Qualche settimana fa, in un silenzio quasi surreale da parte dei
maggiori media, si è celebrato il terzo anniversario dell’incidente
nucleare di Fukushima, avvenuto l’11 Marzo 2011
In realtà, al di là di qualche sporadica notizia, legata per lo più a
eventi contingenti, pare che su tutta la faccenda sia stato steso un
velo. Una brutta faccenda quella dell’incidente alla centrale nucleare
giapponese. In primo luogo perché in pochi credevano che sarebbe potuto
avvenire (e, invece, è avvenuto) e poi perché, nonostante l’impegno e la
partecipazione di molti Paesi del mondo (forse interessati più ad
evitare conseguenze ancora peggiori di quelle già disastrose che si
verificarono nelle prime settimane che animati da puro spirito
umanitario), la situazione in quella parte del Giappone non pare
migliorare, anzi.
Pare che il dilemma, esclusivamente giornalistico e scientifico, se
siano stati maggiori i danni causati dall’incidente nucleare di Cernobyl
o quelli della centrale di Fukushima, sia stato definitivamente
risolto: ha vinto il Giappone.
Senza contare che non si sarebbe ancora riusciti a risolvere in modo
definitivo il problema dello spegnimento del reattore 3 (il più
pericoloso dopo il terremoto). Nella sua vasca sono presenti 514 barre
pari a 90 tonnellate di combustibile nucleare a base di plutonio con una
temperatura eccessivamente elevata. Il rischio è che la temperatura
salga eccessivamente con conseguente prosciugamento dell’acqua della
vasca e con la fusione delle barre di combustibile. Ciò provocherebbe un
nuovo disastro nucleare con il rischio che le correnti aeree potrebbero
trasportare le radiazioni verso le coste occidentali del continente
americano.
Ma esiste anche un altro motivo di preoccupazione: il cosiddetto
“corium”, il combustibile fuso, potrebbe avere raggiunto le acque delle
falde sotterranee, facendosi strada sia nell’interno che verso l’Oceano
Pacifico.
Se a questo si aggiunge il rischio di far finire nell’oceano le acque
utilizzate per il raffreddamento dei reattori lo scenario appare
tutt’altro che tranquillizzante. Anzi proprio quest’ultimo problema pare
sia quello che desta maggiori perplessità. La Tepco, la società
proprietaria della centrale nucleare, ha proposto di scaricare
nell’oceano Pacifico le circa 380.000 tonnellate di acqua radioattiva
finora accumulate nei serbatoi costruiti attorno alla centrale con tre
reattori in meltdown. Il problema è che queste acque sarebbero non
completamente decontaminate. L’acqua versata sui reattori infatti entra
in contatto con il materiale radioattivo e diventa a sua volta
radioattiva. Viene poi sottoposta ad una decontaminazione che però
riguarda soprattutto il cesio, l’elemento radioattivo più abbondante.
Altri elementi radioattivi, come il trizio e lo stronzio, presenti in
quantità minori permangono. Alla fine dello scorso anno l’Iaea, dopo un
sopralluogo sul posto ha affermato che quella proposta dalla Tepco
potrebbe essere una “possibilità”.
In realtà la situazione delle acque intorno al Giappone è già grave dato
che ogni giorno vengono scaricate nel Pacifico 300 tonnellate di acqua
della falda sotterranea contaminate dalla radioattività di Fukushima
(ultimamente si è parlato di una quantità ancora maggiore, 400
tonnellate al giorno). Senza considerare che la radioattività non è
”solubile”, non si diluisce omogeneamente nella vastità dell’oceano. Al
contrario tende ad essere assorbita dalle piante e dai pesci ed entra
nella catena alimentare dove rimane per tempi lunghissimi.
Molto è stato detto circa le procedure inadeguate adottate dall’impianto
di Fukushima, prima, durante e dopo il disastro. E molto è stato
scritto poco dopo l’incidente circa la convenienza o meno di produrre
energia, in Giappone come in altre parti del mondo, ricorrendo al
nucleare.
In realtà se, da una parte, è noto a tutti che le energie rinnovabili
(solare, eolico e geotermico, in primis) sono sottoutilizzate (forse
anche a causa della pressione esercitata da Paesi che hanno basato la
propria economia sull’estrazione di combustibili fossili, gas e
petrolio); dall’altra, troppo poco è stato detto circa le conseguenze
che potrebbe avere sulla vita di tutti il ricorso a fonti energetiche
come il nucleare. Pare, infatti, che la lezione conseguenza
dell’incidente di Cernobyl sia stata dimenticata. E mentre ancora non è
possibile stimare quali saranno i danni causati dall’impianto della
Tepco (secondo alcune stime approssimative solo per bonificare Fukushima
saranno necessari 11miliardi di dollari, che nessuno dice chi dovrà
pagare, e certamente diversi decenni), ancora una volta pare che i
politici non abbiano compreso i rischi che il ricorso al nucleare
comporta. Rischi che riguarderebbero non solo il Giappone, ma molti
Paesi: “Le radiazioni causate dai guasti dei bacini di combustibile
esaurito in caso di un altro sisma potrebbero raggiungere la West Coast
in pochi giorni. Il che fa sì assolutamente che il contenimento sicuro e
la protezione di questo combustibile esaurito sia un problema di
sicurezza per gli Stati Uniti”. L’esperto nucleare Arnie Gundersen e il
medico Helen Caldicott hanno entrambi affermato che, se una delle
piscine di stoccaggio del combustibile di Fukushima dovesse collassare,
la gente dovrebbe evacuare l’Emisfero Settentrionale del pianeta. Non a
caso l’ex consulente dell’ONU, Akio Matsumura, ha definito la rimozione
dei materiali radioattivi dai bacini del combustibile di Fukushima “una
questione di sopravvivenza umana”.
Il 24 marzo 2014 si è celebrato anche un altro anniversario: 25 anni fa,
il 24 marzo appunto, è avvenuto il disastro della Exxon Valdez. Una
petroliera versò più di 11 milioni di galloni di greggio nel mare
intorno l’Alaska, ricoprendo 1.300 miglia di costa. Il ripetersi di
questi incidenti pare stia diventando una costante e solo una forte
pressione mediatica ha impedito che si diffondessero. Solo pochi giorni
fa, un’altro incidente analogo ha caratterizzato le acque statunitensi:
il rimorchiatore Miss Susan, che trasportava 924.000 galloni di
combustibile pesante, ha urtato contro una nave battente bandiera della
Liberia, versando decine di migliaia di galloni di carburante e
costringendo a chiudere la via navigabile. Dai documenti ufficiali pare
che, negli ultimi 12 anni, il rimorchiatore Miss Susan era già stato
coinvolto in ben 20 incidenti segnalati alla Guardia Costiera, a volte
proprio mentre trainava chiatte contenenti petrolio o bitume.
Anche la BP pare essere tornata sul luogo dove quattro anni fa causò
quello che molti hanno indicato come il peggiore disastro ambientale
della storia degli Stati Uniti. Proprio nei giorni scorsi infatti pare
che BP abbia firmato un accordo con l’Environmental Protection Agency
per rimuovere il divieto, impostole nel 2012 (quell’anno l’agenzia
americana per la protezione ambientale concluse che BP non aveva
provveduto a risolvere problemi che avevano portato all’esplosione del
2010 che uccise 11 persone, riversando milioni di litri di petrolio
nell’Oceano e contaminando centinaia di chilometri di spiagge). BP
tornerà nel Golfo del Messico a cercare petrolio e a scavare sul fondo
dell’Oceano grazie a nuovi contratti di sfruttamento.
E anche il Giappone pare non aver compreso le conseguenze derivanti
dalla politica energetica adottata: il governo di Shinzo Abe ha
annunciato che tornerà al nucleare (dimenticando la promessa dell’ex
premier Naoto Kan, che nel 2012 aveva assicurato un «Giappone
nuclear-free» entro il 2040). Non solo, ma per farlo, tornerà ad
avvalersi dei servizi della Tepco (Tokyo Electric Power Company).
La verità è che, come per la Exxon e per la BP, così per la Tepco (che è
la più grande compagnia elettrica del Giappone e la quarta al mondo),
quando un Paese si trova di fronte un colosso economico, che, nonostante
enormi perdite (ha collezionato perdite nette per oltre 27 miliardi
dollari senza contare il risarcimento, la decontaminazione delle aree
colpite e lo smantellamento dei reattori) continua a godere del sostegno
finanziario delle maggiori banche del mondo, allora è molto difficile
dimenticare l’influenza che questi “mostri” possono esercitare sulle
scelte politiche.
E allora è possibile che un Paese si dimentichi di ciò che è avvenuto, e
sta ancora avvenendo, a Fukushima e consegni la vita di milioni di
cittadini nelle mani di queste società non una volta, ma 17. Tanti
saranno, infatti, i reattori nucleari gestiti dalla Tepco in Giappone
(tra cui la Centrale elettrica di Kashiwazaki Kariwa, la centrale
nucleare più grande al mondo).
C.Alessandro Mauceri
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