La notizia del rilevamento di livelli elevati di radioattività in campioni di carni e cinghiale risale ai primi mesi del nuovo anno e dopo aver destato l’attenzione che merita è svanita nel dimenticatoio dell’informazione
Nel Marzo di quest’anno, infatti, tracce di cesio 137 sono state riscontrate dall’analisi di campioni di lingua e diaframma di capi abbattuti durante la stagione venatoria 2012/2013. Ad un paio di mesi dalle prime positività, poi, l’Istituto zooprofilattico di Torino ha individuato altri dieci cinghiali radioattivi nell’Ossola, nel nord del Piemonte, otto dei quali provenienti dalla valle Vigezzo e due dalla valle Anzasca.
La possibilità di effettuare controlli alla ricerca di radio-contaminanti sulla selvaggina destinata all’alimentazione è andata evolvendosi a partire dal 2003 (1). È proprio in osservazione della raccomandazione della Commissione Europea di quell’anno, infatti, che sono stati effettuati analisi su un campione di un centinaio di cinghiali nella zona del Vercellese. Come si legge dai comunicati del ministero, infatti, i campioni erano stati prelevati per essere sottoposti ad una indagine sulla Trichinellosi, una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente suini e cinghiali. Successivamente, gli stessi sono stati sottoposti a un test di screening per la ricerca del radionuclide Cesio 137 coerentemente con quanto espresso dalla Raccomandazione della Commissione Europea del 2003 (2003/274/CE).
I risultati hanno evidenziato, in ben 27 casi, la presenza di un numero consistente di campioni con livelli di Cesio 137 superiori a 600 Bq/Kg, presentando valori che oscillavano in un range compreso tra 0 e 5621 Bq/Kg, ben al di sopra di quanto stabilito dal Regolamento europeo del 2008 (2). I capi coinvolti sono stati successivamente inviati al Centro di Referenza Nazionale per la Ricerca della Radioattività nel Settore Zootecnico Veterinario dell’IZS di Puglia e Basilicata e al Centro di Referenza nazionale di Foggia per essere sottoposti ad ulteriori test.
Il Ministro della Salute, Renato Balduzzi, si è subito affrettato a ribadire come “ i livelli di contaminazione riscontrati non costituiscono un rischio per la salute pubblica in considerazione dei limitati consumi di carne di cinghiale e di selvaggina” ed ha disposto le procedure del caso. Ad occuparsi dell’analisi e reperimento di maggiori dati ed informazioni sono stati dunque chiamati il Comando dei Carabinieri del Nas e del Noe, nel cui Reparto operativo è inserita una Sezione inquinamento da Sostanze radioattive, (orientata al contrasto di traffici illeciti di rifiuti e materiali radioattivi e dotata di complessi laboratori mobili di rilevamento), che insieme alla Direzione Generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione dello stesso Ministero coordinano tutti gli accertamenti. L’importanza della scoperta è evidente se si considera che la stessa procura di Vercelli ha aperto un fascicolo contro ignoti per avvelenamento di acque e di sostanze alimentari.
Gli ufficiali dei Comandi Nas e Noe, in questo senso, hanno presentato al procuratore della Repubblica di Vercelli, Paolo Tamponi, una relazione preliminare riguardante il ritrovamento dei cinghiali. Al termine della riunione, il magistrato ha interessato il sostituto procuratore Ezo D. Basso affinché deleghi i carabinieri a procedere con le verifiche, avvalendosi di organi tecnici per compiere indagini utili a comprendere se vi siano eventuali profili di rischio per la salute pubblica e per effettuare campionamenti e analisi di matrici alimentari di terra e di acqua nella zona di abbattimento degli animali risultati contaminati.
Il contaminante rilevato dalle indagini di cui sopra è il Cesio 137, un isotopo radioattivo che si forma principalmente come prodotto secondario durante la fissione nucleare dell’Uranio. Dopo l’ingestione, il Cesio si distribuisce nell’organismo, in modo più o meno uniforme, raggiungendo le maggiori concentrazioni in tessuti ricchi di potassio, come quelli dei muscoli scheletrici e del cuore, e minore concentrazioni nelle ossa. Gli effetti dati da assunzione di isotopi sono vari e possono portare ad un generale abbassamento delle difese immunitarie, favorendo le malattie infettive, incrementando alterazioni al sistema cardiovascolare e supportando quelle malattie degenerative caratterizzate da modificazioni genomiche.
Nel cercare le cause che sono alla base del fenomeno in oggetto è necessario soffermarsi sulle caratteristiche proprie dell’isotopo in questione.
Il Cesio, infatti, è scarsamente mobile e permane negli strati superficiali del suolo (10-20 cm) per vari decenni. I cinghiali e gli animali selvatici in generale, che si cibano al suolo, sono dunque particolarmente soggetti alla sua ingestione. Ciò si collega direttamente con la principale delle ipotesi su cui si è andata concentrando l’analisi degli esperti, cioè che livelli cosi elevati di Cesio nei cinghiali abbattuti siano una conseguenza diretta del disastro di Cernobyl della metà degli anni ’80. Secondo alcune ricostruzioni del tempo, infatti, le ricadute radioattive che imperversarono sul continente europeo dopo il disastro furono particolarmente intense proprio in Piemonte, soprattutto nelle aree montane del Nord-Ovest della regione. La nube radioattiva che da Cernobyl invase il continente europeo venne ben presto ad incrociare intense precipitazioni, che ebbero l’effetto di dissolvere la nube tossica, portando a terra tutto il suo pericoloso carico, composto principalmente di Cesio e Iodio, elementi «nucleari» particolarmente nocivi per la salute umana. Il responsabile del dipartimento radiazioni dell’Agenzia regionale protezione ambiente (Arpa) del Piemonte, il fisico Giovanni d’Amore, spiega così la strana vicenda dei cinghiali contaminati della Valsesia. Il rischio, come sottolineato, è che la radioattività possa riscontrarsi sul terreno dopo essersi depositata negli anni. Secondo lo stesso esperto, i valori di Cesio 137 fuori dalla norma potrebbero infatti anche essere attribuibili ai funghi della regione, veri e propri recettori di radioattività e, soprattutto, alimento per nulla disdegnato dai cinghiali.
Ad assumere una posizione netta in merito ed a sostenere l’ipotesi di cui sopra sono sia Legambiente, che ha categoricamente espresso la sua posizione per bocca di Gian Piero Godio, di Legambiente Piemonte e Val d’Aosta, esperto in questioni nucleari (3), sia rappresentanti dell’ARPA Piemonte (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), che avanzano l’idea che l’isotopo, ancora presente a bassi livelli nell’ambiente, possa essersi accumulato in alcune piante e determinati animali, funghi e selvaggina in primis, dove è perciò riscontrabile in concentrazioni elevate.
Dello stesso parere è anche la responsabile dell’Istituto di Radioprotezione dell’Enea, Elena Fantuzzi, che sottolinea come l’isotopo in questione è un radionuclide artificiale prodotto dalla fissione nucleare e, di conseguenza, “viene rilasciato da siti nucleari”. Le ipotesi più accreditate convergono dunque nell’individuare nell’incidente di Cernobyl la causa degli elevati tassi di radioattività riscontrati nei cinghiali abbattuti. Non si può però escludere a priori che le responsabilità siano da ricercare anche in altri siti nucleari della zona, fra i quali la centrale di Trino Vercellese smantellata nel 1987 e il sito sperimentale dell’Enea a Saluggia, negli ultimi mesi osservato speciale di alcune testate giornalistiche che ne avevano denunciato una vera e propria emergenza ambientale per la saturazione delle vasche di raccolta delle acque contaminate.
Il pericolo, in questo caso, risulterebbe dalla fuoriuscita di liquido e l’infiltrazione nel sottosuolo, con ripercussioni inevitabili sulla fauna locale. Stando alle dichiarazioni dell’Arpa piemontese, comunque, i risultati dei monitoraggi non chiamano in causa le fonti appena citate. Non può tuttavia escludersi la pista che vede nel settore industriale la causa principale dell’inquinamento riscontrato nel caso piemontese. Secondo Tiramani, consigliere piemontese, nel caso in cui emergesse concretamente la provenienza dei suini dalla bassa Valsesia, si renderebbe necessario “approfondire l’eventuale presenza di ulteriori contaminanti nel sito della ex Pulinet, al centro delle note questioni legate a un giro di rifiuti sospetti, che è già stato oggetto di bonifica ma che forse potrebbe riservare ancora qualche preoccupazione”.
A rimanere aperta è poi la pista più allarmante, cioè quella che ipotizza un traffico illecito di rifiuti tossici. Ipotesi che, però, allo stato attuale, non prende corpo, non risultando al momento alcuna documentazione in merito.
L’Italia non è certamente l’unico paese in cui è stato possibile rilevare un elevato tasso di radioattività riscontrabile nei cinghiali ma si aggiunge ad una lunga lista di paesi che hanno evidenziato già da tempo il sorgere del medesimo problema. Tra questi, innanzitutto la Germania. Come si apprende direttamente dal sito dello Spiegel International, una buona parte della popolazione di cinghiali che abita il paese rimane altamente radioattiva, presentando livelli a volte molto al di sopra del limite consentito dalla legislazione europea. Il fenomeno, d’altronde, continua a gravare sulle finanze tedesche: secondo stime del ministero dell’ambiente, infatti, è stato necessario stanziare almeno mezzo milione di dollari come risarcimento ai cacciatori per i mancati introiti dovuti all’eliminazione dal mercato di quegli esemplari che avevano fatto registrare tassi troppo elevati di radioattività al momento della cattura. Considerato indipendentemente da ogni altro tipo di riflessione questo dato può apparire superfluo. Assume però rilievo se si considera che la somma predisposta per i risarcimenti, nel 2007, era quattro vote inferiore ai livelli attuali.
Si evince dunque come il pericolo di riscontrare tassi elevati di radioattività nei cinghiali sia ad oggi ascrivibile principalmente al disastro nucleare di Cernobyl del 1986. La radioattività riscontrata nei cinghiali delle valli piemontesi non deve far urlare al pericolo di contaminazioni radioattive sul territorio italiano: la spiegazione risiede probabilmente nella natura stessa di un isotopo che è andato diffondendosi a macchia di leopardo in mezzo continente europeo. Nonostante ciò, è necessario mantenere alto il livello di monitoraggio.
Come spiegato da Aldo Grasselli, segretario nazionale del Sindacato italiano veterinari medicina pubblica (Sivemp), “I cinghiali sono degli animali sentinella delle condizioni di inquinamento dei territori in cui vivono, perché ci forniscono delle informazioni precise grazie ad un certo modo si sfruttare l’ambiente”. Senza dunque elargire spiegazioni più o meno azzardate una contaminazione degli animali deve richiedere approfondimenti e analisi approfondite, che tengano conto del contesto ambientale, meteorologico e idrogeologico. Proprio dai test in corso negli ultimi mesi si saprà qualcosa di più, considerando che dopo quelli svolti sui primi 27 esemplari che hanno fatto scattare l’allarme se ne siano aggiunti altri 150 cacciati negli ultimi mesi. Entro maggio, inoltre, come ricordato dal direttore dell’Istituto Zooprofilattico dell’Asl di Vercelli, Pier Luigi Cazzola, i test dovrebbero arrivare ad analizzare circa un migliaio di campioni. Non resta dunque che aspettare i risultati, sperando che almeno in tema di salute pubblica l’ingolfata macchina burocratica italiana lasci spazio alla ragionevolezza.
NOTE:
1) I controlli da cui è emersa la notizia in questione vengono, dunque, effettuati su tutto il territorio europeo nel quadro di un sistema di monitoraggio di cui le istituzioni continentali hanno voluto dotarsi a partire dall’incidente di Cernobyl del 1986 . Negli anni successivi a quell’episodio, infatti, il Consiglio delle Comunità Europee evidenziò la necessità di istituire un sistema da implementare in caso di incidente nucleare o di altro evento che possa dar luogo ad una significativa contaminazione radioattiva dei prodotti alimentari e degli alimenti per animali, fissando i livelli massimi ammissibili di contaminazione radioattiva ai fini della protezione della popolazione.
2) Nel 2008 il Consiglio Europeo emana il Regolamento n. 733/2008 relativo alle condizioni d’importazione di prodotti agricoli originari dei paesi terzi a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Cernobyl. In quest’ultimo documento viene stabilito che la radioattività massima cumulata di Cesio 134 e 137 non deve essere superiore a 600 Bq/kg e prevede, all’art 3 che gli Stati membri procedano a controlli dell’osservanza delle tolleranze massime di cui all’articolo 2 dello stesso documento.
3) Nonostante lo stesso esponente di Legambiente giudichi quasi “inverosimili” i livelli riscontrati.
Romano Zampetti
Fonte
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