C'è vita nel cosmo? E di che tipo di vita si tratta? Ci dobbiamo
immaginare esseri simili a noi o magari quei mostri che spesso si
vedono nei film di fantascienza? E se fossimo proprio noi il prodotto di
una creazione aliena?
Per tentare di avere una risposta non
bisogna allontanarsi anni luce dalla Terra ma a soli pochi chilometri
da Roma, a Viterbo, dove Raffaele Saladino,
chimico, docente all'Università della Tuscia e presidente della Società
italiana di astrobiologia (Sia) sta realizzando, insieme all'Agenzia
spaziale italiana (Asi), una rete di laboratori dedicati alla ricerca
dell'origine della vita e agli studi sulle possibilità di abitabilità
degli altri pianeti che hanno caratteristiche simili alla Terra. E così
una disciplina che è vecchia quanto l'uomo, l'Astronomia, e un'altra che
ha compiuto da poco 15 anni, l'Astrobiologia, andranno finalmente a
braccetto.
Professor Saladino, questo 2020 si annuncia ricco di iniziative...
«Penso
proprio di sì. Io e il professor Marco Moracci dell'Università Federico
II di Napoli abbiamo incontrato il team Asi diretto da Barbara Negri,
che tempo fa fu selezionata per il ruolo di astronauta come scienziato a
bordo, per definire nuovi possibili ambiti di collaborazione con
riferimento alle principali tematiche dell'astrobiologia».
Ci può illustrare qualche particolare?
«Ci
dedicheremo soprattutto allo studio sull'origine della vita, sulla
possibilità di abitabilità di altri pianeti, ma anche alla ricerca e
alla definizione di marcatori molecolari e fisici della presenza della
vita sugli esopianeti e su altri corpi celesti come meteoriti, asteroidi
e lune».
Insomma lavorerete fianco a fianco con gli scienziati che stanno mettendo a punto le future missioni spaziali?
«Esattamente,
il nostro compito sarà quello di analizzare il materiale recuperato e
l'analisi di campioni extraterrestri che verranno riportati sulla
Terra».
Cosa significa questa sinergia?
«Significa
molto perché darà a noi astrobiologi la possibilità di avere un
confronto con ricercatori qualificati di altri istituti nazionali ed
europei, favorirà sicuramente il coordinamento per progettare e ottenere
ulteriori acquisizioni teoriche e tecnologiche con importanti risultati
per il miglioramento della qualità della vita anche sul nostro
pianeta».
Il vostro è un consesso giovane, per quando è previsto il primo congresso?
«Abbiamo
deciso di organizzarlo il prossimo novembre proprio presso l'Università
della Tuscia a Viterbo. In quell'occasione la comunità astrobiologica
italiana potrà confrontarsi con gli esperti di astrobiologia e di
radiobiologia del Joint Institute of Nuclear Research (Jinr) di Dubna
(Mosca), per approfondire il ruolo svolto dalla radiazione cosmica e dal
vento solare come sorgenti ad alta energia nel danno cellulare, e, in
alternativa, quali sorgenti di energia per la sintesi prebiotica di
molecole essenziali per l'origine della vita».
Vi concentrerete in particolare su quali oggetti?
«Sulle
meteoriti come complesse fattorie per il trasporto e la sintesi degli
ingredienti della vita, in grado di convertire l'energia radiante in
energia chimica, e come ambienti protettivi per la sopravvivenza e la
persistenza di microrganismi nelle condizione estreme dello spazio,
creando una continuità tra la chimica delle origini e la biologia».
È vero che avete ricreato in laboratorio le condizioni primordiali del Sistema Solare?
«No,
le cose non stanno proprio così. I ricercatori russi dello Jinr hanno
effettuato studi (in collaborazione con alcuni laboratori italiani,
ndr.) che avevano come obiettivo l'irradiazione di meteoriti carbonacei,
veri e propri fossili della composizione primordiale del Sistema
Solare, con fasci di particelle ad alta energia. Questi studi sono
risultati di essenziale importanza per poter comprendere il meccanismo
di formazione della materia organica insolubile, la stessa che risulta
presente all'interno dei meteoriti carbonacei in grande quantità».
E quindi in parole semplici?
«Si
tratta di un materiale molto interessante, ad oggi ancora poco compreso
per quanto riguarda la sua struttura chimica, e che risulta essere
coinvolto nel rilascio di biomolecole utili per l'origine della vita in
seguito alla caduta del meteorite sulla superficie di un pianeta».
Ci illustri la mappa dell'astrobiologia italiana.
«A
parte l'Università della Tuscia, che ha da sempre svolto un ruolo
importante per il suo sviluppo, esistono realtà attive a La Sapienza, al
Cnr di Roma e Napoli, alle Università di Firenze, Trento, Catania, alla
Federico II di Napoli, e all'Inaf osservatorio astronomico prima di
Napoli e quindi di Firenze. La Tuscia è responsabile dello svolgimento
di numerosi progetti di astrobiologia finanziati dal Miur, dall'Asi e
dall'Esa».
Ma in pratica, cosa fa l'astrobiologo e come ci si diventa?
«È
una figura che studia l'origine, la presenza e la persistenza della
vita sulla Terra e nello spazio. In Italia per un giovane ci sono tanti
percorsi diversi. Si può affrontare l'astrobiologia partendo da una
solida preparazione nell'ambito fisico e astrofisico, oppure arrivarci
dalla biologia, dalle scienze naturali, dall'ingegneria o dalla
chimica».
Il segreto per diventarlo?
«Qualunque
sia il percorso seguito, l'astrobiologia richiede la curiosità e la
passione di estendere le proprie conoscenze a più ambiti disciplinari,
una sorta di torre di Babele dove con grande pazienza e applicazione
tutti riescono finalmente a comprendere il linguaggio degli altri
creando una sinergia senza precedenti, quella necessaria per comprendere
l'origine e il futuro della vita».
Enzo Vitale
Fonte
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