Aumenta il rischio di incendi e fall-out radioattivo
Una zona morta microbica anche a Fukushima?
Quasi 30 anni sono passati dall’immane disastro nucleare di Chernobyl
e gli effetti di quella catastrofe, che 3 anni fa si sono rivisti a
Fukushima Daiichi dopo il grande terremoto/tsunami del Giappone
orientale, si sentono ancora oggi. L’area di esclusione intorno
all’epicentro di Chernobyl non è (non dovrebbe) essere abitata da esseri
umani, ma la natura ha occupato ciò che l’uomo ha dovuto abbandonare e
qualcuno ha gridato al miracolo per il ritorno di lupi ed orsi e per il
proliferare di prede, cosa che dimostrerebbe che la natura è in grado di
sopravvivere e reagire anche alle radiazioni letali.
In realtà animali e piante mostrano segni di contaminazione
radioattiva: gli uccelli che nidificano nei dintorni di Chernobyl hanno
cervelli significativamente più piccoli dei loro co-specifici, nell’area
“rossa” ci sono molti meno insetti e ragni ed i mammiferi come i
cinghiali mostrano segni di avvelenamento radioattivo, una
contaminazione che il fall-out del disastro nucleare sembra aver portato
fino ai cinghiali tedeschi ed italiani.
Ma il nuovo studio “Highly reduced mass loss rates and increased
litter layer in radioactively contaminated areas” pubblicato su
Oecologia da un team di scienziati statunitensi, ucraini e francesi,
rivela una realtà che potrebbe essere ancora più terribile: «Gli effetti
della contaminazione radioattiva di Chernobyl sulla decomposizione del
materiale vegetale rimangono ancora sconosciuti» avverte lo studio ed i
ricercatori hanno cercato di capire se il tasso di decomposizione si
fosse ridotto nei siti più contaminati a causa dell’assenza o della
ridotta densità di invertebrati del suolo. «Se i microrganismi sono i
principali agenti responsabili della decomposizione – spiegano –
l’esclusione dei grandi invertebrati del suolo non dovrebbe pregiudicare
la decomposizione». Quindi nel settembre 2007 hanno posizionato 572
sacchetti contenenti lettiera secca incontaminata, proveniente da 4
specie di alberi (quercia, acero, betulla e pino), nello strato di
lettiera in 20 siti forestali vicino a Chernobyl, nei quali la
radiazione di fondo variava di più di un fattore 2.600. Un quarto di
questi sacchetti erano fatti di materiale che impedivano l’accesso alla
lettiera degli invertebrati del suolo, ma non ai microbi ed alle spore
dei funghi.
Nel giugno 2008 il team di ricerca ha recuperato i sacchetti e li ha
pesati per stimare la perdita di massa della lettiera che è stata
inferiore del 40% nei siti più contaminati rispetto ai siti con un
livello normale della radiazione di fondo per l’Ucraina. Su Oecologia si
legge che «Riduzioni simili di perdita di massa nella lettiera sono
state stimate per i singoli sacchetti di lettiera in siti diversi e le
differenze tra le coppie di sacchetti di lettiera di siti adiacenti
differiscono per livello di contaminazione radioattiva. La perdita di
massa della lettiera era leggermente maggiore in presenza di grandi
invertebrati del suolo che in loro assenza. Lo spessore di sottobosco
aumenta con il livello di radiazioni e quando diminuisce c’è una perdita
proporzionale di massa in tutti i sacchetti di lettiera». La
conclusione alla quale giungono i ricercatori è che «Questi risultati
suggeriscono che la contaminazione radioattiva abbia ridotto il tasso di
perdita di massa della lettiera, con un maggiore accumulo di rifiuti, e
che abbia effetti sulle condizioni di crescita per le piante colpite».
Quindi l’intero ecosistema intorno alla centrale nucleare di
Chernobyl ha un problema fondamentale in quanto gli organismi
decompositori, come i microbi, i funghi ed alcuni insetti non sembrano
più in grado di svolgere correttamente le loro funzioni essenziali per
qualsiasi ambiente: il riciclaggio della materia organica nel
terreno. Secondo gli autori dello studio la compromissione di questo
processo di base potrebbe avere effetti a catena sull’intero ecosistema.
Il principale autore dello studio, Timothy A. Mousseau, del
Department of biological sciences dell’università della South Carolina,
spiega a Smithsonian.com perché il suo team ha deciso di occuparsi di
questo problema: «Dal 1991 conduciamo una ricerca a Chernobyl e nel
corso del tempo abbiamo notato un significativo accumulo di lettiera.
Inoltre, gli alberi nella famigerata “Red Forest”, una zona dove tutti
gli alberi di pino sono diventati di un colore rossastro e poi sono
morti poco dopo l’incidente, non sembravano essere in decomposizione,
anche 15 o 20 anni dopo il disastro. A parte alcune formiche, i tronchi
degli alberi morti erano in gran parte indenni quando siamo stati li e
li abbiamo trovati. E’ stato sorprendente, dato che nelle foreste dove
vivo, un albero caduto diventa soprattutto segatura dopo un decennio di
giace a terra».
Il team di Mousseau si è quindi chiesto se quegli alberi
pietrificati e l’ apparente aumento delle foglie morte sul suolo della
foresta fossero il segno di qualcosa di più grande ed ancora più
preoccupante hanno deciso di eseguire alcuni test sul campo ed hanno
scoperto che lo strato della lettiera è due a tre volte più spesso
nelle zone “rosse” di Chernobyl, dove è più intenso l0’avvelenamento
radioattivo. Ma questo non bastava ancora a dimostrare che la causa di
questa differenza fossero le radiazioni. E’ qui che è venuta l’idea di
posizionare sacchetti di lettiera incontaminata di quercia, acero,
betulla e pino
Nelle aree prive di radiazioni dal 70 al 90% delle foglie contenute
nei sacchetti dopo un anno erano sparite, ma nella zone radioattive nei
sacchetti è rimasto ben il 60% del peso originale delle foglie.
Poi i ricercatori hanno confrontato i sacchetti inaccessibili agli
insetti con quelli accessibili ed hanno constatato che gli insetti
svolgono un ruolo significativo nella degradazione della lettiera, ma
che microbi e funghi hanno in questo un ruolo molto più importante. La
deposizione di così tanti sacchetti in molti luoghi diversi ha permesso
agli scienziati di tener conto anche di altri fattori esterni come
l’umidità, la temperatura e il tipo di terreno forestale, per
assicurarsi che non ci fosse nulla oltre a livelli di radiazioni che
incidesse sulla decomposizione delle foglie.
Mousseau conclude: «L’essenza dei nostri risultati è che la
radiazione ha inibito la decomposizione microbica della lettiera di
foglie sullo strato superiore del terreno. Ciò significa che i nutrienti
non ritornano efficacemente nel suolo, il che potrebbe essere una delle
cause alla base dei lenti livelli di crescita degli alberi intorno a
Chernobyl».
Dato che altri studi, dei quali si è occupato anche greenreport.it,
hanno lanciato l’allarme sull’elevato rischio di incendi nell’area di
Chernobyl è a rischio di incendio, Mousseau ed i suoi colleghi pensano
che la lettiera non decomposta, accumulatasi in quasi 28 anni,
rappresenta una buona fonte di combustibile per un incendio
boschivo. Se questo accadesse ci sarebbero altre preoccupazioni oltre
quelle ambientali: un grande incendio nell’area rossa di Chernobyl
potrebbe provocare un altro fall-out radioattivo, con la cenere
contaminata che ricadrebbe fuori dalla zona di esclusione e Mousseau
conferma: «C’è una crescente preoccupazione che ci possa essere un
incendio catastrofico nei prossimi anni».
Purtroppo non esiste una soluzione per mettere riparo ad una
catastrofe che sta diventando sempre più ecosistemica, bisognerebbe
tenere sotto stretto controllo l’area ed intervenire immediatamente per
domare subito gli eventuali incendi, ma l’ucraina post-rivoluzione
sembra occupata più a risolvere le sue questioni con la Russia ed i
russofoni che ad affrontare il disastro di Chernobyl che ha sempre
sottovalutato e considerato come un’eredità dell’Urss della quale
dovrebbe occuparsi la comunità internazionale.
Qualcosa comunque si sta muovendo ed i ricercatori che hanno redatto
lo studio pubblicato da Oecologia stanno collaborando con team di
scienziati giapponesi per determinare se anche nelle foreste di
Fukushima si stia formando una zona morta microbica simile a quella di
Chernobyl.
Umberto Mazzantini
Fonte
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