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Tuesday, June 7, 2011

Il pericolo del nucleare secondo Akira Kurosawa

Il pericolo del nucleare secondo Akira Kurosawa

L'Aquila, 7 giu 2011 - Mentre alla centrale nucleare di Fukushima, in Giappone, proseguono senza sosta i lavori di messa in sicurezza per cercare di rimediare ai danni provocati dal terremoto e dallo tsunami dell’11 marzo scorso – in proposito, per mantenersi aggiornati su quanto sta accadendo, segnaliamo il sito http://unico-lab.blogspot.com/2011/05/aggiornamento-emergenza-nucleare.html#20110518 –, su internet (molto meno sui mass media nazionali italiani) infuria il dibattito sul nucleare, dovuto sia a quanto sta accadendo nel paese del Sol Levante, sia all’avvicinarsi del referendum sul nucleare che si terrà il 12-13 giugno, “anticipato” dal referendum svoltosi in Sardegna in coincidenza delle elezioni amministrative, dove è stato raggiunto il quorum e dove il 97,13 % dei votanti ha espresso la propria contrarietà alla costruzione di centrali nucleari nella propria isola.

foto monte fuji

Parlando di nucleare in rete, si è spesso fatto riferimento a diversi film che hanno denunciato la pericolosità di questa forma di energia, come Sindrome Cinese (’79) di James Bridges, Silkwood (’83) di Mike Nichols e soprattutto Sogni (’90) di Akira Kurosawa (realizzato grazie al sostegno di Steven Spielberg, George Lucas, Martin Scorsese e di Ishiro Honda, regista di Godzilla e da sempre grande amico di Kurosawa). Quest’ultima pellicola è stata particolarmente citata e segnalata in rete, sia perché appartenente alla stessa nazione che sta attualmente affrontando il pericolo provocato dal danneggiamento di una centrale nucleare, sia perché in uno degli 8 episodi che la compongono – intitolato “Fujiama in rosso” nell’edizione italiana in vhs della Warner Home Video, ma in rete lo si trova citato anche come “Fuji in rosso” – la denuncia della pericolosità del nucleare e dell’incoscienza umana è particolarmente evidente, rendendo quindi chiaro come non tutti i giapponesi siano sempre stati favorevoli all’uso di questa forma di energia.

Sogni rappresenta la seconda delle tre opere in cui Kurosawa ha affrontato il tema del nucleare, preceduta da Testimonianza di un essere vivente (’55, noto anche come “Vivo nella paura” o “Se gli uccelli lo sapessero”) – dedicata a un anziano imprenditore che, negli anni ’50, è ossessionato fino alla follia dalla pericolosità e dall’imminenza di una nuova esplosione atomica –, e seguita da Rapsodia in Agosto (’91) – incentrata sul ricordo della devastante tragedia umana provocata dall’esplosione della bomba atomica su Nagasaki –. Tuttavia è in Sogni, film surreale composto da 8 episodi (alcuni affascinanti e fiabeschi, altri girati come dei terrificanti incubi), che si affronta, ricorrendo al mondo onirico, il caso di un disastro nucleare provocato da una calamità naturale.

OGGETTI ABBANDONATI

L’interesse verso i sogni e gli incubi, scaturisce nel regista giapponese da un’opinione dello scrittore russo Dostoevskij (di cui Kurosawa, girò un adattamento de “L’idiota” nel ’51), secondo il quale i sogni “sono l’espressione visiva dei nostri desideri e delle nostre angosce sepolte nel profondo di noi stessi”. Da questo spunto, Kurosawa ricava l’idea di questa sua pellicola, spiegando come “i sogni traducono desideri e paure in maniera fantastica, in una forma totalmente libera”, mettendo in guardia però la critica cinematografica aggiungendo che “cercare di interpretare i sogni razionalmente è un controsenso”. La paura della catastrofe nucleare e della conseguente diffusione delle radiazioni, così radicata in molte persone poiché solitamente associata alle bombe atomiche e al disastro di Chernobyl, dunque ben si presta a essere rappresentata attraverso la forma onirica dell’incubo.

L’episodio si apre mostrando una massa di persone che fuggono a piedi, sollevando una fitta coltre di polvere e lasciando vuote le proprie auto, mentre alle loro spalle incombono esplosioni e il rumore dell’imminente eruzione del Monte Fuji (questo il nome corretto del noto vulcano dalla estremità conica innevata, a volte erroneamente chiamato “Fujiama” o “Fujiyama” in Occidente), e sopra di loro il cielo ha assunto un colore rossastro ed è interamente ricoperto da minacciose nubi, ricorrendo così alla tradizione di ricorrere a scelte cromatiche irreali ma molto efficaci sul piano spettacolare ed emotivo per lo spettatore, tipica di tante opere animate nipponiche (Jeeg Robot d’Acciaio, I Cinque Samurai, …) e di film italiani molto popolari in Giappone, come Suspiria (’77) di Dario Argento.

L’eruzione del Fuji (vulcano ancora attivo) è realmente molto temuta dalla popolazione giapponese e il fatto che Kurosawa abbia deciso di mostrarla nel suo film non è dunque una scelta casuale, ma una sua precisa intenzione di spiegare come possa esserci qualcosa di molto più pericoloso del Fuji.

Infatti, mentre l’alter ego del regista (un adulto senza nome interpretato da Akira Terao, la cui presenza ricorre in vari episodi di Sogni) è preoccupato per l’imminente eruzione, una donna (la quale incarna l’emotività, la maternità e il punto di vista delle persone comuni in quest’episodio) con due figli molto piccoli (nel corso dell’episodio avremo poi modo di vedere meglio come quei due bambini siano simbolicamente vestiti uno in rosa e l’altro in azzurro, rappresentando quindi entrambi i sessi) gli risponde che c’è qualcosa di molto più grave: “Una centrale nucleare sta andando a fuoco”. La centrale, come rivelato da un altro uomo, vestito in modo elegante e con gli occhiali (esso rappresenta la razionalità e la scienza umana), sopraggiunto sul posto, è la più grande del Giappone ed è composta da sei reattori atomici – come quella di Fukushima –. Sebbene non venga rivelato esplicitamente, si intuisce come la centrale sia stata costruita in modo irresponsabile alle pendici del vulcano, senza tenere conto che esso era ancora attivo e destinato a risvegliarsi, proprio come nella realtà la centrale di Fukushima è stata collocata vicino alla costa oceanica dove c’era il pericolo tsunami, che ha superato in potenza le previsioni degli scienziati nipponici (ricordiamo come la scienza e le conoscenze umane, in materia di sismi e tsunami, non siano infallibili, necessitando di continue ricerche e fondi per migliorarsi), e proprio come numerosi altri casi di costruzioni inadeguate in zone vicine ai vulcani o ad alto rischio sismico, come avvenuto a L’Aquila.

Mentre il Fuji assume un aspetto sempre più rossastro e infernale lasciando impietrito chi lo osserva, l’uomo colto commenta con estrema lucidità quanto sta accadendo, spiegando che “Il Giappone è piccolo. Fuggire è inutile”, ma ad esso risponde la donna, motivando così il perché tutti cerchino istintivamente di scappare: “Sì lo sappiamo tutti. Fuggire non serve, però… Però se non fuggi che cosa ti resta da fare?”.

Con un improvviso stacco narrativo (ricordiamoci che l’episodio si svolge nel mondo onirico ed è un incubo), la cinepresa mostra diversi oggetti abbandonati per terra, come biciclette, vestiti e passeggini. L’inquadratura lentamente si alza e ci mostra i tre personaggi protagonisti (l’alter ego del regista, la donna coi suoi due figli e l’uomo elegante) nei pressi di una scogliera, con alle spalle il blu delle acque oceaniche. L’alter ergo del regista si chiede dove sono andate tutte quelle persone che stavano scappando e che hanno abbandonato le loro cose, ricevendo la risposta chiarificatrice dell’uomo colto: “Sono tutti nel fondo dell’oceano”. Piuttosto che farsi avvelenare dalle radiazioni rilasciate dall’esplosione nucleare, hanno dunque preferito suicidarsi, morendo più velocemente e senza soffrire, così come l’11 settembre diverse persone intrappolate ai piani alti delle Torri Gemelle, hanno preferito uccidersi lanciandosi nel vuoto, pur di evitare di morire lentamente a causa delle fiamme e del fumo.

I TRE PROTAGONISTI

In risposta alla donna che ritiene i delfini che nuotano nell’oceano più fortunati degli uomini, l’uomo colto spiega come “la radioattività raggiungerà presto anche loro”. Non vi è dunque nessuna via di fuga né per gli esseri umani, né per gli animali dall’imminente arrivo degli elementi chimici più pericolosi, rappresentati da dei fumi di tre colori diversi (in modo da renderli riconoscibili allo spettatore), che lentamente si avvicinano e che vengono meticolosamente descritti dall’uomo colto: il fumo rosso è il Plutonio 239, “di quello basta pochissimo, un decimillionesimo di grammo ed è cancro”; quello giallo è lo Stronzio 90, che “ti entra dentro le ossa ed è leucemia”; il viola è il Cesio 137, che muta i geni degli esseri viventi: “in breve, le creature che nasceranno, saranno tutte mostruose”.

L’uomo colto prosegue con la sua analisi di quanto sta accadendo, costatando quanto sia “incredibile l’imbecillità umana. Tra i rischi della radioattività c’è che è invisibile. Così abbiamo sviluppato la tecnologia per rendere visibile il rischio. E ora abbiamo il vantaggio di sapere che cosa ti ha ucciso. Bel vantaggio! La morte si annuncia con la sua carta da visita”. Mentre gli altri personaggi sono ammutoliti e terrorizzati, l’uomo prosegue dicendo “A più tardi” e incamminandosi verso la scogliera, lasciando intendere la sua decisione di uccidersi e di attendere, sul fondo dell’oceano, i loro suicidi. L’alter ego prova a chiedere all’uomo se è vero che la radioattività non uccide subito, ma lui risponde che “una morte rapida e certa, è molto meglio che consumarsi in una lunga agonia”, suscitando la reazione della madre: “Per gli adulti che hanno già vissuto la morte è una cosa, ma per i bambini che ancora quasi non hanno cominciato a vivere…”. La donna così evidenzia quanto possa essere devastante per i più giovani un disastro nucleare e la contaminazione radioattiva, nonché la possibilità di dover morire a quell’età per via degli errori della società degli adulti.

L’uomo colto risponde alla donna, chiedendole se aspettare di morire per via della radioattività possa essere chiamato “vivere”, e suscitando la furiosa reazione della donna: “Avevano detto che le centrali erano sicure! Che il rischio era solo nell’errore umano! Non ci sono pericoli nella centrale in sé! Se non si sbaglia, non c’è problema! Io non perdono chi ci ha detto queste cose, non li perdono! Io prima di morire vorrei vederli impiccati! Tutti impiccati, vorrei vederli!”. Parte di queste parole sono divenute realtà proprio nei giorni scorsi, quando i civili sfollati e/o evacuati dalle aeree vicine alla centrale nucleare di Fukushima per via dell’aumento della radioattività, si sono ritrovati faccia a faccia con dei rappresentanti della Tepco (la società che gestisce quell’impianto nucleare).

L’episodio prosegue, con le parole dell’uomo che prima rassicura la donna sull’inevitabile e mortale sorte che attende i responsabili della catastrofe (“stia tranquilla, la radioattività si prenderà cura di loro”), svelando poi la sua identità: “Mi ricresce, ma io sono uno di quelli che andrebbero impiccati”; per poi suicidarsi pochi istanti dopo, senza essere inquadrato dalla cinepresa. Ora restano solo la donna coi suoi figli e l’alter ego del regista che, in un istintivo e disperato gesto protettivo, si toglie la giacca per cercare inutilmente di sventolare via quei pericolosi fumi radioattivi, mentre lentamente inizia la dissolvenza in nero che conclude l’episodio.

In poco più di 7 minuti, Kurosawa ci ha offerto un terrificante squarcio onirico di quanto potrebbe essere devastante e inarrestabile un disastro nucleare di grandi proporzioni, provocato da una calamità naturale come un’eruzione vulcanica, facendoci così riflettere su quanto possa essere pericolosa quella natura che l’uomo crede sempre di poter aggirare e soggiogare a piacimento, sottovalutandone la forza distruttiva.

Sogni prosegue poi con un episodio dal titolo “Il demone che piange” che ci mostra un desolato scenario futuribile in cui tutto è stato contaminato dalle radiazioni, mutando mostruosamente persone e piante, per poi concludere la pellicola con “Il villaggio dei mulini”, episodio che invece rende palese il pensiero del regista (il quale, all’uscita del film nelle sale che coincise con il raggiungimento dei suoi ottant’anni, spiegò come giunto a quell’età “un uomo ha soprattutto il compito di dire la verità”), su quanto sia importante e sano poter vivere rispettando la natura e i suoi tempi, senza sottovalutarla o tentare di annichilirla, usandone le risorse per ricavarne energia pulita senza rischi per la salute umana e facendo inoltre a meno di tante cose che normalmente ci appaiono come indispensabili, ma che in realtà non sono che futili o pericolose.

Un invito a rivolgersi con rispetto alla natura, per trarre da essa quelle fonti energetiche di cui abbiamo bisogno, lasciando invece stare quelle forme d’energia che possono mettere gravemente a rischio l’esistenza di tutti gli esseri viventi di questo pianeta.

di Alessandro Montosi

Fonte: http://www.ilcapoluogo.com

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