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Thursday, May 30, 2013

Ognuno di noi ha il proprio sosia: si trova in un altro universo

sosia-universi-paralleli-01.jpgUno, moltissimi o infiniti? La domanda vagamente pirandelliana si riferisce al numero degli universi. Persino il linguaggio è inadeguato nel formulare una questione così vertiginosa.
Universo ha dentro di sé la parola uno e mal sopporta il plurale se si parla di universi veri, astrofisici, cioè esistenti, e non di universi metaforici. L’universo è uno per definizione in quanto dentro di sé tutto comprende. Molti universi, alla fine, nel loro insieme, non dovranno a fil di logica costituire un unico universo?
Eppure l’dea del “multiverso”, cioè della pluralità – forse infinita – di universi sta prendendo piede. Si ripropone così in modo attuale e sotto nuove apparenze un antico problema: l’universo è finito o infinito?
Nel fascicolo del mensile “le Stelle” che andrà in edicola giovedì 30 maggio Tommaso Maccacaro affronta la questione. Nel suo articolo, il past-president dell’Istituto nazionale di astrofisica ricorda che alcune varianti della teoria delle stringhe permettono di stimare in 10 elevato alla 500 il numero degli universi possibili.

Non è l’infinito, ma già così non si scherza. Dieci elevato alla 500 è un numero immensamente più grande di 10 alla 82, e 10 alla 82 è il numero totale delle particelle elementari che costituiscono l’universo così come lo conosciamo dalle osservazioni astronomiche. La stima è del premio Nobel per la fisica Steven Weinberg.
Ma 10 alla 500 è un numero miserabile rispetto a 10 elevato alla 10 elevato alla 16 (dieci alla sedici è un esponente pari a 10 milioni di miliardi), e questa è la stima di Max Tegmark, professore di cosmologia al MIT.
Conosciamo da sempre lo 0,6% di stelle e pianeti; da un secolo il 4% del gas intergalattico; da ottant’anni lo 0,4% dei neutrini; da settant’anni la materia scura; da meno di 15 anni l’energia scura. La ricetta dell’universo che conosciamo è semplice e misteriosa:
-il 4% è costituito da gas intergalattico 
-lo 0,6% è fatto di stelle e pianeti 
-lo 0,4% è rappresentato da neutrini 
-il 23% da materia oscura (ma sarebbe meglio dire scura) 
-il 72% da energia oscura (ma sarebbe meglio dire scura). 
Sono proprio le scoperte più recenti e le teorie per interpretarle ad aver messo in crisi la parola universo, inducendo a declinarla al plurale. Proviamo a ripercorrere di gran carriera l’intera storia della cosmologia (qui accanto, la radiazione cosmica di fondo nella mappa tracciata dal satellite Wilkinson-MAP).
Già nell’antichità greca coesistevano le idee di universo chiuso e di universo infinito (aperto). I filosofi della Scuola presocratica di Mileto propendevano per l’infinito: è il caso dell’atomista Democrito. Anassimandro (610- 546 a.C.) faceva dell’”àpeiron”, letteralmente “senza perimetro”, “senza confine”, il principio universale.
Vinse però l’idea dell’universo finito e chiuso, strutturata solidamente da Aristotele e trasposta nella cosmologia di Tolomeo fatta propria della Chiesa cristiana. Terra ferma al centro, Luna, Sole e pianeti a danzarle intorno, il tutto chiuso dentro la sfera cristallina delle stelle fisse: questa è stata la cosmologia dominante per duemila anni.
E vale anche per Copernico e Keplero, che furono eliocentrici, ma sempre chiusi dentro la sfera delle stelle fisse. L’infinito – nello spazio e nel tempo – veniva scacciato dal mondo fisico (e persino matematico) in quanto attributo esclusivo di Dio. Lo imparò a proprie spese Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600 per le sue tesi eretiche, comprendevano anche quelle sull’infinitezza dell’universo e dei mondi.
Tuttavia, come Lucio Russo (Università La Sapienza di Roma) ha dimostrato, anche l’dea perdente – universo infinito – è rimasta viva e vegeta, sia pure sotto traccia.
L’universo infinito, almeno sotto la forma attenuata di indeterminato / illimitato ricompare in modo esplicitò con Nicolò Cusano: è inconoscibile, ma la “dotta ignoranza” permette di intuirlo in quanto “explicatio”, benché inadeguato e imperfetto, di Dio.
Finito e infinito sono indissolubilmente connessi nella “coincidenza degli opposti”. Teologo, cardinale, filosofo e astronomo tedesco, Nicolò Cusano viva dal 1401 al 1464, sulla soglia tra Medioevo e Rinascimento.
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Il primo a disegnare l’universo con stelle a perdita di vista anche oltre il classico cielo delle stelle fisse è l’inglese Thomas Digges nel 1576. Nato nel 1546 e morto nel 1596, Digges fu matematico e astronomo di idee copernicane. A suo padre Leonard si attribuisce l’invenzione “ante litteram” del telescopio, sia rifrattore sia riflettore.
In ogni caso le dimensioni dell’universo continuavano a crescere. La distanza Terra-Sole passa da 54 raggi terrestri secondo Anassimandro a 3500 secondo Keplero e a 24.000 secondo Huygens (1629-1695). In un secolo, dalla fine del 1800 alla fine del 1900, siamo passati da un universo stimabile in 100 mila anni luce a un universo di 46 miliardi di anni luce. L’infinità dell’universo e dei mondi abitati nel 1600 costa la vita a Giordano Bruno, messo al rogo a Roma in piazza Campo dei Fiori.
Infinito appare l’universo a Galileo che con il suo cannocchiale scopre innumerevoli stelle nella costellazione di Orione e nella Via Lattea. Indefinito è per Cartesio. Infinito ed eterno è per Newton, e questo per lui, che fu appassionato teologo, è un fatto lacerante perché le prerogative dell’universo sono le stesse di Dio.
Illimitato appare a William Herschel che per primo esplora lo spazio profondo e sospetta che l’universo non coincida con la Via Lattea, cioè con la nostra galassia. Non a caso Kant parla di “universi isola” interpretando certe nebulose come altrettante remote Vie Lattee.
Il dilemma si risolve a Washington nel 1920 con il “grande dibattito” tra Heber Curtis del Lick Observatory, California, sostenitore della pluralità delle galassie, e Harlow Shapley, convinto che l’universo coincidesse con la nostra Via Lattea. Vinse, naturalmente, Curtis, e se ne ebbe la certezza nel corso degli Anni 20 grazie al lavoro di Edwin Hubble, scopritore dell’espansione dell’universo, presupposto sperimentale della teoria del Big Bang.
Il belga padre Georges Lemaitre ne è un pioniere. Da questo momento la Storia entra nella cosmologia e lo strumento fondamentale per analizzarla è la relatività generale di Einstein.
Poiché è la materia che dice allo spazio la forma e le dimensioni che “deve” assumere, si delineano, con Alexandr Fridman, le alternative tra universo chiuso e finito nel tempo, universo piatto, aperto e infinito, universo iperbolico aperto e infinito nello spazio e nel tempo.
multiverso-1.jpgI problemi del modello del Big Bang inducono la svolta della teoria inflativa (Alan Guth, 1979) e delle sue varianti. Intanto la presenza della materia scura diventa sempre più evidente e nel 1988, con la scoperta dell’accelerazione nel moto di espansione dell’universo, si impone l’idea di energia oscura, consacrata con il Nobel 2011 a Saul Perlmutter, Brian P. Schmidt e Adam G. Riess.
La teoria delle stringhe elaborata per mettere insieme meccanica quantistica e gravità (relatività generale), evolutasi nelle superstringhe e poi nella M-Theory, ha aperto la strada alla valutazione di 10 alla 500 universi possibili. Marginale ma antichissima e avvincente è l’ipotesi dell’universo infinitamente ciclico sostenuta da Paul Steinhardt e Neil Turok, rispettivamente Università di Princeton e Cambridge.
In un supremo superamento, Max Tegmark fa un atto di fede nel Dio Matematico, sostenendo che deve (non può: deve) esserci un universo corrispondente a ogni struttura matematica, nessuna esclusa.
Avremmo quindi un universo di Euclide e Newton, ma anche universi in cuim lo spazio ha un numero infinito di dimensioni, universi dove esistono due dimensioni di tempo, un universo governato dall’algebra dei quaternioni che non ha né spazio né tempo e così via. Ed è in questo modo che si arriverebbe alla stima di 10 alla 10 alla 16 universi. Che per le mie e credo anche le vostre esigenze sembrano, francamente, troppi.
La conseguenza più sconvolgente di un numero di universi così grande è che in essi si realizzerebbero tutte le possibilità, incluse le più improbabili, come una mia copia identica che scrive un articolo identico a questo e un lettore identico a te che lo sta leggendo.
Tommaso Maccacaro riporta anche la distanza oltre la quale, secondo Tegmark, si troverebbe il primo confine della ripetizione dell’identico. Sarebbe a 10 elevato a 10 alla 118 metri. Per farvi un’idea di quanto sia, vi ricordo che questo universo che oggi per noi è, sperimentalmente, l’unico universo, misura soltanto 10 alla 26 metri. [Piero Bianucci sulla stampa.it]

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