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Sunday, August 21, 2011

Fao, gli eventi estremi minacciano le nostre foreste

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DOSSIER. L’agenzia dell’Onu lancia l’allarme per le conseguenze negative del climate change sugli alberi del pianeta. Tra il 2000 e il 2009 4mila catastrofi ambientali hanno abbattuto decine di milioni di tronchi.

Sono tra le principali vittime dei fenomeni meteorologici estremi e delle catastrofi naturali. Nel silenzio totale dei media e della comunità internazionale, ogni anno ne muoiono a decine, travolte da slavine, annegate sotto piogge torrenziali, colpite da tifoni e uragani, tsunami e terremoti. Anche il crescente inquinamento le minaccia da vicino, minandone la già precaria salute e compromettendone, spesso in modo irreparabile, lo sviluppo. Un problema aggravato dall’inadeguatezza degli sforzi fin qui intrapresi dai governi e dalle istituzioni per porre un freno a questa situazione. Le foreste del nostro pianeta stanno male e le possibilità di salvarle si assottigliano ogni giorno che passa. A lanciare il nuovo allarme sullo stato di salute degli alberi (nell’anno internazionale che l’Onu ha dedicato alla loro salvaguardia) è la Fao, che nel rapporto “Abiotic disturbances and their influence on forest health” analizza in dettaglio gli effetti dei cambiamenti climatici e degli eventi naturali disastrosi sui boschi, le macchie, le giungle, le selve e le boscaglie che ricoprono la superficie del globo.

Tra il 2000 e il 2009 sono stati circa 4mila gli eventi naturali estremi che hanno colpito il pianeta. Sono quelli che il dossier definisce «disturbi abiotici», ossia avvenimenti che influenzano negativamente i componenti privi di vita di un determinato ecosistema, come l’acqua, il suolo, le rocce e l’aria. Cicloni, inondazioni, frane, maremoti, terremoti, eruzioni vulcaniche e immensi incendi boschivi hanno distrutto decine di milioni di alberi e altrettanti ettari di foreste, causando danni per centinaia di miliardi di dollari.

Gli esempi riportati nel documento vanno dallo tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano, che ha devastato 49mila ettari di vegetazione, agli incendi divampati la scorsa estate in Russia, che hanno divorato 2,3 milioni di ettari di conifere, passando per il ciclone tropicale Sydr, abbattutosi sul Bangladesh nel 2007 lasciando a terra 4 milioni di alberi. Disastri destinati secondo gli esperti della Fao a moltiplicarsi nel prossimo futuro a causa dell’intensificarsi del climate change, che renderà appunto sempre più frequenti le cosiddette catastrofi naturali. «I disturbi abiotici aumenteranno, crescendo di intensità, quantità e frequenza», ha dichiarato con gravità Eduardo Rojas-Briales, membro del dipartimento delle foreste della Fao, durante la presentazione del rapporto. E oltre che con i problemi “naturali”, ha sottolineato il funzionario sarà necessario fare i conti anche con quelli direttamente collegati all’attività dell’uomo, come le perdite radioattive, gli sversamenti di petrolio e le fughe di sostanze inquinanti nell’ambiente.

Per arginare il problema, la via suggerita dall’agenzia delle Nazioni unite è quella di elaborare politiche di gestione delle foreste coordinate a livello internazionale, capaci di coinvolgere tutti gli attori interessati: governi, organizzazioni internazionali, associazioni ambientaliste, ong e autorità locali.
Fondamentale però è anche la tutela del patrimonio forestale esistente che, come si legge nelle conclusioni del dossier «può ridurre consistentemente i danni prodotti dai fenomeni meteorologici estremi e dalle catastrofi naturali».
In questo senso la conservazione delle foreste di mangrovie, della qualità dei suoli e dei terreni e della pluralità delle specie vegetali sono fondamentali per garantire gli equilibri dei singoli ecosistemi, rafforzandone le difese contro qualunque “aggressione” esterna, sia di origine naturale che antropica.
Perché come la resistenza di una catena deve essere misurata valutando dalla tenuta del suo anello più debole, allo stesso modo la salute di una foresta è collegata alla forza delle sue radici più sottili. E per la Fao il compito dell’intera comunità internazionale è quello di adoperarsi in uno sforzo comune per garantire che queste radici non cedano al primo soffio di vento, dato che da esse dipende in buona parte la salute dell’intero pianeta.

Fonte: http://www.terranews.it

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