Il progetto The Last Pictures ha raccolto cento fotografie che ci raccontino e le ha integrate in un satellite geostazionario, con l'idea che qualcuno potrebbe consultarle quando la nostra civiltà sarà scomparsa
Una collezione di cento fotografie scelte per rappresentare l'umanità - battezzate non a caso The Last Pictures
- è stata messa in orbita da qualche giorno all'interno di un satellite
artificiale: è stata progettata per sopravvivere alla nostra civiltà
attuale e restare consultabile virtualmente per sempre, anche per
milioni di anni nel futuro, da parte di qualche civiltà aliena o di una
prossima "nuova" comunità terrestre. Il progetto The Last Pictures è
stato ideato da Trevor Paglen, artista multimediale che ha già realizzato diversi progetti riguardanti in qualche modo lo spazio.
Il concetto alla base di The Last Pictures è che i satelliti artificiali sono una delle testimonianze potenzialmente più durature della civiltà terrestre. Non tutti, perché quelli in orbite troppo basse finiranno per ricadere sulla terra e quelli in orbite troppo distanti se ne allontaneranno, ma i satelliti in orbita geostazionaria, a quasi 36mila chilometri dalla superficie terrestre, resteranno dove sono per sempre, a meno che ovviamente non intervenga qualche fattore esterno a modificarne la traiettoria.
Paglen ha quindi deciso che un satellite geostazionario è il posto migliore dove integrare qualcosa che ci possa rappresentare anche quando la Terra sarà diventata invivibile e la civiltà umana come la conosciamo non ci sarà più, perché ce ne saremo andati altrove o perché sarà scomparsa a causa nostra. L'impostazione di Paglen, come si intuisce, è piuttosto pessimista e le foto scelte per ricordare l'umanità e la sua storia hanno poco di poetico. L'artista ha spiegato che si tratta di una "collezione di immagini che spieghi a qualcuno nel futuro cosa è successo a tutti quelli che hanno costruito le navicelle morte in orbita attorno alla Terra, e come si sono suicidati".
Così le foto scelte rappresentano di tutto: dai ciliegi in fiore alle pitture rupestri, dagli orfani di guerra ai panorami. Paradossalmente - ma è un paradosso di cui Paglen è ben conscio - molte delle cento immagini non hanno un significato comprensibile se non vengono spiegate: l'idea è che a distanza di milioni di anni non sia in effetti possibile comunicare nulla e che le foto alla fine siano tutte equivalenti dal punto di vista del loro significato. Le immagini sono state anche raccolte in un libro destinato a noi "umani", e questo libro fortunatamente associa ogni foto a una didascalia esplicativa.
Scritto da: Francesco Pignatelli
Fonte: http://www.tomshw.it
Il concetto alla base di The Last Pictures è che i satelliti artificiali sono una delle testimonianze potenzialmente più durature della civiltà terrestre. Non tutti, perché quelli in orbite troppo basse finiranno per ricadere sulla terra e quelli in orbite troppo distanti se ne allontaneranno, ma i satelliti in orbita geostazionaria, a quasi 36mila chilometri dalla superficie terrestre, resteranno dove sono per sempre, a meno che ovviamente non intervenga qualche fattore esterno a modificarne la traiettoria.
Il wafer di silicio con le fotografie e la sua struttura di protezione
Paglen ha quindi deciso che un satellite geostazionario è il posto migliore dove integrare qualcosa che ci possa rappresentare anche quando la Terra sarà diventata invivibile e la civiltà umana come la conosciamo non ci sarà più, perché ce ne saremo andati altrove o perché sarà scomparsa a causa nostra. L'impostazione di Paglen, come si intuisce, è piuttosto pessimista e le foto scelte per ricordare l'umanità e la sua storia hanno poco di poetico. L'artista ha spiegato che si tratta di una "collezione di immagini che spieghi a qualcuno nel futuro cosa è successo a tutti quelli che hanno costruito le navicelle morte in orbita attorno alla Terra, e come si sono suicidati".
Così le foto scelte rappresentano di tutto: dai ciliegi in fiore alle pitture rupestri, dagli orfani di guerra ai panorami. Paradossalmente - ma è un paradosso di cui Paglen è ben conscio - molte delle cento immagini non hanno un significato comprensibile se non vengono spiegate: l'idea è che a distanza di milioni di anni non sia in effetti possibile comunicare nulla e che le foto alla fine siano tutte equivalenti dal punto di vista del loro significato. Le immagini sono state anche raccolte in un libro destinato a noi "umani", e questo libro fortunatamente associa ogni foto a una didascalia esplicativa.
Una delle immagini incomprensibili senza contestualizzazione: un gruppo di migranti messicani ripreso da un drone USA
Dal punto di vista tecnologico il progetto The Last Pictures ha coinvolto diverse parti. Il MIT di Boston ha provveduto a microlitografare le immagini in un wafer di silicio
largo una decina di centimetri. Le immagini sono visibili a occhio nudo
e diventano comprensibili con pochi ingrandimenti. Il silicio è stato
scelto come supporto duraturo che possa sopportare anche milioni di anni
di invecchiamento. Il wafer è stato inserito in un contenitore protettivo placcato in oro,
che è stato a sua volta integrato nel satellite EchoStar XVI. Questo
ora si trova in orbita geostazionaria e per i prossimi 15 anni opererà
come satellite per telecomunicazioni, finita la sua vita operativa si spegnerà e resterà in orbita come "custode" delle cento immagini.Scritto da: Francesco Pignatelli
Fonte: http://www.tomshw.it
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