Nell’ambito della collaborazione con il Concorso Giornalisti nell’Erba, la redazione di Greeno ha pubblicato l’intervista esclusiva di Francesca Mancuso a Luca Parmitano, che partirà domani 28 maggio per una missione di 6 mesi in orbita attorno alla Terra a bordo della International Space Station e sarà il primo italiano a passeggiare nello spazio. Il contributo è uno dei primi tre classificati al Concorso.
Luca, è tutto pronto. Stai per partire per la Stazione Spaziale Internazionale. Come ti sei preparato?
Ho il privilegio di essere il primo della nuova generazione degli astronauti dell’ESA a
essere stato assegnato a una missione sulla ISS. Il mio volo avrà, tra
gli altri, l’obiettivo di promuovere il futuro dell’esplorazione
spaziale dell’Europa, il ruolo che l’Europa ha sulla Stazione
(attraverso l’ESA) e sottolineare l’importante ruolo dell’Italia nel
campo dell’astronautica. La mia missione sarà la prima di lunga durata
per l’Agenzia Spaziale Italiana. L’addestramento per una spedizione (che
corrisponde a una permanenza di 6 mesi sulla Stazione Spaziale
Internazionale) ha una durata di circa 2 anni e mezzo. Consiste
inizialmente in una serie di lezioni teoriche che servono a preparare l’astronauta ai vari componenti della Stazione; poi prosegue con l’addestramento pratico nei
simulatori. Le aree di lavoro sono molteplici: ci addestriamo a
lavorare nei vari settori dell’ISS (Americano, Russo, Europeo e
Giapponese), alla loro manutenzione; a lavorare ai vari esperimenti
presenti durante la spedizione (a bordo dell’ISS sono presenti, in un
dato momento, anche più di 100 esperimenti, molti dei quali dell’ESA e
dell’ASI); a rispondere alle situazioni di emergenza, per mettere
l’equipaggio e la Stazione in sicurezza; a effettuare Attività
Extraveicolari (le cosiddette “passeggiate spaziali”) con lo scafandro; a
operare attra- verso il braccio robotico Canadarm2; e, nel mio caso, mi
addestro anche come copilota della navetta Soyuz, il che vuol dire che
devo essere pronto a effettuare in maniera manuale tutte le fasi più
importanti del volo. Come pilota dell’Aeronautica Militare (sono un
Maggiore tutt’ora in servizio) questo è uno dei ruoli che rendono più
interessante la missione!
Vorrei sottolineare come il “sistema
Italia” mi abbia permesso di essere giunto fin qui: se da una parte la
mia preparazione come pilota sperimentatore/collaudatore è stata
fondamentale, sia durante la selezione che l’addestramento, è grazie
agli accordi bilaterali ASI-NASA (dove l’ASI ha fornito i moduli
MPLM-Multi Purpose Logistic Module e PMM-Permanent Multipurpose Module
alla Stazione, ottenendo in cambio dei voli orbitali) che potrò volare
sull’ISS.
Per
via dello spazio limitato, le dotazioni delle navicelle devono essere
sicuramente ottimizzate, riducendo al massimo le risorse da utilizzare.
Com’è organizzata in questo senso la stazione spaziale?
Sebbene l’ISS sia l’astronave più grande
mai costruita, il volume è effettivamente limitato. L’organizzazione
della logistica di bordo è gestita grazie a un software, chiamato IMS (Inventory Management System), accessibile dagli astronauti e dal personale di terra, dove è catalogato ogni oggetto presente a bordo, e il luogo in cui si trova. Grazie a questo software si cerca di evitare la ridondanza,
laddove non sia stretamente necessaria per motivi di sicurezza, e
limitare le risorse. Per quanto possibile, cerchiamo di intervenire per
riparare i guasti, piuttosto che cambiare una installazione con una
nuova. Facciamo molta manutenzione preventiva, per evitare che si
sviluppino problemi con la strumentazione. E infine, dove possibile, ricicliamo:
non siamo ancora arrivati ad avere un ambiente completamente
autosufficiente, e ne siamo anzi ben lontani, ma siamo sicuramente
all’avanguardia in questo campo.
Durante le missioni nello
spazio, quali sono secondo te gli sprechi? Cosa ritieni superfluo e cosa
necessario durante un viaggio in orbita?
Uno dei problemi che ancora non siamo riusciti a risolvere in orbita è come riutilizzare il vestiariodopo
che lo si è utilizzato. Non esiste ancora una soluzione pratica ed
efficace per lavare in maniera soddisfacente gli abiti e la biancheria,
per cui siamo costretti a buttare tutto dopo che è stato utilizzato (con
tempi di utilizzo che variano in base al capo di vestiario). Si cerca
di limitare gli sprechi (ad esempio, la biancheria contiene delle
fibre particolari che bloccano o comunque limitano la proliferazione di
batteri, il che consente di utilizzare alcuni capi molto più a lungo
del normale), ma è comunque necessario per motivi di igiene e comfort.
Restando nel campo del vestiario, ritengo del tutto superfluo il
concetto di “moda” – e infatti il vestiario degli astronauti è molto
semplice e pratico, normalmente degli shorts o dei pantaloni, una T-
shirt o una polo – mentre ritengo assolutamente necessaria l’efficienza.
Durante le lunghe permanenze nello
spazio si producono tanti rifiuti? Come vengono gestiti in orbita? Sulla
ISS si fa la raccolta differenziata?
Non saprei quantificare la quantità di
rifiuti prodotti durante una spedizione, ma posso garantire che è di
molto inferiore a quella prodotta dallo stesso numero di individui,
nello stesso periodo temporale, sulla Terra. Questo perché il vitto
spaziale deve essere sottovuoto, disidratato e/o precotto: l’imballaggio è minimo, e
di certo non è concepito per attirare il consumatore. Inoltre i volumi
utilizzati sono ridotti al minimo indispensabile, per cui proporzionalmente i rifiuti occupano uno spazio molto più piccolo dell’equivalente terrestre. In compenso, siamo in grado di riciclare l’acqua, compresi
i rifiuti organici liquidi. I rifiuti solidi, insieme a tutti i rifiuti
non organici, vengono bruciati durante le fasi di rientro delle navette
cargo ATV, Progress e HTV. Non facciamo raccolta differenziata perché,
al momento, le navette che rientrano sulla Terra portano carichi ben
precisi, normalmente di natura scientifico-tecno- logica, e non sarebbe
economicamente giustificabile riportare a terra i pochi rifiuti
riciclabili.
Qualche tempo fa, la PETA ha inviato
un appello a Elon Musk, amministratore delegato di SpaceX, la prima
società privata ad aver rifornito la ISS. L’organizzazione no-profit è
convinta che nei futuri viaggi nello spazio, soprattutto nell’ottica di
raggiungere Marte nei prossimi decenni, la dieta che i “marsonauti”
dovranno seguire dovrà essere vegana. Cosa ne pensi? Cosa mangia un
astronauta nello spazio?
Non ho seguito la proposta della PETA, e
non essendo un dietologo non so quali possano essere i vantaggi o gli
svantaggi di una dieta puramente vegana. Personalmente, per mia natura,
ritengo che la maggior parte delle soluzioni si trovino nel compromesso e
nell’equilibrio. La dieta di un astronauta è selezionata da personale
specializzato, tra cui dietologi (ovviamente con la collaborazione degli
astronauti stessi), che cercano di proporre una dieta bilanciata sia
dal punto di vista nutrizionale che calorico. Di fatto, una volta
preparato, il cibo spaziale non è così diverso da quello terrestre – le
porzioni sono generalmente piccole, perché nulla può essere conservato
e si cerca di consumare tutto per evitare rifiuti. Chiaramente i
cibi freschi sono quasi, se non del tutto, assenti. La dieta è
abbastanza varia e vi si può trovare di tutto: pasta, riso, pollo,
manzo, maiale, tonno, minestre di vario tipo, vegetali. Alcuni
astronauti posso- no scegliere di far preparare dei cibi speciali da
condividere con l’equipaggio (nel mio caso, ad esempio, ho scelto alcuni
famosi piatti tipicamente italiani e siciliani – opportunamente
modificati – per condividere la nostra cultura culinaria).
Le energie rinnovabili stanno
prendendo sempre più campo nella nostra realtà. Aumenta la
consapevolezza della necessità di optare per una soluzione “alternativa”
ai combustibili fossili. Cosa si sta facendo per portare le fonti
rinnovabili anche nello spazio? L’energia solare che ruolo ha oggi in
questo settore?
Lo spazio è da sempre la massima espressione della tecnologia di frontiera, per cui già da anni i satelliti e le sonde spaziali utilizzano combustibili non fossili che
ali- mentano i motori e gli strumenti per moltissimi anni. Le
tecnologie al momento esistenti non consentono tuttavia di costruire
vettori spaziali (ovvero, i lanciatori) funzionanti con fonti di energia
rinnovabili. Uno dei problemi è che le risorse destinate alla ricerca
spaziale sono estremamente limitate, e chi gestisce i programmi spaziali
si trova di fronte a un dilemma: come impiegare i fondi a disposizione
cercando di crea- re nuove tecnologie (o migliorare quelle esistenti)
senza intaccare i programmi in atto. Comunque la ricerca nel campo
energetico continua: uno degli esperimenti che seguirò sulla Stazione
(italiano, per altro – con la cooperazione dell’Agenzia Spaziale
Italiana) si chiama Green Air e si prefigge di studiare il
funzionamento di combustibili e comburenti per minimizzare le emissioni –
in orbita come sulla Terra. Per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia
solare, la risposta è molto più semplice: quasi il 100% dell’energia
elettrica utilizzata dalle navette spaziali è prodotta attraverso pannelli solari e
poi conservata in appositi accumulatori. Sulla Stazione Spaziale, il
100% dell’energia prodotta è solare. Inoltre il sistema di generazione
di ossigeno utilizza un motore Sabatier che combina l’ossido di carbonio
prodotto dalla respirazione (CO2) con idrogeno (H2) per generare metano
(CH4) e ossigeno (O2). L’idrogeno proviene da un altro sistema,
chiamato OGA, che utilizza acqua riciclata (H2O) per generare H2 e
ossigeno. Ecco un esempio di tecnologia sostenibile, efficace e
razionale.
I satelliti e gli altri dispositivi
che operano nello spazio hanno prodotto nel tempo una grande quantità di
rifiuti. Questi ultimi vagano attorno alla Terra, e qualche volta
“decidono” di tornare da dove sono venuti. È accaduto al satellite Uars,
e poco dopo anche al satellite Rosat. Come farà l’uomo ad eliminare i
rifiuti vaganti? E quali potrebbero essere secondo te le strategie per
far sì che ne vengano prodotti sempre meno per avere un cielo più
pulito?
Rispondo prima alla seconda domanda. I
cosiddetti rifiuti spaziali provengono in massima parte da mancati
inserimenti in orbita da parte di vettori che hanno avuto un qualche
malfunzionamento, oppure si tratta di vecchi satelliti che hanno
esaurito la propria vita operativa. Si può quindi immaginare che vettori
più moderni, con un rateo di successo maggiore, possano contribuire a
eliminare il problema di futuri mancati inserimenti in orbita. Satelliti
moderni, che utilizzano sistemi all’avanguardia, possono restare in
orbita molto più a lungo, e alla fine della loro vita operativa possono
essere guidati verso un rientro orbitale controllato che non lasci detriti.
Quindi la risposta è soprattutto
tecnologica. Apparentemente anche la risposta alla prima domanda è
legata alla tecnologia: costruire un sistema spaziale che possa
“raccogliere” i detriti per poi portarli verso un rientro orbitale
controllato è una soluzione sicuramente pensabile, e secondo me anche
possibile. Ma in realtà credo che la vera risposta sia, purtroppo,
ancora una volta legata all’economia: costruire un sistema come quello
appena descritto comporterebbe risorse non attualmente a disposizione
dei programmi spaziali, per cui, almeno nell’immediato futuro,
continueremo a effettuare le cosiddette DAM (Debris Avoidance Maneuver –
Manovra di Scampo contro Detriti) per evitare danni alle strutture
della Stazione.
Le risorse naturali a disposizione
sul pianeta Terra si stanno pian piano esaurendo. Da tempo si parla
della possibilità di andare a cercarle altrove. Il progetto Planetary
Resource a cui contribuiscono anche Eric Schmidt di Google e il regista
James Cameron punta proprio a questo, alla ricerca di acqua, platino ma
anche di metalli preziosi. Secondo te, questa nuova caccia
extraterrestre potrebbe avere come conseguenza un nuovo degrado
ecologico, questa volta al di fuori dei confini del nostro pianeta?
Credo che si tratti di un’idea molto
interessante, ma di difficile realizzazione in un futuro prossimo. Spero
che, quando avremo effettivamente la possibilità (e la volontà
politica) di intraprendere una colonizzazione per l’utilizzazione di
superfici planetarie extraterrestri, avremo anche raggiunto, come
specie, la sensibilità e la maturità necessari per farlo con coscienza ecologica.
Qual è la prima cosa che farai quando tornerai sulla Terra? Cosa pensi ti mancherà di più quando sarai sulla ISS?
È difficile immaginare cosa farò al
rientro, perché non ho ancora volato e passo molto più tempo a pensare a
quello che farò durante i sei mesi di lavoro in orbita. Posso
immaginare che, viste le condizioni di vita sull’ISS, avrò voglia di
fare una lunga doccia. Sono invece sicuro che nulla potrà mancarmi più
delle mie due figlie.
Peppe Caridi
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