Roma - Un sonno durato circa 120.000 anni, consumato nelle profondità della calotta artica, quello di una colonia di microorganismi risvegliata presso l'università di stato della Pennsylvania.
La lunga e delicata operazione è stata portata a termine dalla dottoressa Jennifer Loveland-Curtze e dal suo team di ricerca, impegnato nello studio di campioni provenienti dai carotaggi di ghiacci polari. Temperature estreme sotto il livello dello zero sono in grado di preservare strutture cellulari ed acidi nucleici anche per milioni di anni.
Lo studio di batteri rimasti intrappolati nelle stratificazioni della calotta polare artica dimostra peraltro la capacità di queste forme di vita di sopravvivere in condizioni di quasi totale assenza di ossigeno e nutrienti, in esposizione ad altissima pressione e con spazio vitale pressochè nullo. Condizioni non dissimili da quelle, ad esempio, di alcune zone di Marte o della Luna, su cui dunque potrebbero essere recuperati antichi microorganismi tutt'ora riportabili alla vita.
Il batterio, denominato "Herminiimonas glaciei", presenta dimensioni particolarmente ridotte anche per un microorganismo della sua categoria: gli esemplari sono difatti tra le 10 e le 50 volte più piccoli dell'E.Coli. Questa taglia infinitesimale consentirebbe in teoria ad H.Glaciei di infiltrarsi attraverso le più fitte strutture cellulari, laddove nessun batterio finora noto potrebbe spingersi. I filtri comunemente utilizzati per sterilizzare fluidi in laboratori ed ospedali, ad esempio, sono considerati assolutamente sicuri grazie a superfici porose con pertugi di 0,2 micron di diametro: H.Glaciei sarebbe tuttavia in grado di attraversarli con facilità.
La ricerca fa luce dunque anche su una possibilità più diretta e "terrena" di quella di recuperare e destare da sonni millenari microorganismi alieni: osservando H.Glaciei, e teorizzando l'esistenza di altri batteri di tali dimensioni, potremmo fin'ora aver considerato completamente sterili soluzioni ed ambienti in realtà almeno parzialmente compromessi.
Andrea B. Previtera
andrea.previtera@voceditalia.it
Fonte: http://www.voceditalia.it
La lunga e delicata operazione è stata portata a termine dalla dottoressa Jennifer Loveland-Curtze e dal suo team di ricerca, impegnato nello studio di campioni provenienti dai carotaggi di ghiacci polari. Temperature estreme sotto il livello dello zero sono in grado di preservare strutture cellulari ed acidi nucleici anche per milioni di anni.
Lo studio di batteri rimasti intrappolati nelle stratificazioni della calotta polare artica dimostra peraltro la capacità di queste forme di vita di sopravvivere in condizioni di quasi totale assenza di ossigeno e nutrienti, in esposizione ad altissima pressione e con spazio vitale pressochè nullo. Condizioni non dissimili da quelle, ad esempio, di alcune zone di Marte o della Luna, su cui dunque potrebbero essere recuperati antichi microorganismi tutt'ora riportabili alla vita.
Il batterio, denominato "Herminiimonas glaciei", presenta dimensioni particolarmente ridotte anche per un microorganismo della sua categoria: gli esemplari sono difatti tra le 10 e le 50 volte più piccoli dell'E.Coli. Questa taglia infinitesimale consentirebbe in teoria ad H.Glaciei di infiltrarsi attraverso le più fitte strutture cellulari, laddove nessun batterio finora noto potrebbe spingersi. I filtri comunemente utilizzati per sterilizzare fluidi in laboratori ed ospedali, ad esempio, sono considerati assolutamente sicuri grazie a superfici porose con pertugi di 0,2 micron di diametro: H.Glaciei sarebbe tuttavia in grado di attraversarli con facilità.
La ricerca fa luce dunque anche su una possibilità più diretta e "terrena" di quella di recuperare e destare da sonni millenari microorganismi alieni: osservando H.Glaciei, e teorizzando l'esistenza di altri batteri di tali dimensioni, potremmo fin'ora aver considerato completamente sterili soluzioni ed ambienti in realtà almeno parzialmente compromessi.
Andrea B. Previtera
andrea.previtera@voceditalia.it
Fonte: http://www.voceditalia.it
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