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Monday, December 17, 2012

Storegga, lo “Tsunami Artico”: 8.000 anni fa un’immensa frana sottomarina causò un devastante maremoto nel Mare del Nord

 


di Giampiero Petrucci - 



Abbiamo già visto nella nostra sezione ‘Tsunami Italiani’ come le coste italiane non siano al riparo dagli tsunami e come il Mediterraneo orientale (nel 365 a Creta e molto tempo prima a Santorini) possegga un terrificante potenziale tsunamigenico. Tutti noi ormai sappiamo che Oceano Pacifico (Cile 22 maggio 1960) ed Oceano Indiano (26 dicembre 2004) rappresentano sedi privilegiate di tsunami così come le coste dell’arcipelago nipponico (11 marzo 2011). Nemmeno l’Atlantico (Lisbona 1755) è immune da rischi tant’è vero che alcuni scienziati hanno lanciato l’allarme su un possibile evento catastrofico che, partendo dalle isole Canarie (in particolare dallo sprofondamento del vulcano situato su La Palma), potrebbe coinvolgere addirittura New York. Ma pochi probabilmente conoscono le insidie che si nascondono addirittura nel “grande Nord”, in prossimità del Circolo Polare Artico: anche il Mare del Nord ed il Mare di Norvegia hanno infatti avuto il loro megatsunami.
La mappa del Mare del Nord con i sedimenti trasportati dalla frana di Storegga (in rosso) e le altezze dello tsunami sulle varie coste. Il run-up massimo è stimato in 20 metri alle isole Shetland. Per gentile concessione di Stein Bondevik
Bisogna tornare molto indietro nel tempo, addirittura ben 8000-8200 anni fa, intorno al 6000-6200 a.C. In quel tempo il livello del Mare del Nord era circa 10-15 metri più basso dell’attuale, lasciando dunque molte terre emerse. L’Inghilterra meridionale era direttamente collegata alla Danimarca attraverso una specie di “ponte continenale”, caratterizzato da lagune e paludi intervallate da terraferma, che gli scienziati chiamano “Doggerland” ed in cui vivevano probabilmente sparute popolazioni umane del Mesolitico. Questo “abbassamento” dei mari rispetto al livello attuale è scientificamente appurato: nelle isole Shetland, ad esempio, non esistono depositi marini geologicamente recenti in terraferma e spesso le spiagge odierne sabbiose si trovano al di sopra di depositi di torba, a testimonianza di come in quelle lande esistessero soprattutto laghi e paludi ma non il mare.
Abbiamo già visto (qui l’intervista alla ricercatrice) come i “cacciatori di paleotsunami” indirizzino la loro ricerca soprattutto verso piccoli e caotici livelli sabbiosi di origine marina (contenenti resti di molluschi e gasteropodi) intercalati ad altri depositi di origine continentale. Ebbene proprio nelle Shetland, in particolare nei potenti depositi di torba, gli scienziati hanno individuato alcuni livelli di tsunamiti che, sottoposti al metodo del radiocarbonio, sono stati datati intorno al 6000 a.C., confermando dunque l’esistenza di questo megatsunami.


 

Ma è in Norvegia, in particolare nei fondali marini davanti alla città di Kristiansund, che si trovano le prove del più grande fenomeno catastrofico sviluppatosi nel Mare del Nord. Si tratta di un’immensa frana sottomarina, denominata Storegga, parola della vecchia lingua norvegese che significa “grande bordo” (riferito in questo caso alla scarpata continentale): un’enorme colata di detriti e fango, ampia ben 2500 kmq (come l’intera Islanda!), con una nicchia di distacco larga oltre 200 km e che addirittura s’è mossa di circa 800 km, in un’area distante circa 400 km dal Circolo Polare Artico. Un terrificante mostro sottomarino che, partito dal margine della piattaforma continentale norvegese, ha viaggiato verso gli abissi ad una velocità di circa 20-25 m/s, in direzione Nord-Ovest, come una gigantesca valanga inarrestabile.
Un livello di tsunamiti dello spessore di circa 30 cm rinvenuto alle Isole Shetland. Le tsunamiti (“tsunami deposit”) si trovano intercalate a strati di torba (“peat”) che nella parte basale dello strato risulta fortemente rimaneggiata (“rip-up clasts”) per effetto dell’onda anomala. Per gentile concessione di Stein Bondevik
Indagini batimetriche dei fondali, studi di geologia regionale e tettonica, carotaggi (anche sui ghiacci groenlandesi), analisi glaciologiche e sui muschi che le onde di tsunami strapparono dalla terraferma (ritrovati poi sedimentati nel terreno) hanno portato all’individuazione esatta dei materiali trasportati da Storegga ed alle ipotesi sulla sua genesi. Certamente il suo sviluppo è una risposta alle variazioni climatiche connesse all’ultimo avanzamento dei ghiacci ed alla successiva deglaciazione. In questo contesto l’avanzata dei ghiacci contribuisce a trasportare in mare sedimenti che si accumulano in prossimità della scarpata continentale, in condizioni di equilibrio precario, soprattutto la frazione più fine. Quando il ghiacciaio si ritira a seguito del riscaldamento globale e la conseguente deglaciazione, la crosta terrestre subisce una minore pressione e tende quasi a rigonfiarsi. Questo fenomeno, detto anche “rimbalzo glacio-isostatico”, può provocare terremoti che innescano il progressivo e rapido scivolamento dei materiali precedentemente depositati sui fondali marini di piattaforma: materiali ovviamente caotici, costituiti da fiumi di fango e detriti vari, talora anche di grandi dimensioni, fermatisi soltanto dopo centinaia di km.


Lo sviluppo dello tsunami conseguente alla frana di Storegga. Le onde anomale raggiunsero anche le coste dell’Islanda, il Circolo Polare Artico e la Groenlandia. Per gentile concessione di Stein Bondevik

Gli scienziati però stanno ancora discutendo sulla causa ultima scatenante questa immensa frana. Due sono le ipotesi principali: la più ovvia è legata appunto ad un terremoto. Chi ritiene il Mare del Nord completamente asismico, sbaglia: nel 1931 ad un centinaio di km ad Est dalla costa dello Yorkshire inglese si verificò infatti un sisma di magnitudo 6.1, il più forte mai registrato nell’area. L’altra tesi si basa sul ritrovamento di un grande giacimento di metano (denominato Ormen Lange) proprio nella zona di distacco di Storegga. In corrispondenza infatti della deglaciazione, con l’aumento della temperatura, il metano, subendo anche variazioni delle sue caratteristiche fisiche, avrebbe potuto innescare ulteriori disturbi nei sedimenti dove sarebbe aumentata la pressione nei pori fino alla rottura dell’equilibrio e la conseguente messa in moto per gravità verso i fondali marini, senza bisogno dunque di un terremoto come “propulsore”. Tra l’altro elevate ed anomale concentrazioni di metano sono state rinvenute in alcune carote di ghiaccio estratte dal sottosuolo della Groenlandia e corrispondenti come età proprio a circa 8000-8200 anni fa: metano che si sarebbe dunque effettivamente propagato nell’atmosfera, per poi rimanere “intrappolato” dai ghiacci.
Se comunque non è ancora provata la genesi del fenomeno (terremoto e liberazione di metano potrebbero anche coesistere), ben più certi appaiono i suoi effetti. L’immensa frana sottomarina infatti generò un megatsunami. Come già detto, nelle isole Shetland, situate a Nord-Est della Scozia, sono stati rintracciati evidenti livelli di tsunamiti, datati intorno al 6000 a.C. Analoghi depositi sono stati rinvenuti in Norvegia (in particolare nei laghi), nelle isole Far Oer e nella stessa Scozia dove l’onda anomala sarebbe arrivata dopo circa 4 ore dall’innesco del fenomeno. Le tsunamiti nelle Shetland si trovano ben nove metri al di sopra dell’attuale livello del mare. Considerando che 8000 anni fa il mare era situato almeno 10-12 metri più in basso, ecco come gli scienziati giungono alla conclusione che l’onda di tsunami potesse avere un run-up di almeno 20-25 metri: un devastante potenziale distruttivo su una vasta area geografica, dal Circolo Polare Artico all’Inghilterra meridionale.

 

D’altra parte le frane, subaeree o sottomarine, sono una causa di tsunami più frequente di quello che si può generalmente ritenere. In particolare sulle nostre coste: come già ricordato anche nelle pagine di MeteoWeb, a Scilla nel 1783, a Vulcano nel 1988 ed a Stromboli nel 2002 si sono verificati tsunami generati da grandi frane senza dimenticare che, secondo una recente teoria, anche il grande terremoto dello Stretto di Messina nel 1908 innescò una gigantesca frana sottomarina che a sua volta provocò lo tsunami. Ecco perché si deve continuare a vigilare ed a ricordare i grandi eventi catastrofici del passato: solo indagando i fenomeni già avvenuti, di qualsiasi natura essi siano, è possibile salvaguardare il nostro futuro.
  • Si ringrazia il Prof. Stein Bondevik, Sogn og Fjordane University College (Sogndal – Norvegia), per la gentile collaborazione e la concessione delle immagini estratte dai suoi articoli
  • Thanks to Prof. Stein Bondevik (Sogn og Fjordane University College, Sogndal) who has provided us with the photos here published
 BIBLIOGRAFIA
  • Bondevik S. ed altri, The Storegga Slide Tsunami – Comparing Field Observations with Numerical Simulations, Marine and Petroleum Geology 22, 2005
  • Bondevik S. ed altri, Record-breaking Height for 8000-Year-Old Tsunami in the North Atlantic, EOS Vol. 84 n. 31, 2003
  • Bondevik S. ed altri, Green Mosses Date the Storegga Tsunami to the Chilliest Decades of the 8.2 ka Cold Event, Quaternary Sciences Reviews 45, 2012
  • Bryn P. ed altri, Explaining the Storegga Slide, Marine and Petroleum Geology 22, 2005
  • Weninger W. ed altri, The Catastrophic Final Flooding of Doggerland by the Storegga Slide Tsunami, Documenta Praehistorica XXXV, 2008

 Fonte:  http://www.meteoweb.eu

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