Spazio: ultima frontiera. Credere che si sia soli nell'universo è come credere che la Terra sia piatta. Come disse l'astrofisico Labeque al palazzo dell'UNESCO, durante il congresso mondiale del SETI di Parigi del Settembre 2008, " SOMETHING IS HERE", "Qualcosa è qui", e I TEMPI SONO MATURI per farsene una ragione. La CIA, l'FBI, la NSA, il Pentagono, e non solo, lo hanno confermato!
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Tuesday, February 3, 2015
Lavoro e controllo: l'azienda che impianta microchip ai dipendenti
Un terreno delicato su cui si sono già espressi in più occasioni i tribunali di primo grado
di QuiFinanza Se è ormai prassi che, prima di assumere nuovi collaboratori, le aziende
cerchino informazioni di quanti si presentano ai colloqui di lavoro sui
rispettivi profili social, è altrettanto vero – e anche lecito – che
tale attività di “spionaggio” continui ad avvenire anche nel corso del
rapporto di lavoro. E in Svezia c'è persino chi mette un chip sottopelle
ai propri dipendenti. Ma fino a che punto e in che misura è consentito?
Vediamolo nel dettaglio secondo le ultime pronunciazioni della
giurisprudenza italiana.
MICROCHIP SOTTOPELLE
Se in Italia la presenza della voce "Controllo a distanza" nel Jobs act
varato dal governo è stato sufficiente a riaprire il dibattito sui
diritti dei lavoratori, c'è chi si è già spinto decisamente più avanti.
Succede all'Epicenter di Stoccolma, un grande complesso
di uffici che lavora nel settore high tech. Nell'azienda in questione i
dipendenti entrano in ufficio grazie a un microchip impiantato
sottopelle, fra pollice e indice. Un trasmettitore per l'identificazione
a radiofrequenza (RFID) grande come un chicco di riso che permette ai
dipendenti stessi ogni tipo di azione di carattere "logistico".
L'impianto permette di aprire le porte d'ingresso, quelle degli uffici,
i varchi di sicurezza, l'ascensore e la fotocopiatrice aziendale. Ma le
possibilità di utilizzo non finiscono qui: il chip può sbloccare ogni
tipo di dispositivo, dal computer allo smartphone fino alla bici. E
presto sarà possibile pagare pure il panino o il caffè al bar. Tuttavia
l'idea non sembra sollevare reazioni univoche: se molti hanno accettato
ed accetteranno l'impianto, molti altri si sono dimostrati fermamente
contrari. "Non ho alcuna intenzione di accettare" - ha detto un giovane
dipendente al giornalista della Bbc Rory Cellar-Jones,
che ha curato l'inchiesta. Questi strumenti, leggibili a distanza con la
tecnica delle radiofrequenze, sono infatti da tempo oggetto di una
serie di angosce (riguardo la privacy e la sorveglianza onnipresente).
OCCHIO A FACEBOOK
Il datore di
lavoro può utilizzare i dati dei dipendenti reperiti sul profilo
Facebook, LinkedIn e sugli altri social network anche grazie agli "amici
in comune", senza quindi inviare la richiesta di contatto diretta. Lo
ha detto sia il Garante della Privacy in una nota del 26 agosto 2010,
sia diverse sentenze dei tribunali di primo grado.
IL PRECEDENTE
Il precedente è ormai
consolidato. Per esempio, il tribunale di Milano, con l'ordinanza del
1° agosto scorso, ha ritenuto legittimo licenziare il dipendente che ha
postato su Facebook fotografie scattate durante l'orario di lavoro,
accompagnate da post offensivi nei confronti dell'azienda.
LA GIURISPRUDENZA
Anche se non è
previsto sul codice disciplinare, anche se il datore non ha preavvisato
il dipendente, l'uso improprio dei social network può dunque legittimare
sanzioni disciplinari e licenziamenti. Tutto ciò che l'utente scrive e
commenta sul proprio profilo Facebook, anche se ristretto alla propria
cerchia di amici, viene ormai considerato utilizzabile in giudizio
contro di lui (così nelle cause di separazione o contro il datore di
lavoro). A maggior ragione se il lavoratore effettua l'accesso durante
l'orario di lavoro. Secondo i giudici, nel momento in cui l'utente
pubblica informazioni e foto sul proprio profilo accetta il rischio che
possano essere portate a conoscenza di terze persone non rientranti
nell'ambito delle sue "amicizie": il che le rende utilizzabili anche in
tribunale.
LE GEOLOCALIZZAZIONE
Via libera del
Garante della Privacy alla geolocalizzazione dei dipendenti da parte
delle aziende, purché adottino "adeguate cautele a protezione della loro
vita privata". Il Garante ha accolto le istanze di verifica preliminare
presentate dalle due società che intendono utilizzare la localizzazione
via smartphone dei dipendenti. Lo scopo dichiarato non è tanto quello
di controllarli, quanto di "ottimizzare l'impiego delle risorse presenti
sul territorio e migliorare la gestione, il coordinamento e la
tempestività degli interventi tecnici.
Nel caso trattato dal Garante le società, che si sono impegnate a
raggiungere un accordo con le organizzazioni sindacali, dovranno
adottare misure che garantiscano che "le informazioni visibili o
utilizzabili dalla app siano solo quelle di geolocalizzazione, impedendo
l'accesso ad altri dati, quali ad esempio, sms, posta elettronica,
traffico telefonico".
Inoltre, sullo schermo dello smartphone dovrà comparire sempre, ben
visibile, un'icona che indichi ai dipendenti che la funzione di
localizzazione è attiva. I dipendenti dovranno altresì essere ben
informati sulle caratteristiche dell'applicazione e sui trattamenti di
dati effettuati dalle società.
Secondo il Garante il Codice privacy è qui rispettato, in quanto il
sistema consente di ottimizzare la gestione degli interventi tecnici,
incrementando la velocità di risposta alle richieste dei clienti,
soprattutto in caso di emergenze o calamità naturali.
I LIMITI: LE CHAT
Diverso il
discorso riguardante le chat private: a differenza dei profili social,
infatti, sono equiparate in tutto e per tutto alla corrispondenza, e
quindi coperte dall'obbligo di segretezza.
I LIMITI: TRATTAMENTO ILLECITO DEI DATI
Commette
invece trattamento illecito dei dati personali il datore di lavoro di
un ente pubblico che raccoglie su internet dati sensibili, attinenti per
esempio alla vita sessuale di un dipendente, per licenziarlo. Infatti i
dati personali possono essere utilizzati solo in giudizio per tutelare
un diritto. Oltre a ciò, ovviamente, si aggiunge la nullità del
licenziamento per motivo discriminatorio.
IL SOCIAL RECRUITING
Passando dai
rischi alle opportunità, il Gruppo Adecco ha pubblicato la quarta
edizione della ricerca Il lavoro ai tempi del #SocialRecruiting,
condotta per la prima volta a livello mondiale. I risultati emersi dalla
ricerca evidenziano che i social media sono, e saranno sempre di più,
il nuovo mercato del lavoro, ma gli effetti di questa rivoluzione non
sono ancora del tutto chiari sia per chi cerca sia per chi offre lavoro.
La ricerca ha coinvolto 1.500 recruiter provenienti da 24 paesi e oltre
17.000 persone in cerca di lavoro. Secondo i risultati, nel 2013 più
della metà delle attività di selezione è avvenuta su Internet (53%) e
nel 2014 si prevede che il trend continui a crescere fino 61%.
In Italia la ricerca è stata condotta su 7.597 candidati e 269
selezionatori. Il 67% dei candidati intervistati ha confermato di usare i
social network per cercare lavoro (erano il 53% nel 2013). Linkedin è
il canale più utilizzato con il 41%, seguito da Facebook con il 23%.
Sempre nell'ultimo anno, il 56% degli intervistati ha diffuso il proprio
CV attraverso i social media e il 7% ha trovato lavoro grazie ai social
(erano rispettivamente il 30% e il 2% nel 2013). Contrariamente alle
aspettative, la selezione sui social media non è più una prerogativa di
candidati altamente qualificati; infatti, la maggior parte dei profili
ricercati sono quelli non manageriali. Tra i settori più social emergono
le vendite (che seleziona sul web il 54,2% dei profili),
l'amministrazione e finanza (45,8%) e il marketing (40,8%).
Commento di Oliviero Mannucci: Quando qualche anno fa pubblicai qui su questo blog un piccolo dossier sui microchip sottocutanei, mi arrivarono diverse e- mail che si dividevano tra chi mi ringraziava per aver fatto da cassa di diffusione all'argomento e alcuni cretini che negavano a spron battuto il problema. Bè questo articolo uscito su "QUI FINANZA" recentemente mette bene in evidenza che il problema è ben reale e concreto e non una semplice favola di qualche complottista a tempo perso. Del resto, e qui mi rivolgo ai negazionisti puri e duri, quando pubblicai il mio dossier ero tornato da poco dagli USA, dove avevo visto diversi spot tv che invitavano la gente a microchippare se stessi o i propri figli per ragioni di sicurezza, recitava lo spot. Ma del resto fino a poco tempo fa esisteva ancora in Inghilterra la famosa associazione della Terra Piatta, un associazione di trenta scellerati, che negavano la sfericità del nostro pianeta a spada tratta. Come diceva quel proverbio....ah, si! La mamma dei cretini è sempre in cinta.
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