Uno dei quattro satelliti medicei di Giove, Io,
è un mondo ricco di vulcani, tanto da essere uno dei luoghi più
turbolenti del Sistema Solare. La sua superficie vanta centinaia di
vulcani e fontane di lava in eruzione sino a 400 chilometri d’altezza.
Tuttavia, le concentrazioni dell’attività vulcanica non si registrano
dove si aspetterebbero gli scienziati della NASA e dell’ESA,
e questo pone un mistero in merito alla sua attività geo-vulcanologica.
Il motivo di questa intensa attività è dovuta alle enormi forze mareali
a cui il satellite deve far fronte: oltre al gigante del sistema solare
(Giove), Io subisce l’influenza di due grandi satelliti come Europa e Ganimede.
La sua velocità orbitale è maggiore di quella dei suoi compagni di
viaggio, permettendo un maggiore coinvolgimento dell’attrazione, che
distorce l’orbita ad una forma ovale. L’enorme gravità di Giove deforma
letteralmente la superficie di Io quando si trova alla minima distanza,
lasciandola successivamente rilassare quando il pianeta è più lontano,
determinando una diminuzione dell’attrazione gravitazionale. Queste
flessioni provocano un riscaldamento mareale che permette quindi il
vulcanismo. La teoria prevalente, afferma che la maggior parte di questo
riscaldamento avvenga all’interno di un livello poco profondo della
crosta, chiamato astenosfera. Sulla Terra, questa
rappresenta una fascia superficiale del mantello, giacente sotto la
litosfera e sopra la mesosfera, compresa tra i 100 e i 250 km (o forse
fino a 400 km) di profondità, in cui le rocce sono parzialmente fuse. Christopher Hamilton, scienziato NASA alla University of Maryland, insieme al suo team, ha eseguito l’analisi spaziale utilizzando una nuova mappa geologica di Io, prodotta da David Williams della Arizona State University, grazie ai veicoli spaziali dell’Agenzia spaziale degli Stati uniti d’America.
La
mappa fornisce l’inventario più completo dei vulcani di Io fino ad
oggi, consentendo in tal modo di esplorare la superficie del satellite
con un dettaglio senza precedenti. “Abbiamo effettuato la prima
rigorosa analisi statistica della distribuzione dei vulcani nella nuova
mappa globale geologica di Io“, dice Hamilton. “Abbiamo trovato
un sistematico spostamento verso est tra le posizioni dei vulcani
osservati e quelli previsti, che non possono essere conciliati con i
modelli di cui disponiamo”. Tra le ipotesi più plausibili per
spiegare questa anomalìa, c’è la possibilità di una più veloce rotazione
della struttura interna di Io, che permetterebbe al magma di percorrere
distanze significative tra il punto interessato dalle forze mareali
alla superficie di eruzione. Ma c’è anche chi propone un fattore
mancante negli attuali modelli: un oceano di magma sotterraneo. Questa seconda ipotesi sarebbe confermata dal magnetometro a bordo della sonda Galileo
della NASA, la quale ha rivelato un intenso campo magnetico intorno al
satellite, suggerendo la presenza di un oceano globale di magma sotto la
superficie. Tuttavia, secondo i ricercatori, questo vasto oceano di
magma sotto la superficie di Io non sarebbe paragonabile agli oceani
terrestri: la sua struttura sarebbe più simile ad una spugna con almeno
il 20% di silicati all’interno di una matrice di roccia lentamente
deformabile. “L’inaspettato spostamento verso est delle eruzioni vulcaniche è un indizio che qualcosa manca nella nostra comprensione di Io“, dice Hamilton. “In
un certo senso, questo è il nostro risultato più importante. La nostra
comprensione sulla produzione di calore di marea e la sua relazione con
il vulcanismo di superficie è incompleta. L’interpretazione del motivo è
ancora oggetto di studio, ma ci siamo posti tante domande nuove, ed è
un buon segnale”, conclude il ricercatore. Il vulcanismo di Io è
così intenso, che la sua superficie viene ricostituita ogni milione di
anni circa; un lasso temporale molto veloce se paragonato ai 4,5
miliardi di anni del nostro sistema solare. Al fine di conoscere il
passato del satellite, è necessario conoscere la sua struttura interna,
dal momento che la superficie si rinnova troppo velocemente per
registrare la sua intera storia geologica. La ricerca è stata finanziata
dalla NASA e amministrata dalla Oak Ridge Associated Universities (ORAU) e dall’Agenzia spaziale europea.


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