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Thursday, April 26, 2018

Uova marce su Urano

Basandosi su sensibili osservazioni spettroscopiche effettuate con il telescopio Gemini Nord, gli astronomi hanno trovato le impronte digitali dell’idrogeno solforato, il velenoso gas che dà alle uova marce il loro odore caratteristico. Questo risultato, pubblicato su Nature Astronomy, risolve l’annoso mistero di uno dei nostri vicini giganti gassosi


Questa immagine di una fase di Urano, scattata dalla sonda spaziale Voyager 2 il 24 gennaio 1986, rivela la sua gelida atmosfera blu. Nonostante il vicino sorvolo della Voyager 2, la composizione dell’atmosfera del pianeta è rimasta fino ad oggi un mistero. Crediti: Nasa / Jpl.

Dopo decenni di osservazioni e una visita da parte della sonda Voyager 2, la composizione chimica delle nubi di Urano, rimasta fino ad ora un mistero, sembrerebbe essere stata finalmente svelata. In particolare, è stato scoperto uno dei componenti principali delle nuvole che circondano il pianeta: l’acido solfidrico (chiamato anche idrogeno solforato o, in accordo con la nomenclatura chimica Iupac, solfuro di idrogeno). Patrick Irwin dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, insieme ai suoi collaboratori provenienti da tutto il mondo, è riuscito a esaminare la luce infrarossa di Urano, catturata dal telescopio Gemini Nord (otto metri di diametro) installato sul monte Mauna Kea, alle Hawaii. Così facendo, sulla sommità delle nubi di Urano ha trovato l’idrogeno solforato, contraddistinto dal caratteristico odore di uova marce che la maggior parte delle persone evita. Le prove della presenza di questo gas, a lungo cercate, sono state pubblicate nella rivista Nature Astronomy.
I dati Gemini, ottenuti con lo spettrometro di campo integrale nel vicino infrarosso (Near-Infrared Integral Field Spectrometer, Nifs), sono il risultato di un campionamento della luce solare riflessa da una regione posta poco sopra lo strato di nubi visibili dell’atmosfera di Urano. «Siamo stati in grado di rilevare le righe spettrali che stavamo cercando in modo inequivocabile grazie alla sensibilità di Nifs su Gemini, combinata con le condizioni osservative ottimali caratteristiche di Mauna Kea», dice Irwin. «Anche se sapevamo che queste righe sarebbero state al limite del rilevamento, abbiamo deciso di cercarle nei dati Gemini che avevamo acquisito».
«Questo lavoro è il risultato di un utilizzo straordinariamente innovativo di uno strumento originariamente progettato per studiare gli ambienti esplosivi attorno a enormi buchi neri al centro di galassie lontane», ha affermato Chris Davis della National Science Foundation, uno dei principali finanziatori del telescopio Gemini. «Utilizzare Nifs per risolvere un mistero di lunga data nel nostro Sistema Solare rappresenta una potente estensione del suo utilizzo», aggiunge Davis.
La composizione delle nubi di Urano, ossia se idrogeno solforato o ammoniaca dominassero i banchi di nuvole, è stata a lungo dibattuta dagli astronomi di tutto il mondo ma sono sempre mancate le prove definitive per discriminare le due ipotesi. «Ora, grazie ai dati sulla riga di assorbimento dell’idrogeno solforato e ai meravigliosi spettri di Gemini, abbiamo trovato l’impronta digitale che ci ha permesso di smascherare il colpevole», afferma Irwin.
L’individuazione dell’idrogeno solforato nel banco di nuvole di Urano (e presumibilmente di Nettuno) contrasta nettamente con i pianeti giganti gassosi interni, Giove e Saturno, dove non si vede l’idrogeno solforato sopra le nuvole, ma si osserva invece l’ammoniaca. La maggior parte delle nuvole superiori di Giove e Saturno sono costituite da ghiaccio di ammoniaca, ma dal recente studio pubblicato su Nature sembra che per Urano non sia così. Queste differenze nella composizione atmosferica dei pianeti del Sistema solare potrebbero gettano luce sulle domande relative alla formazione e evoluzione dei pianeti.
A questo proposito, Leigh Fletcher, membro del gruppo di ricerca dell’Università di Leicester nel Regno Unito, sostiene che le differenze tra i banchi di nuvole dei giganti gassosi (Giove e Saturno) e i giganti di ghiaccio (Urano e Nettuno) probabilmente risalgono alla nascita di questi mondi. «Durante la formazione del Sistema solare», spiega il ricercatore, «l’equilibrio tra azoto e zolfo (e quindi tra ammoniaca e idrogeno solforato, appena rilevato su Urano) è stato determinato dalla temperatura e dalla posizione del pianeta al momento della sua formazione».
Un altro fattore da considerare è la forte evidenza che i pianeti giganti del Sistema Solare probabilmente migrarono rispetto alla posizione in cui inizialmente si formarono. Pertanto, la conferma di queste informazioni sulla composizione chimica è inestimabile per comprendere i modelli di nascita, evoluzione e perfezionamento della migrazione planetaria di Urano. Secondo Fletcher, quando un banco di nubi si forma per condensazione, blocca il gas che forma la nube in un profondo serbatoio interno, nascosto sotto lo strato che di solito possiamo vedere con i nostri telescopi. «Solo una piccola quantità rimane sopra le nuvole come vapore saturo», dice Fletcher. «Ed è per questo che è così difficile trovare la firma dell’ammoniaca e dell’idrogeno solforato sopra i banchi di nuvole di Urano. Le notevoli prestazioni strumentali di Gemini ci hanno finalmente concesso di avere questa fortuna».
Mentre i risultati stabiliscono un limite inferiore alla quantità di idrogeno solforato intorno a Urano, è interessante ipotizzare quali sarebbero gli effetti sugli esseri umani di queste concentrazioni di gas. «Se uno sfortunato essere umano si ritrovasse a scendere attraverso le nuvole di Urano, incontrerebbe condizioni molto sgradevoli, oltre al cattivo odore». Infatti il cattivo odore non sarebbe l’aspetto peggiore. «L’esposizione alla sua atmosfera a -200 gradi Celsius fatta per lo più di idrogeno, elio e metano», garantisce Irwin, «costerebbe caro al visitatore, molto più dell’odore».
Le nuove scoperte indicano che sebbene l’atmosfera non sia congeniale a noi umani, questo mondo lontano potrebbe essere terreno fertile per svelare la storia antica del nostro Sistema solare e forse comprendere le condizioni fisiche presenti su altri grandi mondi ghiacciati che orbitano attorno a stelle diverse dal nostro Sole.

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