Nasa in crisi: tagli al bilancio, dipendenti dimezzati,
Shuttle arrugginito
Ma gli uomini dell’Apollo
ci credono: "Se ci sfidano, torniamo grandi”
paolo mastrolilli
inviato a cape canaveral
Newt Gingrich vorrebbe fondare una colonia umana sulla Luna, Mitt Romney sarebbe felice di mandarcelo, e Ron Paul spera di trasferire al più presto l’intera classe politica americana sulla faccia nascosta del nostro satellite.La campagna presidenziale americana, tra il serio e molto faceto, ha riaperto il dibattito sul futuro del programma spaziale Usa. L’occasione sono state le primarie repubblicane della Florida, che hanno portato i candidati a caccia di voti sulla Space Coast, la regione intorno a Cape Canaveral dove migliaia di elettori vivono di spazio. Che cosa deve fare adesso la Nasa: sognare Marte e un futuro di esplorazioni stellari, oppure trasformarsi in museo?
Passato il vento opportunistico delle elezioni, la domanda resta opprimente sopra il cielo azzurro del Kennedy Space Center, che il prossimo luglio compirà cinquant’anni. Lo dimostra lo Shuttle Discovery che giace sulla pista davanti all’edificio dove si assemblavano i razzi delle missioni lunari Apollo, in attesa di essere trasferito allo Smithsonian’s Museum. L’anniversario sarà l’occasione per ispirare nuove conquiste dell’umanità, o una riunione di vecchie glorie senza futuro? «La cancellazione del programma Constellation - ammette il portavoce George Diller - è stata un brutto colpo al morale. Però ci ha spinti a immaginare una nuova direzione per il futuro, come quando finì Apollo».
Constellation era il progetto che secondo il presidente George W. Bush avrebbe dovuto rimpiazzare lo Shuttle: tornare sulla Luna, allo scopo di usarla poi come potenziale rampa di lancio verso Marte. Una visione kennediana, che doveva nello stesso tempo eccitare l’immaginario collettivo, e mettere in moto il potente complesso dell’industria spaziale. La crisi economica ha bloccato tutto. Obama ha cancellato Constellation, sollecitando la Nasa a trovare una nuova strada con meno soldi.
Il budget dell’agenzia spaziale è sceso dal 4% del bilancio federale, nell’epoca d’oro, allo 0,5%. In tutto 18 miliardi di dollari, che a un povero cristiano sembrano un’enormità, ma non sono neppure un trentesimo dei fondi del Pentagono. Risultato: i dipendenti del Kennedy Space Center sono stati dimezzati, dai 16.000 del picco massimo del programma Shuttle, agli 8.200 di adesso. Per non parlare dell’indotto sulla Space Coast, dove tra poco dovranno tornare a pescare i marlin per sopravvivere.
Attenzione, però: la Nasa non è ferma. Da qui al 2014 sono già in calendario 24 missioni senza astronauti, con la prima che il 14 marzo lancerà il telescopio stellare NuStar dall’atollo Kwajalein nell’Oceano Pacifico. Ad agosto da Cape Canaveral partirà la sonda solare Rbsp, mentre i lanci di satelliti e le attività di ricerca fisica, medica, biologica e ambientale procedono a pieno ritmo.
E allora cosa manca? «Noi - risponde Diller con un sorriso che somiglia ad una smorfia - siamo i cadetti dello spazio. La nostra missione è andare lassù, lontano. Dobbiamo conquistare Marte, per provare l’emozione di aprire nuove frontiere all’umanità».
Allard Beutel è il responsabile della comunicazione per le missioni con astronauti a bordo, e spiega il nuovo concetto operativo sviluppato dopo la cancellazione di Constellation: «La Nasa non ha più i soldi per fare tutto, quindi abbiamo deciso di puntare su un solo obiettivo. Quelle che chiamiamo missioni di Low Earth Orbit, tipo i viaggi per rifornire la stazione spaziale internazionale, verranno appaltate ai privati. Noi ci concentreremo sull’esplorazione profonda dello spazio». La divisione dei compiti è abbastanza precisa. Sette compagnie private, SpaceX, Orbital Sciences, Blue Origin, Boeing, Paragon Space Development, Sierra Nevada, e United Laungh Alliance, stanno competendo per le missioni più vicine alla Terra. Entro quest’anno il razzo Falcon 9 della SpaceX dovrebbe portare i primi rifornimenti alla stazione orbitante, e per il 2017, ma se possibile anche prima, decollerà la prima missione commerciale con a bordo gli astronauti. In pratica il passo decisivo verso il turismo spaziale, perché poi i posti sulle navicelle verranno offerti a tutti coloro che potranno pagare: «Io - dice Beutel - con la Nasa non sarei mai andato nello spazio, ma conto di farlo con le missioni commerciali. Di sicuro mio figlio, che ha sei anni, andrà sulla stazione orbitante. Ora un viaggio sopra l’atmosfera, come quelli che sta per avviare Virgin, costa almeno 100.000 dollari, ma i prezzi scenderanno, mano a mano che la concorrenza si sviluppa».
La Nasa, così, sarà libera di guardare lontano. «Noi - continua Beutel - abbiamo il compito di sviluppare il nuovo razzo. Ci lavoriamo già, al Marshall Space Flight Center dell’Alabama. Il primo volo di prova è previsto per il 2017. Dovrà essere in grado di raggiungere Marte, che resta il nostro obiettivo. La capsula da montarci sopra per gli astronauti, invece, l’abbiamo già. Si chiama Orion. È quella che ci avrebbe riportati sulla Luna col progetto Constallation, ma ora la stiamo adattando alle nuove missioni. Il suo primo volo è previsto per il 2014».
L’unico problema è che la politica ha dato via libera per sviluppare i mezzi, ma non ha ancora deciso dove mandarli. «L’amministrazione Obama - dice Beutel - non è favorevole a ripetere i lanci sulla Luna, preferirebbe andare su un asteroide. La Nasa ha anche un calendario di massima: l’asteroide nel 2025 e Marte nel 2030». Dunque Gingrich, secondo Beutel, non farnetica: «La base lunare faceva parte del progetto Constellation. Una volta che sei là, la costruzione di una colonia umana sarebbe naturale, perché fa parte del nostro spirito espanderci ovunque». La scelta finale però è politica, e non è ancora stata fatta.
«Lavorare così, senza un obiettivo chiaro, è difficile», si lamenta Jack King. Lui è la memoria storica di Cape Canaveral: «Sono arrivato qui nel 1958, prima ancora che il presidente Kennedy ci desse il mandato di andare sulla Luna». Jack fece il countdown della missione Apollo 11, quella che il 20 luglio del 1969 portò Neil Armstrong e Buzz Aldrin a passeggiare nel Sea of Tranquility del nostro satellite. Si commuove ancora quando pensa all’Apollo 1, quello che bruciò a terra il 27 gennaio 1967, uccidendo il capitano Grissom e i suoi colleghi White e Chaffee: «Ero là, nel centro controllo. Fummo i primi a raggiungere la navicella: erano morti soffocati. Non diedi l’annuncio per diverse ore, perché la moglie di Grissom, Betty, viveva davanti a casa mia. Non potevo permettere che fosse informata della morte del marito da un comunicato stampa». King si passa la mano rugosa sugli occhi per asciugarli, e aggiunge con orgoglio: «Il loro sacrificio ci ha permesso di arrivare sulla Luna».
Jack è arrabbiato perché la Nasa ha passato gli ultimi trent’anni a lavorare sulle missioni Leo dello Shuttle: «Belle, per carità, e con tanti spinoffs utili. Ma vi immaginate dove saremmo adesso, se invece avessimo sviluppato i razzi di lunga gittata? Con i mezzi convenzionali che abbiamo, a idrogeno liquido o combustibile solido, ci vorrebbero sei mesi per arrivare su Marte. Con quelli nucleari o fotonici ce la faremmo in due mesi». Il problema è la crisi economica, e poi non c’è più la motivazionedi sicurezza militare e l’adrenalina che dava la competizione con l’Urss: «Vero, eravamo ossessionati. Temevamo di svegliarci una mattina e trovarli lassù, prima di noi». Jack, perciò, non si vergogna di augurarsi un guaio: «L’America dà il meglio quando deve affrontare una sfida. Io conto sui cinesi. Vedrete che combineranno qualcosa prima di noi, torneranno sulla Luna. Allora ve lo garantisco: nel giro di qualche anno noi saremmo su Marte».
Fonte: http://www3.lastampa.it
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