Quale era il contesto in
cui fu realizzata la prima centrale elettronucleare italiana? Quali
erano le tecnologie disponibili all'epoca? Dove sono stati trasferiti i
rifiuti nucleari della centrale del Garigliano? Quali sono state le
conseguenze per la popolazione del “cratere nucleare”?
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La centrale del Garigliano
La centrale nucleare del Garigliano iniziò il suo funzionamento commerciale nel giugno
1964, ottenendo però solo nel 1967 la “licenza di esercizio”; per tre anni quindi è stata
abusiva.
Nel periodo compreso
tra il 1968 ed il 1975, per produrre maggiore energia, l'
Enel sostituì 72 delle 208 barre di Uranio della nocciolo del reattore con barre di Plutonio (tempo di dimezzamento 24mila anni, dose letale 1/10 di milligrammo).
Il camino della centrale del Garigliano, in funzione, immetteva nell’atmosfera
120.000 metri cubi di
sostanze aeriformi ogni ora. L'espulsione del vapore nell'aria veniva
trattata dai filtri posti alla base del camino. Secondo la stessa
Enel e l'
Enea, i filtri erano efficaci al
99,97%. Il restante
0,03% veniva quindi espulso in stato non puro. Calcoli alla mano fanno quindi
36 metri cubi all'ora,
moltiplicate per 15 anni, di sostanze venute a contatto con le barre di
uranio arricchito nel reattore, liberate nell’aria e nell'ambiente
circostante.
La centrale ha funzionato solo per 15 anni, appena 5 anni in più della coetanea centrale di Latina,
collezionando almeno ben 12 incidenti documentati dagli antinuclearisti fino al 1978 (un altro, anche se di lieve entità, è documentato nei
Kissinger's Cables di
Wikileaks), quando la gestione è passata dall'Enel all'
ENEA (Ente Nazionale per l'Energia Nucleare).
A partire dal
1972, in base alla raccolta dati
effettuata dagli attivisti locali, si noterebbe un progressivo aumento
dei casi di cancro, leucemie e malformazioni congenite nell'area del
“cratere nucleare”. Tra gli incidenti: nel
1972 e nel
1976,
si verificarono l'esplosione del sistema di smaltimento dei vapori e
gas incondensabili, con rottura dei filtri e rilascio di emissioni
nell'atmosfera. Nel 1976 avvenne anche l'
esondazione del fiume, un grave incidente che si ripeterà dopo la “chiusura” della centrale il
14 novembre 1980, quando il livello del fiume raggiunse metri 8.23. In entrambi i casi
l'acqua del fiume Garigliano entrò nell'area della Centrale,
costruita a pochi metri dalle sponde, fino ai locali dei depositi di
rifiuti radioattivi e negli impianti di scambio ionico dei condensati.
Il novembre del 1980 fu un periodo drammatico anche perchè pochi giorni dopo l'esondazione, il 23 novembre, ci fu pure il
terremoto dell'Irpinia,
evento disastroso anche per la piana del Garigliano e che aumentò
l'allarme sociale sulle conseguenze di un disastro nucleare.
I depositi di condensazione, nella
centrale BWR del Garigliano, erano degli impianti di
filtrazione/demineralizzazione impieganti resine a scambio ionico,
inseriti a bassa ed alta temperatura sulla chimica dell'acqua dei
circuiti del condensato, prima che l'acqua venisse reimmessa nel fiume.
La procedura di trasferimento delle scorie radioattive nei
due depositi, invece, avveniva a cielo aperto, e come acclarato dall'inchiesta condotta dopo l'eccezionale esondazione del 1980,
i locali non avevano ricevuto nessun collaudo e non disponevano di pompe idrauliche, impiantate solo in seguito.
Nella
relazione peritale dell'epoca redatta dai tecnici del CNEN si legge infatti:
“i
serbatoi T/10A e T/10B sono a cielo aperto. Tale situazione, tenuto
conto che i tubi attrverso cui s'invia il concentrato sono eccentrici e
che il condensato viene spinto a vapore, favorisce la formazione di
spruzzi che possono depositarsi sul pavimento e sulle pareti dei locali;
i serbatoi non sono posti in un “vassoio”, destinato a contenere
perdite o lacrimazioni; il locale dei serbatoi che, fino a qualche tempo
fa era scarsamente protetto dalla pioggia, ha mostrato di non possedere
adeguata tenuta, prova ne sia che l'acqua è entrata ed è uscita sia nel
corso della piena di novembre 1980, sia almeno in un'altra occasione"
(si riferisce al dicembre 1976, N.d.r.)”.
Il problema delle scorie
L'assenza, tuttora, di un sito nazionale per il trattamento e la
rigenerazione delle scorie radioattive, ha costituito per anni uno dei
principali dubbi sul loro effettivo smaltimento, soprattutto durante il
periodo di funzionamento della centrale elettronucleare del Garigliano
(1966-1978).
Nel 1997
Greenpeace denunciò l'esistenza in Italia di un
mercato clandestino dello smaltimento incontrollato di rifiuti, radioattivi e non,
e l'esistenza di un network di operatori economici e finanziari, che
con la collaborazione dei clan mafiosi, aveva tentato di smaltire
illecitamente rifiuti nucleari e tossici nei paesi in via di sviluppo,
oppure seppellendoli nei fondali marini.
- Jolly Rosso
La denuncia di Greenpeace, a cui seguì un rapporto della
Legambiente, faceva riferimento ad alcune informazioni, confermate anni dopo da un pentito della 'ndrangheta,
Francesco Fonti, che confermò che
le mafie tra gli anni '80 e '90 erano solite acquistare “carrette del mare” non
solo per traffici di armi, e droga, ma anche per il traffico sostanze
tossiche e rifiuti nucleari, per poi affondarle nel mediterraneo ed al
largo della Somalia con il loro carico.
L'episodio più clamoroso riguardò la nave
Jolly Rosso della compagnia
Ignazio Messina,
una società che vantava già all'epoca ottimi rapporti commerciali con
la Libia, l'Egitto ed il Libano, che venne trovata spiaggiata in
Calabria, senza carico e senza equipaggio, il
14 dicembre del 1990. La nave era partita da
La Spezia ufficialmente con un carico di tabacco e prodotti alimentari che però non fu rinvenuto dopo lo spiaggiamento.
- Cap. Natale De Grazia
Lo smantellamento della nave fu eseguito dalla compagnia stessa, in fretta e furia, su ordine del PM
Fiordalisi della procura di Paola. Il mistero su cosa trasportasse la nave, sui cui traffici stava effettuando un reportage
Ilaria Alpi prima di essere uccisa in somalia con
Marco Hrovatin, si è poi infittito quando,
nel
2009, a trecento metri dalla spiaggia di Amantea dove si arenò la nave,
è stata ritrovata una cava contenente materiali radioattivi.
Nel 2009 venne invece ritrovato, al largo di Cetraro, sempre in Calabria, il relitto di una nave che si ritieneva fosse la
Cunski, e che la '
ndrangheta l'avesse
affondato con un carico di fusti radioattivi. Sul ritrovamento,
smentito frettolosamente dalle autorità, si aprì una inchiesta della
magistratura, in seguito ad una denuncia della
Legambiente. Durante le indagini morì misteriosamente il capitano di vascello
Natale de Grazia, sulla cui vicenda è stato istituito un
comitato che si batte per l'accertamento della verità.
Dell'esistenza dei traffici di rifiuti nucleari, gestiti dalle mafie e
provenienti dalle centrali italiane, non si è mai trovata conferma
effettiva.
Per quanto riguarda le scorie attualmente esistenti in Italia, nell’ambito della strategia definita nei
Piani Energetici Nazionali, fino al
1990,
l’ENEL ha avviato al ritrattamento tutto il combustibile di Latina e
parte di quello di Trino e del Garigliano. Nel 1999 è stata costituita
la
SOGIN (Società di Gestione Impianti Nucleari) che ha ereditato
tutte le attività nucleari dell'ENEL, prima gestite dall'ENEA. La SOGIN
ha ricevuto nel
2001 il mandato di esaurire i
contratti di ritrattamento già stipulati (nel 1980) con l’invio al
ritrattamento di ulteriori 53,3 t di combustibile; di stoccare a secco
presso le centrali il combustibile residuo (circa 230 t), in attesa di
smaltirlo nel deposito nazionale, non ancora istituito.
La spedizione delle ulteriori 53,3 t è stata avviata nell’aprile 2003 e completata nel febbraio 2005.
- La Hague
Nel
2007 è stato firmato un contratto del valore di oltre
250 milioni di euro tra
SOGIN (Italia) e la multinazionale francese
AREVA (Ex Cogema) per il trattamento a
Cap de La Hague, in Francia, del combustibile nucleare italiano. L'accordo per il trasferimento
220t di combustibili a base di uranio e 15t a base di MOX (ossidi
misti di uranio e di plutonio) provenienti dalle ex centrali di Caorso,
Trino e Garigliano (13t solo da quest'ultima), ha sbloccato una
situazione che durava dal 1987 quando, dopo il referendum sul nucleare,
le centrali furono chiuse e le scorie nucleari poste in trincea o
interrate nelle centrali stesse. La Areva tratterà le scorie fino al
2025, quando i residui dovranno poi rientrare in Italia.
- Sellafield
Dal
1966, le scorie delle centrali italiane, non
esistendo in Italia impianti e siti dove trattarle, rigenerarle o
rendere meno dannosi i combustibili usati, venivano trasferiti alla
centrale di
Sellafield, in Gran Bretagna, specializzata
per i combustibili dei reattori Magnox, dove venivano ritrattate,
separando uranio e plutonio, e riconsegnate alle centrali italiane.
Inizialmente realizzata per rigenerare il combustibile a base di
grafite delle centrali Magnox, per un totale di 800t annue, a partire
dal
1976 la centrale di Cap de La Hague,
in Francia, è stata messa in grado di trattare le barre di combustibile
provenienti dalle centrali con reattori ad acqua leggera (LWR e MOX).
La megastruttura impiega attualmente 6000 addetti su un'area di 300
ettari e gestisce la metà delle scorie nucleari mondiali prodotte.
Le operazioni di trasporto in passato, fino alla fine degli anni '80,
avvenivano senza informare le popolazioni dei rischi connessi al trasporto di materiale radioattivo, oltre che con procedure sbrigative che in alcuni casi hanno provocato degli incidenti, come ad esempio quello avvenuto nel
1982,
quando un contenitore su rimorchio ferroviario spedito dalla Germania, a
partire dallo scalo San Lorenzo di Roma, dove era stato instradato su
su gomma, perse per strada la bellezza di
9.000 litri di acqua con cobalto 58, cobalto 60, e manganese 54.
Il trasporto delle scorie nucleari verso Sellafield avveniva via mare, con le navi gemelle
Stream Fisher e
Pool Fisher della compagnia
Fisher James & sons,
principalmente lungo la rotta tra Civitavecchia, Anzio e Barrow. Le
navi venivano utilizzate anche per trasporti non radioattivi, esponendo
le merci al rischio di contaminazione radioattiva. La Pool Fisher fece
poi naufragio nel 1979, nei pressi dell'Isola di Wight, fortunatamente
con un carico di potassio. Nell'incidente morirono 13 membri
dell'equipaggio.
Conseguenze dell'inquinamento nucleare
Sull'interamento dei rifiuti nucleari, in seguito alla chiusura
della centrale, circa 3.000 mc di materiali a bassa e media intensità
seppellitti a 50cm di profondità nel terreno dell'area della Centrale
del Garigliano, la
procura di Santa Maria Capua Vetere ha aperto, lo scorso dicembre, un fascicolo per distrastro ambientale.
Nelle indagini, coperte ancora da segreto istruttorio, la Guardia di
Finanza avrebbe sequestrato alla SOGIN i registri di scarichi liquidi ed
aeriformi che sarebbero stati compilati a matita. Il nucleo
sommozzatori ha invece prelevato dei campioni per le analisi nelle acque
le fiume e della foce del Garigliano.
Ad oggi, nessuno studio epidemiologico è stato fatto dal Ministero della Sanità per sapere cosa è successo realmente. Mentre gli ambientalisti sono in attesa dell'avvio del registro provinciale dei tumori.
Tra i pochi dati certi, va registrato
il censimento dei vitelli nati tra il 1° gennaio 1979 ed 31 ottobre 1980, tra i quali emerge il dato che su
389 capi nati nell'area A, ovvero ad 1km di raggio dalla centrale,
si verificarono 12 casi di maformazione (incidenza del 3%),
contro i 6 casi su 745 (0,9%) della zona B (da 1 a 6km di raggio dalla
centrale; ed 1 solo caso di defformazione su 1577, nella zona C (da 6 a
40 km di raggio). Nella zona A quindi il fenomeno registrato è 33 volte
più elevato che nella zona C, 9 volte più elevato nella zona B rispetto
alla C.
Una relazione del 1983, sulle
quattro campagne radiologiche condotte dall'ENEA tra il 1980 ed il 1982, su un'area di 1700 kmq, a firma dei ricercatori A. Brondi, O. Ferretti e C. Papucci dal titolo
“Influenza dei fattori geomorfologici sulla distribuzione dei radionuclidi. Un esempio: dal M. Circeo al F. Volturno”, documenta l’
azione di contaminazione radioattiva, legata ai radionuclidi di cesio-137 e cobalto-60, dell’area del golfo di Gaeta a
seguito dei rilasci degli effluenti liquidi della centrale del
Garigliano conclude dicendo che le zone di massimo accumulo dei
radionuclidi sono state individuate nell’area terminale del fiume
Garigliano; per l’ambiente marino, nella fascia compresa tra le
batimetrica 40-70 m e nell’interno del golfo di Gaeta.
La stessa relazione riportava che "le attività del Cesio137, nei primi due centimetri dei fondali antistanti il golfo di Gaeta, nelle aree di maggiore concentrazione, corrispondono a 7millicurie/kmq (259MBq/kmq)”, mentre gli "inventari di Plutonio 239,240 nei sedimenti erano particolarmente elevati (da
2 a 4 volte le deposizioni da fallout, pari a 81 Bq/mq a queste
latitudini), sono stati rilevati nell’area fra le batimetriche di 30 e
50m”. Anche questi dati però vanno valutati tenendo conto che l'area
marina interessata dalla ricerca era, ed è tuttora, attraversata dalle
navi, dalle portaerei e dai sottomarini a propulsione nucleare della VI Fotta della U.S Navy, di stanza a Gaeta.
Tra il 1971 ed il 1980, dai registri dell'
USL LT6, risulta che nell'ospedale “
Dono Svizzero” di
Formia (LT),
ospedale che serviva una vasta area compresa tra i comuni di Formia,
Minturno, Sessa Aurunca, Roccamonfina, Castelforte e SS.Cosma e Damiano,
sono nati
15.771 bambini, tra i quali sono stati registrati
90 casi di malformazione genetiche.
L'incidenza di tumori e leucemie nella piana del Garigliano,
secondo i dati raccolti e pubblicati da Marcantonio Tibaldi (un
ambientalista che ha dedicato 40 anni della sua vita per denunciare i
danni causati dalla centrale),
tra il 1972 ed il 1978, sarebbe stata del 44%.
Attualmente la
SOGIN sta attuando un piano di “
decommissioning”
con l’obiettivo di completare lo smantellamento degli impianti e la
messa in sicurezza dei rifiuti entro il 2025, restituendo a prato
l'intera aera della centrale, così come richiesto dalle associazioni
ambientaliste e come desideravano anche alcuni degli attivisti e
militanti che non hanno fatto in tempo a vedere l'inizio dello
smantellamento dell'ecomostro contro cui si sono battuti.
Il piano di
decommisioning della centrale del Garigliano è
uno dei primi smantellamenti
di centrale nucleare avviati al mondo e viene monitorato da una
commissione di controllo di cui fanno parte rappresentanti dei comuni
della zona, delle forze politiche e delle associazioni ambientaliste.
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