Un tentativo da parte di New York Times e Ucla di ottenere
trasparenza sulla famosa (e lunghissima) "kill list" di Obama è fallito.
Ma la battaglia politico-legale potrebbe essere solo all'inizio...
Nel 2012 le forze aeree Usa in Afghanistan hanno condotto 447 attacchi con droni, un record. Nel 2011 erano stati 294, nel 2010 278. In pratica, c’è stato un raddoppio dell’intensità bellica, con circa 33 attacchi al mese contro i 24,5 del 2011. Per capire il livello di impiego, si consideri che in tutti gli otto anni precedenti sul fronte nord-pakistano (regione tribale pashtun al confine con l’Afghanistan), la Us Air Force ha condotto 338 attacchi.
Siamo entrati nell’ultimo anno prima del ritiro annunciato nel 2014, ma i segnali di un impegno massiccio restano evidenti. Secondo le fonti militari ufficiali Usa, il numero delle missioni di sorveglianza (in cui vengono impiegati spesso veivoli senza pilota) è scesa da 3.183 al mese nel 2011 a 2.954 nel 2012. Cifre comunque considerevoli, che parlano di un nuovo tipo di guerra ormai entrato nella quotidianità operativa, quasi senza che i media e i commentatori se ne siano accorti. A parte forse negli stessi Stati Uniti, dove organizzazioni non-governative hanno evidenziato i rischi politico-legali dell’utilizzo dei droni.
Il mini drone spia dalle sembianze di una zanzara che può uccidere un uomo iniettandogli una tossina che provoca un immediato infarto e che per le sue piccole dimensioni può superare facilmente qualsiasi corpo di guardia di sicurezza |
Una corte ha recentemente riconosciuto di non poter far valere il Freedom of information act nei riguardi degli assassinii mirati condotti utilizzando questi strumenti. Il caso è eclatante perché
riguarda l’uccisione nel settembre 2011 di un cittadino americano, per di più minorenne, Abdulrahman al-Awlak, la cui esecuzione non sembrava nemmeno giustificata da rischi potenziali connessi con la sua figura (a differenza del padre, ucciso pochi giorni prima, e collegato ad Al-Qaeda). Una risposta particolarmente arrogante da parte di un alto funzionario dell’amministrazione (secondo cui il ragazzo “non avrebbe dovuto avere comunque un padre così irresponsabile”), ha messo in evidenza la situazione di “area grigia legale” in cui si muove questa guerra dall’alto. La giudice che ha emesso la sentenza, riconoscendo il diritto del Dipartimento della giustizia di farsi schermo con quello che da noi verrebbe chiamato “segreto di Stato”, ha affermato testualmente: “Non riesco a trovare una via di uscita dalla selva di leggi e precedenti che consentono al potere esecutivo di proclamare perfettamente legittime azioni che appaiono in superficie incompatibili con le nostre leggi e la nostra Costituzione, al tempo stesso mantenendo segrete le ragioni di questa loro valutazione”.
Siamo ad un passo dall’arbitrarietà. Naturalmente, la partita non è chiusa. Lo spessore mediatico delle organizzazioni che hanno sollevato la questione (la American civil liberties union e il New York Times) testimoniano che una piccola frazione della classe dirigente Usa avverte comunque il problema. La sentenza per lo meno farà guadagnare tempo per chi, all’interno dell’amministrazione, ha il compito di razionalizzare questa prassi. L’alta sofisticazione dei veivoli senza piloti, inoltre, agisce di per sé come un punto di forza dei militari nel rapporto con i civili, specie in culture come quella occidentale fortemente impregnata di tecnicismo e propensa a farsi incantare dal prodotto finale tecnologico, quasi che esso avesse volontà e vita propria e non fosse mosso da una ragnatela di rapporti e volontà sociali – un esito che è forse un sottoprodotto della crisi europea e globale del marxismo.
Sarà ai competitori nella lotta tecnologica per questo nuovo mercato bellico che bisognerà guardare in futuro per verificare il successo o meno di questo sforzo di razionalizzazione. Non è un caso che tra i più attenti e veementi critici dell’intera vicenda sia la moscovita Russia Today.
Marco Andrea Ciaccia
Fonte: http://www.formiche.net
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