Non tutto è finito con il crollo. Resta un immenso archivio di dati raccolti in mezzo secolo di ricerche. In quel confuso brusio cosmico potrebbero nascondersi molte scoperte scientifiche e forse anche un messaggio di extraterrestri intelligenti. Ma se fosse come quello che nel 1974 noi abbiamo inviato a loro, lo capiremmo?
Il 2 dicembre 2020 con il crollo del radiotelescopio di Arecibo, isola di Puerto Rico, l’umanità non ha perso soltanto un pezzo di storia della scienza, un’antenna sferica di 305 metri puntata allo zenit del cielo per carpire i segreti dell’universo. L’umanità ha perso anche il suo primo sogno di entrare in contatto con extraterrestri intelligenti. Di lì il 16 novembre 1974 partì un messaggio diretto all’ammasso globulare M 13, mezzo milione di stelle nella costellazione di Ercole. Arriverà, se arriverà, tra 25 mila anni, e altrettanti ce ne vorranno per captare una eventuale risposta. Ma non è questo che conta. E’, appunto, il sogno.
Il sorpasso cinese
Da qualche anno quello di Arecibo non era più il maggior radiotelescopio del mondo, uragani e terremoti ne sconsigliavano la manutenzione, strumenti più moderni e con prestazioni migliori lo stavano sostituendo. Nel 2016 l’aveva superato FAST, uno “specchio” sferico da 500 metri costruito nel sud-est della Cina: 4450 pannelli accostati con precisione millimetrica in un avvallamento protetto da montagne, costato l’equivalente di 160 milioni di euro e l'evacuazione, per motivi di sicurezza, di novemila residenti nella provincia di Guizhou. Tralasciando il fatto che per adesso non ha prodotto risultati scientifici importanti, il radiotelescopio cinese FAST (acronimo di Five hundred meter Aperture Spherical Telescope, Telescopio ad apertura sferica di 500 metri) sarà anche una meraviglia tecnologica ma il suo predecessore di Arecibo rimane insuperato nell’immaginario dell’umanità. Per le tante scoperte che ha reso possibili, per i romantici tentativi di comunicazione interstellare, per aver prestato la sua ciclopica struttura a film famosi come una serie di James Bond e “Contact”, tratto dall’omonimo romanzo di Carl Sagan. Eroica e drammatica è stata la sua fine, segnata dal cedimento dell’ultimo cavo che sorreggeva l’antenna secondaria sospesa nel punto focale: 820 tonnellate di acciaio cadute da 150 metri altezza hanno inferto il colpo fatale.
Non è la parola fine
Rimane tuttavia un lascito, una eredità di cui nessuno ha parlato. Il collasso del 2 dicembre non è la parola fine di un capitolo della ricerca. Per mezzo secolo il radiotelescopio di Arecibo ha lavorato raccogliendo segnali di pulsar, nubi interstellari, galassie attive, echi radar riflessi da asteroidi. Sono 12 petabyte di dati, 12 milioni di miliardi di informazioni. Molte scoperte astrofisiche potranno ancora essere estratte da questa eredità favolosa. Non solo. Nell’immenso archivio di quei segnali potrebbe nascondersi un messaggio intelligente emesso da qualche civiltà aliena. I radioastronomi professionisti non hanno il tempo e i finanziamenti per analizzare i dati sotto questo improbabile aspetto. Ma anni fa l’Istituto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence) chiese e ottenne che quei dati e molti altri raccolti con altri radiotelescopi venissero distribuiti a volontari forniti di personal computer per vedere se, per caso, qualche flebile voce aliena emerge dal frastuono cosmico. Si chiama Citizen Science. Potete farlo anche voi: basta caricare un programma gratuito che funziona da salvaschermo e setaccia i dati scaricati da Internet. L’unione fa la forza: una rete di personal computer servì a stanare il più grande numero primo mai identificato fino all’epoca di quella cooperazione. Purtroppo però E.T. si rivela più ostico dei numeri primi. Già dieci anni fa nel mondo partecipavano al Seti@Home (così si chiama il progetto) quattro milioni di persone e in Italia 64 mila personal avevano messo a disposizione l’equivalente di 10 mila anni di calcolo. Ma di segnali intelligenti finora non c’è traccia.
Segnali da decifrare
C’è anche da domandarsi che cosa si debba intendere per intelligenza. Il messaggio trasmesso da Arecibo nel 1974 è composto da 1679 cifre binarie, numero scelto perché è il prodotto di due numeri primi (23 e 73) che, se l’alieno provasse a disporre le informazioni binarie in un quadrilatero, lo obbligherebbero a disegnare un rettangolo nel quale si manifesterebbe un rozzo disegno con informazioni sui numeri binari (appunto), i numeri atomici degli elementi-base della (nostra) vita idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno e fosforo, la molecola di DNA, la popolazione della Terra, l’aspetto di un umano e lo stesso radiotelescopio di Arecibo, che dunque sopravvive nel messaggio trasmesso 46 anni fa. Forma e contenuto del messaggio di Arecibo furono ideati dal radioastronomo Frank Drake in collaborazione con Carl Sagan. E’ un messaggio intelligente fondato sulla nostra cultura bimillenaria. Ma se ci arrivasse dallo spazio lo capiremmo?
Niente è impossibile?
Il messaggio alieno di risposta infatti lo abbiamo ricevuto, ma i radioastronomi hanno fatto finta di niente. Perché? ( N.d.R)
Captare un messaggio alieno è improbabile. Improbabilissimo è che un alieno capti il nostro. Quasi impossibile che ci risponda.( A meno che non venga captato da una astronave di passaggio, come infatti eè avvenuto N.d.R ). Per i cinquantamila anni da passare in attesa, fate voi. Un poco ci conforta “Niente è impossibile” (edito da il Saggiatore, 198 pagine, 17 euro), saggio divulgativo di Cosimo Bambi, nome fiabesco di un professore di fisica all’Università Fudan di Shanghai, specializzato in teoria dei buchi neri. Nel suo libro Bambi parla di viaggi nel tempo e di cunicoli spaziali che avvicinano luoghi remoti dell’universo o di due universi mettendoli in contatto tramite scorciatoie relativistiche. Non prende in considerazione comunicazioni a velocità superiori a quella della luce ma accenna ai tachioni, ipotetiche particelle superluminali che la relatività non esclude. Insomma, la fisica teorica oggi sembra accreditare le soluzioni più ardite, per non dire stravaganti. Anche questo è un modo di sognare.
E.T. è necessariamente buono
Da quando nel 1960 lanciò “OZMA”, il primo programma di ascolto di eventuali segnali radio «intelligenti» inviati da ipotetiche civiltà aliene, Frank Drake (oggi novantenne) ha sempre sostenuto che, se ci sono, gli extraterrestri sono gente pacifica, altruista e quindi ben disposta verso di noi. Il motivo di questa fiducia addotto da Frank Drake è semplice: solo una civiltà politicamente stabile e animata da buone intenzioni può desiderare di stabilire qualche rapporto con altre civiltà sperdute nell’universo: nessuno prova gusto nel procurarsi nemici gratuitamente.
La sciocca paura del “diverso”
L’atteggiamento di Drake è condiviso dalla quasi totalità dei ricercatori e dei volontari che partecipano ai programmi SETI. Ma non così la pensa l’industria cinematografica, che di solito presenta gli alieni come pericolosi aggressori: basta pensare, per fare qualche esempio, ad «Alien» o «Idependence Day». Questa cattiva reputazione ha permeato l’opinione pubblica. Una vecchia indagine condotta dal portale Space.com a cui hanno risposto tremila persone ci ha detto che la maggior parte degli abitanti della Terra considera ostili gli extraterrestri. E’ la paura del diverso? E’ una riproduzione su scala cosmica della Lega di Salvini? Secondo gli psicologi che l’hanno analizzata, l’inchiesta di Space.com sarebbe una sorta di test proiettivo come quello famoso delle figure di Rorschach: non dice nulla su E.T. ma dice molto sulla natura umana. Rivela le nostre paure, i nostri sensi di colpa, la nostra repressa aggressività. Soprattutto, forse, la stupidità.
Piero Bianucci
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