbastanza intensa da permettere ai fiumi di scavare
alvei complessi, il pianeta comincia a virare verso un ambiente globale
secco. Questo secondo periodo termina circa 1.8 miliardi di anni fa,
dopo di che le uniche attività dell’acqua note sono le calotte glaciali
ai poli ed eventi estremamente superficiali sull’ordine di grandezza
centimetrico o metrico al massimo.
“Avere trovato una
mobilizzazione di grosse masse d’acqua, come quella che deve essere
risalita per produrre le migliaia di vulcani di fango da noi studiate,
che datano a soli 370 milioni di anni fa – sottolinea De Toffoli –
è una scoperta che rimette in discussione l’attività del pianeta e apre
un nuovo capitolo di domande su quanta acqua è in effetti rimasta nelle
profondità del pianeta. Inoltre il fatto che la profondità di sorgente,
18 Km, corrisponda alla profondità dove è ipotizzata la base del
permafrost rafforza ulteriormente le precedenti osservazioni poiché
sottolinea un ulteriore collegamento con ambienti ricchi d’acqua. Ciò
conferma con buona probabilità il fatto che una consistente massa di
acqua fosse presente nel sottosuolo di Marte in tempi incredibilmente
recenti“.
“Questo ha un’implicazione importante sia per
comprendere l’evoluzione del pianeta e i processi che l’hanno modellato,
sia nell’ambito astrobiologico. Marte è uno dei principali candidati di
studio per la ricerca di vita, noi abbiamo individuato su Marte – conclude la ricercatrice padovana – un
ambiente in cui significative quantità d’acqua sono state presenti in
forma liquida in un tempo molto recente, questo rende l’area ad alto
potenziale, e quindi attraente, per lo sviluppo di studi astrobiologici.
Oltre alla presenza di acqua liquida, sono interessanti a queste
finalità di studio le possibili emissioni di metano prodotte dalla
dissociazione dei clatrati (ghiacci d’acqua le cui strutture cristalline
possono ospitare molecole di CO2 o metano) e dal fatto che i fluidi in
esame provengono da profondità dove la vita è potenzialmente più
riparata dell’inospitalità marziana più superficiale“.
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