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Thursday, October 3, 2013

Tutti gli altri triangoli (oltre a quello delle Bermuda) e la scoperta di vortici spazio temporali nell'oceano atlantico

Da tempi immemorabili, l’oceano è parso all’uomo un ambiente ostile e pericoloso. Così come sulla terra ferma, ci sono alcune aree oceaniche che hanno fatto registrare numerose anomalie e misteri 

 triangolo delle bermuda anomalie oceano
La zona più famosa, per gli enigmatici fenomeni che la caratterizzano, è sicuramente quella del Triangolo delle Bermuda, un’area dell’Oceano Atlantico i cui vertici sono rappresentati dall’Arcipelago delle Bermuda, dall’Isola di Porto Rico e dalla punta della penisola della Florida.
Numerosi fenomeni enigmatici sono stati descritti dai marinai e dagli aviatori di ogni tempo. Persino Cristoforo Colombo annota nei suoi diari di misteriose sfere di luce viste fluttuare sulle acque di questo misterioso fazzoletto di Oceano Atlantico [Anche Cristoforo Colombo conosceva i fenomeni del Triangolo delle Bermuda].
I ricercatori hanno avanzato le ipotesi più varie per giustificare fenomeni che sfidano le leggi della fisica e la misteriose sparizioni di intere navi e aeromobili: dalla presenza di un tunnel spazio temporale, alle distorsioni magnetiche di un qualche fenomeno non ancora conosciuto.
C’è addirittura chi pensa che sul fondo del Triangolo delle Bermuda esista un gigantesca piramide di cristallo, un antichissimo generatore di energia che causerebbe le anomalie e che sarebbe una vestigia della mitica civiltà di Atlantide, sprofondata 13 mila anni fa sul fondo dell’Oceano Atlantico. [Scoperta una gigantesca piramide sul fondo del Triangolo delle Bermuda].
Ma quello delle Bermuda non è l’unico luogo del pianeta dove si registrano questi misteriosi ed enigmatici fenomeni.

Il Mare del diavolo


Anche conosciuto come “Triangolo del Drago”, è una zona dell’Oceano Pacifico che si trova a al largo della costa sud-est del Giappone. Anche in questo caso è possibile individuare un triangolo ideale i cui vertici sono rappresentati dalle isole di Honshu, Luzon e Guam.
Anche questa zona è diventata tristemente famosa per le anomalie che sono state tramandate dai marinai da tempo immemore. Le leggende raccontano che in questa zona dell’Oceano Pacifico sia abitato da diavoli e mostri marini che non aspettano altro di attaccare gli incauti navigatori.
Ma oltre alle leggende, ci sono fatti registrati dalla storia che fanno riflettere. Le numerose sparizioni di navi e aeroplani avvenute nella zona ha costretto il governo nipponico a dichiarare l’area come “zona pericolosa”.
Secondo quanto riporta lo scrittore Charles Berlitz nei suoi resoconti, tra il 1952 e il 1954, il Giappone ha perso in questa zona ben cinque navi militari, tutte sparite nel nulla senza lasciare traccia.
Nel 1955, il governo giapponese commissionò una spedizione in quel tratto di mare per fare luce sulle misteriose sparizioni e valutare la reale pericolosità delle coordinate geografiche. Ma nessuno si sarebbe mai aspettato che anche la nave oceanografica Kaiyo Maru 5 sparisse nel nulla con tutto l’equipaggio a bordo, composto da marinai e scienziati.
A seguito di tali eventi enigmatici, numerosi ricercatori indipendenti iniziarono uno studio approfondito sul Triangolo del Drago. Tra questi, spicca il lavoro di Ivan Sanderson, il quale inserisce questa area del pacifico nelle “Twelve Devil’s Graveyards Around the World” (I dodici cimiteri del diavolo sparsi per il mondo), articolo che Sanderson presento alla comunità scientifica nel 1972.
Secondo l’ipotesi del ricercatori, nel mondo esisterebbero 12 zone simili al Triangolo delle Bermuda, posizionate a intervalli di 72° intorno al mondo, e più esattamente situate al 36° latitudine nord e sud; cinque nell’emisfero settentrionale, cinque nell’emisfero meridionale, oltre ai poli nord e sud.
Il motivo per il quale il Triangolo delle Bermuda è più conosciuto, dipende dal fatto che si tratta di un’area con un traffico aereo e marittimo più intenso: mentre anche le altre zone, sebbene situate in luoghi meno battuti, danno prove evidenti di anomalie. Egli definì queste aree come “Vortici del male”.
Sanderson ipotizzò che le correnti caldi e fredde che attraversano questi vortici potessero creare dei disturbi elettromagnetici, i quali avrebbero influenzato gli strumenti e le navi, causando così la sparizione delle stesse navi.

Il Mar dei Sargassi


La porzione di Oceano Atlantico compresa fra gli arcipelaghi delle Grandi Antille (a ovest) e le Azzorre (a est). È noto per le alghe che vi proliferano (appartenenti al genere Sargassum). Tali alghe, di colore bruno, affiorano in superficie in grandi quantità, conferendo ad alcune zone del Mar dei Sargassi l’aspetto di una prateria.
Una delle caratteristiche più peculiare del Mar dei Sargassi è il fatto che è sempre calmo e, nonostante si trovi ad una latitudine abbastanza alta, l’acqua risulta sempre insolitamente calda.
Il Mar dei Sargassi fu scoperto il 16 settembre 1492 da Cristoforo Colombo nel primo viaggio verso le Americhe, quando ormai si trovava a 1600 chilometri dalle Canarie. Vedendo le caravelle navigare “in mezzo a chiazze marine verdissime”, pensò di trovarsi ormai in vicinanza della terra e a lungo scandagliò il fondo senza trovarlo, pur usando una corda lunga 200 braccia.
Pochi giorni dopo “le erbe erano talmente fitte che il mare pareva coagulato”, ma a Ovest del 72° meridiano le erbe cessarono (curiosamente, lo stesso dato fornito da Sanderson).
Anche Jules Verne ha scritto di questo mare nel suo libro “I grandi navigatori del Settecento“, descrivendolo più grande del continente australiano e come un vero e proprio “lago in mare aperto”. Secondo Verne, la mitica Atlantide si troverebbe proprio sul fondale del Mar dei Sargassi.
L’area in questione ha una misteriosa reputazione, ossia quella di “rapire” gli equipaggi dalle loro imbarcazioni, lasciando i vascelli vuoti a continuare la loro navigazione.
Uno degli episodi più noti è quello che riguarda la nave mercantile francese Rosalie, un bastimento di 222 tonnellate costruito nel 1838, partito da Amburgo e diretto all’Havana, Cuba.
La nave fu ritrovata il 6 novembre 1840 alla deriva al largo di Cuba, senza equipaggio e con le vele ancora spiegate. L’unico superstite fu un canarino nella sua gabbia. Lo scafo era perfettamente intatto e il suo carico completamente integrò, cosa che fece escludere un assalto da parte dei pirati. Anche le scialuppe di salvataggio erano al loro posto.
Non si capiva perciò come la gente avesse potuto abbandonare lo scafo. Né il motivo per cui si sarebbe gettata in mare, come per un raptus collettivo. Dell’equipaggio, scomparso misteriosamente nel nulla, non si seppe mai più niente.
Un altro episodio famoso riguarda la Mary Celeste, un brigantino canadese di 31 metri, varato nel 1861 in Nuova Scozia. Il 7 novembre 1872, sotto il comando del capitano Benjamin Briggs, la nave imbarcò un carico di alcool industriale per conto della Meissner Ackermann & Coin e salpò da Staten Island, New York, alla volta di Genova.
Oltre al capitano e all’equipaggio di altri sette marinai, la nave aveva altri due passeggeri: la moglie del capitano, Sarah E. Briggs, e la sua figlioletta di appena due anni, Sophia Matilda.
Il 4 dicembre 1872 il brigantino fu avvistato da un’altra nave, la Dei Gratia. La Mary Celeste si trovava tra le coste portoghesi e le isole Azzorre, ed era alla deriva a vele spiegate verso lo stretto di Gibilterra. Non vi erano segni della presenza dell’equipaggio a bordo. Un gruppo di marinai della Dei Gratia fu inviato a bordo.
La Mary Celeste era deserta: l’equipaggio era scomparso. La nave era in discrete condizioni, anche se era completamente grondante d’acqua. Solo una delle pompe era in funzione, e nella stiva vi era fino ad un metro d’acqua. Alcune delle sue vele erano strappate.
La bussola era rotta, il sestante ed il cronometro marino mancavano e la sua unica scialuppa era mancante e sembrava essere stata intenzionalmente messa in mare piuttosto che strappata via da una tempesta, il che lasciava pensare che la nave fosse stata deliberatamente abbandonata.
Il carico di 1701 barili di alcol era intatto, anche se, una volta a Genova, si scoprì che nove barili erano vuoti. A bordo vi erano ancora scorte di acqua e di cibo per sei mesi. La maggior parte delle carte di bordo mancavano.
Le ultime annotazioni rimaste riferivano che la nave era giunta in vista di Santa Maria delle Azzorre il 25 novembre. Il brigantino fu condotto in porto a Gibilterra dagli uomini della Dei Gratia e successivamente sequestrato dai funzionari inglesi.
Nessuno degli uomini scomparsi dalla Mary Celeste fu mai ritrovato, né si seppe mai cosa accadde loro. Nel 1873 furono segnalate due scialuppe di salvataggio nell’entroterra spagnolo, una avente una bandiera americana a bordo, l’altra contenente cinque corpi. Tuttavia questi corpi non sono mai stati identificati.

La Terra del Fuoco


Un altra trappola per imbarcazioni e marinai è rappresentata dalla Terra del Fuoco, un arcipelago al largo della punta meridionale del Sud America. Durante il suo primo viaggio intorno al mondo iniziato nel 1520, il famoso navigatore Ferdinando Magellano avvisto numerose luci in movimento nei pressi dell’arcipelago.
Alcuni pensarono che si trattasse di torce accese posizionate su zattere alla deriva. L’ipotesi ispirò il navigatore che chiamo l’arcipelago “Terra del Fuoco”. Le cronache raccontano di un terribile avvenimento accaduto molti secoli dopo, e che ancora oggi rimane avvolto nel mistero.
Nel mese di ottobre del 1913, i marinai a bordo di una nave britannica avvistarono un vascello sconosciuto alla deriva. Quando abbordarono la nave, i marinai scoprirono che il ponte della nave era completamente marcio e, con loro sommo orrore, scoprirono 20 scheletri che presumibilmente rappresentavano quello che rimaneva dell’equipaggio originario.
Gli scheletri erano stati ritrovati seduti nella maniera usuale, nella postura di chi è impegnato in una lunga, quanto noiosa, traversata oceanica. Tutte le merci e le attrezzature della nave erano rimaste intatte e nulla fuori posto. I documenti ritrovati a bordo rivelarono che la nave era partita da un porto della Nuova Zelanda 23 anni prima, in direzione di Londra, con un carico di lane e carne congelata.
Cosa sia successo alla nave e al suo equipaggio rimane ancora un mistero. Tuttavia, incontri con navi “fantasma” o con cimiteri galleggianti non sono così rare in mare aperto.

Il Triangolo del Michigan


Non solo il mare custodisce segreti e luoghi misteriosi. Il lago Michigan negli Stati Uniti, per esempio, è stato teatro di numerosi avvistamenti di oggetti misteriosi e di aerei fantasma.
Secondo quanto scrive Dwight Bower, uno storico marino, nel suo libro “Strange Adventures of the Great Lakes”, la leggenda del Triangolo del Michigan nacque nel 1937, quando il capitano George Donner scomparve misteriosamente dalla cabina del bastimento durante una consegna di routine di carbone.
Pare che il capitano avesse precisato di voler essere svegliato nel momento in cui la nave avesse raggiunto il porto. Ma quando i suoi uomini si recarono nella sua cabina non riuscirono a trovarlo, nonostante la sua porta fosse chiusa dall’interno.
Tredici anni dopo, il 23 giugno 1950, il volo 2051 della Northwes Airlines, un DC-4 in servizio tra New York e Seattle con 55 passeggeri a bordo, scomparve nel nulla nel cuore della notte, nel momento in cui si trovava a passare sul Triangolo del Michigan a 1100 metri di altezza.
In un primo momento si penso che l’aereo fosse precipitato nel lago, ma le ricerche dei sommozzatori diedero esito negativo. Ancora oggi il relitto non è stato ritrovato, nonostante la Shipwreck Research Associates organizzi annualmente una ricerca approfondita per cercare di spiegare l’incidente.


Fonte




Non ci credete, per voi sono tutte bufale, bè leggete l'articolo qua sotto:


Scienziati scoprono vortici spazio-temporali simili ai buchi neri nell’Oceano Atlantico



Un team internazionale di scienziati ha scoperto dei vortici spazio-temporali che sono simili ai buchi neri, ma che si trovano sulla Terra. Secondo uno studio recente, i vortici si trovano nel Sud dell’Oceano Atlantico e agiscono similmente ai fenomeni cosmici dei buchi neri. I buchi neri sono regioni dello spazio-tempo in cui la gravità è abbastanza forte da impedire qualsiasi fuoriuscita, anche della luce
 
“Il bordo del vortice era rappresentato da una larga cintura di scintillante spruzzo, ma nessuna particella di questa scivolò nella bocca del terrificante dell’imbuto …”
George Haller dell’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia di Zurigo, e Francisco Beron-Vera, dell’Università di Miami in Florida, hanno trovato dei buchi neri nelle acque turbolente dell’Atlantico. I fisici hanno visto che nel bordo dei vortici spazio-temporali, che si formano in zone di turbolenza, vengono solitamente rappresentati da un’ampia cintura di una sostanza luminosa che assomiglia alla sfera di un fotone che circonda il buco nero senza penetrare all’interno.
Haller Beron-Vera ha dimostrato scientificamente questa similitudine per descrivere il comportamento dei vortici nei fluidi turbolenti utilizzando gli stessi principi matematici che descrivono il fenomeno dei buchi neri, nelle regioni dello spazio-tempo in cui la gravità è abbastanza forte da impedire qualsiasi fuga di sostanze, compresa la luce. Secondo il sito Technology Review, Beron-Vera Haller ha effettuato delle indagini sulle correnti nel sud-ovest dell’Oceano Indiano e del Sud Atlantico.
In questa parte di oceano vi è un fenomeno ben noto chiamato ‘fuoriuscita Agulhas‘, che proviene dagli attuali Agulhas dell’Oceano Indiano. “Al termine del suo flusso verso sud, questa corrente gira su se stessa, creando vortici occasionali nell’Atlantico meridionale”, dicono gli scienziati. Gli specialisti nella loro ricerca, hanno utilizzato immagini satellitari per individuare i potenziali buchi neri analogici del Sud Atlantico, immagini documentate tra novembre 2006 e febbraio 2007. Il risultato ha rivelato che in questo periodo di tre mesi è stato trovato un totale di otto “candidati” per essere chiamati “buchi neri o fori di terra.

cinture fotoniche delle aperture dei vortici (buchi neri) nell’Atlantico
Abbiamo trovato le cinture fotoniche delle aperture di questi vortici, eccezionalmente coerenti, nell’Atlantico meridionale, ovvero siamo riusciti a documentare gli analoghi campi di fotoni che si trovano attorno ai buchi neri“, ha concluso Beron-Vera Haller.

La Grande Macchia Rossa di Giove, la gigantesca tempesta nell’atmosfera del pianeta, può essere il più grande e famoso buco nero del sistema solare.
Questo è un risultato interessante che potrebbe avere implicazioni significative per la nostra comprensione del modo in cui le correnti oceaniche trasportano materiale, e dal momento che tutto ciò che entra in questi buchi neri non può uscire, questo dovrebbe intrappolare qualunque tipo di spazzatura, olio o addirittura l’acqua stessa, spostando il tutto su vaste distanze. ”Oltre l’equivalenza matematica ci sono anche ragioni per l’osservazione e la visualizzazione coerente dei mulinelli nei buchi neri“, commenta Haller e Beron-Vera.
La ricerca solleva anche la possibilità di analoghi buchi neri in altre condizioni naturali, come negli uragani, e anche in altri oggetti spaziali. Pertanto, gli scienziati suggeriscono che ad esempio, la Grande Macchia Rossa di Giove, la gigantesca tempesta nell’atmosfera del pianeta, può essere il più grande e famoso buco nero del sistema solare.

Fonte



Black Hole Analogue Discovered in South Atlantic Ocean

Vortices in the South Atlantic are mathematically equivalent to black holes, say physicists, an idea that could lead to new ways of understanding how currents transport oil and garbage across oceans 



Black holes are regions of spacetime in which gravity is strong enough to prevent anything escaping, even light. These strange objects were first discovered in the early 20th century as mathematical solutions to the equations of general relativity. (It was not until much later that astronomers began to gather observational evidence of their existence.)
One of the curious features of general relativity is that the same mathematics crops up in various other situations. In recent years, for example, physicists have worked out how to create invisibility cloaks by steering light around objects using metamaterials.
Black holes steer light in the same way by bending space-time. In fact, the mathematics that describe both systems are formally equivalent. Because of that, it should come as no surprise that engineers have used metamaterials to create analogues of black holes that prevent light escaping.
Today, George Haller at the Swiss Federal Institute of Technology in Zürich and Francisco Beron-Vera at the University of Miami in Florida have found another analogue of a black hole, this time in the world of turbulence.
The vortices that can form in turbulent water are a familiar sight. Edgar Allan Poe described just such a whirlpool in his short story “A Descent into a Maelstrom” which he published in 1841:
“The edge of the whirl was represented by a broad belt of gleaming spray; but no particle of this slipped into the mouth of the terrific funnel… “
In this passage, Poe describes one of the crucial feature of these rotating bodies of fluid: that they can be thought of as coherent islands in an incoherent flow. As such, they are essentially independent of their environment, surrounded by a seemingly impenetrable boundary and with little, if any, of the fluid inside them leaking out.
If you’re thinking that this description has a passing resemblance to a black hole, you’d be right. Haller and Beron-Vera put this similarity on a formal footing by describing the behaviour of vortices in turbulent fluids using the same mathematics that describe black holes.
In this picture, Poe’s “broad belt of gleaming spray” is exactly analogous to a photon sphere around a black hole. This is a surface of light which encircles a black hole without entering it.
Haller and Beron-Vera go on to show that each vortex boundary in a turbulent fluid contains a singularity, just like an astrophysical black hole.
That has important implications for the study of fluids and the identification of vortices, which are otherwise tricky to define and spot. In this case, it is simply question of looking for the singularity and the boundary that surrounds it.
And that’s exactly what Haller and Beron-Vera have done in the pattern of currents in the south west Indian Ocean and the South Atlantic. A well-known phenomenon in this part of the world is called the Agulhas leakage which comes from the Agulhas current in the Indian Ocean.  “At the end of its southward flow, this boundary current turns back on itself, creating a loop that occasionally pinches off and releases eddies (Agulhas rings) into the South Atlantic,” they say.
These guys used satellite images of the South Atlantic Ocean from between November 2006 and February 2007 to look for vortices using a set of simple computational steps that spots black hole analogues.
In this three-month period they found eight candidates, two of which turned out to be black hole analogues containing photon spheres. “We have found exceptionally coherent material belts in the South Atlantic, filled with analogs of photon spheres around black holes,” they conclude.
That’s an interesting result that could have significant implications for our understanding of the way ocean currents transport material. Since anything that gets into these black holes cannot get out, this should trap any garbage, oil or indeed water itself, moving it coherently over vast distances. “Beyond the mathematical equivalence, there are also observational reasons for viewing coherent…eddies as black holes,” say Haller and Beron-Vera.
The work also raises the possibility that black hole analogues will occur in other situations, such as in hurricanes and not just on Earth. By this way of thinking, the Great Red Spot on Jupiter might well be the most famous black hole in the Solar System.

Ref: http://arxiv.org/abs/1308.2352 : Coherent Lagrangian Vortices: The Black Holes Of Turbulence

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