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Monday, March 11, 2019

Davvero gli alieni sono più vicini?

Il National Geographic invita a prepararsi culturalmente all'esistenza di altre forme di vita. Ma l'astrofisico Bianco invita a un bagno di realtà: «Il problema resta la comunicazione».

 

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 Gli alieni sono più vicini. Non è questione di astronavi, ma di teoria scientifica. Il che è emozione molto più forte di qualsiasi effetto speciale. A suscitarla sono le quattro parole «We are not alone» – noi non siamo soli - campeggianti sulla copertina di National Geographic edizione americana, numero di marzo 2019. Pubblicate in 4 milioni di copie, che quasi raddoppiano considerando le successive edizioni “locali” destinate a 40 Paesi, Italia compresa, sono parole scritte per segnare un’epoca, il momento in cui, attraverso le pagine di un autorevole magazine generalista come il National, la scienza comunica ufficialmente all’umanità di prepararsi, almeno culturalmente, agli Incontri ravvicinati del terzo tipo, i contatti diretti con gli extraterrestri profetizzati 42 anni fa nel film di Steven Spielberg. 

«In effetti, le recenti scoperte astronomiche in tema di esopianeti hanno moltiplicato in modo notevole le possibilità di vita intelligente nell’universo». Senza bisogno di leggere il lungo articolo di Jamie Shrieve, l’astrofisico Giuseppe Bianco, direttore del Centro di Geodesia spaziale di Matera, avvalora i presupposti su cui questa cover story si basa, ovvero l’accresciuta capacità scientifica di monitorare, nei sistemi stellari confinanti con il nostro, la reale esistenza di esopianeti, come vengono definiti i pianeti orbitanti attorno a stelle analoghe al Sole. 

 «Grazie a tecnologie sempre più potenti e definite», spiega Bianco a Lettera43.it, «ora sappiamo come la struttura del sistema solare valga per miliardi di altri insiemi, formati da una stella e dai pianeti che le orbitano intorno. Se questi ultimi sono caratterizzati da una massa solida, dalla presenza di acqua e dalla giusta distanza rispetto al loro Sole, si producono premesse simili a quelle da cui ha preso forma la vita sulla nostra Terra».

 

Oltre 4 mila sono gli esopianieti monitorati negli ultimi anni grazie a telescopi lanciati nello spazio per giovarsi di un’osservazione più nitida e accurata rispetto a quella schermata dall’atmosfera terrestre. Formidabile è stato in tal senso il contributo offerto per nove anni dal Kepler della Nasa, la cui missione, esauritasi pochi mesi fa, trova ora seguito in Tess, il nuovo Planets Hunter telescopico a cui si deve l’identificazione di un immenso esopianeta, grande 23 volte la Terra, orbitante nella costellazione del Reticolo.
Ma, come racconta National Geographic, la Nasa deve guardarsi dalla concorrenza di soggetti privati del calibro di Yuri Milner, filantropo russo pronto a rastrellare i 100 milioni di dollari necessari al finanziamento di Breakthrough Starshot. Ideato da un team di cui faceva parte anche il grande fisico inglese Stephen Hawking, scomparso un anno fa, si tratta di un progetto di esplorazione della costellazione più vicina al sistema solare, Alpha Centauri, la cui distanza, di oltre quattro anni luce, verrebbe coperta da minuscole sonde in grado di viaggiare a 60 mila km al secondo, così da garantire un viaggio andata e ritorno di circa 20 anni.

IL PROBLEMA È LA COMUNICAZIONE

Di fronte a tanta esuberanza, il professor Bianco raccomanda un bagno di realismo. «Perché il problema resta quello dei mezzi di comunicazione», conclude. «Se altre forme di vita intelligente esistono, l’ipotesi di un contatto può essere fortemente limitata dalla distanza che ci separa da loro: milioni, miliardi di anni luce. Scoprire che nell’universo c’è qualcun altro che non incontreremo mai, può farci sentire ancora più soli».

Fonte

Commento di Oliviero Mannucci : In realtà la distanza che ci separa da altre civiltà non è affatto un problema. Basta usare la telepatia, il pensiero non ha i limiti della velocità della luce. L'unico problema vero, è che l'apertura mentale media di uno scienziato terrestre è quella del cervello di un microbo.

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