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Sunday, February 5, 2012

Cacciatori d' aurore

Il 22 gennaio 1957 il Corriere della Sera così titolava un articolo nella sezione «ultimissime» notizie: «Grandiosa aurora boreale osservata nell' Italia del Nord». Il giorno dopo un pezzo più esteso riportava «il giudizio degli astronomi» e i dettagli sullo «spettacoloso» fenomeno «causato da corpuscoli provenienti dal Sole». E ampio spazio veniva dato all' «allarme in due paesini del Bergamasco per il timore di un' invasione di marziani». Quella era l' Italia (il mondo) di 55 anni fa. Sotto un cielo sconosciuto e ostile, un' altra epoca: da noi stava per debuttare Carosello, mentre l' Urss si apprestava a lanciare nello spazio lo Sputnik 2 con la povera cagnetta Laika. Allora (come oggi) quelle «luci evanescenti che s' elevavano dall' orizzonte verso nord-est, a guisa di ampia raggiera con lampi di tinta rossastra», erano una rarità alle nostre latitudini. Un fenomeno da circo(lo) polare (eccezionalmente visibile molto più in basso, a Courmayeur come in Trentino, ma anche a Milano dove fu registrato dall' Osservatorio Brera, sia pure «attutito dalla coltre di nebbia»). Meraviglia e terrore: quando alle 23 «il chiarore si diffuse nel cielo», a Castagneto e a Bastia «si è sparsa la voce che erano arrivati i marziani». La gente «è uscita di casa con valigie colme di indumenti». Una psicosi che «durò qualche ora». E che oggi ci fa sorridere (incredulità ma anche nostalgia). Oggi che viviamo nell' epoca degli «aurora hunters», i viaggiatori che vanno a caccia di sfolgoranti luci «verde oceano» con i bordi rosati nel buio gelato del Grande Nord, a venti gradi sotto zero, usando i trapper di agenzie specializzate e le informative degli astronomi della Nasa con gli ultimi aggiornamenti sulle tempeste solari. Altro che la paura dei marziani. Altro che la mitologia degli antichi Finnici, per i quali l' aurora boreale era una volpe che scappava per il cielo con la coda in fiamme. Chi non partirebbe domani per un blitz di quattro giorni nell' Artico, a Tromsoe in Norvegia piuttosto che nella svedese Kiruna (l' Islanda è più fuorimano)? Febbraio e marzo sono i mesi ideali: la notte polare è ancora lunga (poche ore di sole basso all' orizzonte) e più serena rispetto ai mesi precedenti. Lo spettacolo non è assicurato (la «volpe» potrebbe non farsi vedere). La «scala dell' intensità geomagnetica», che misura la bellezza dell' «aurora», arriva fino al livello 9 (spettacolo godibile solo dall' atmosfera). Trovare una notte di livello 3 è già un bel colpo. Ci vuole pazienza: giri in motoslitta riscaldati dal succo di lampone artico, l' attesa davanti a un piatto di alce prima di raggiungere il punto di osservazione che la guida high-tech ritiene più giusta, possibilmente dribblando le coppie di turisti cinesi o giapponesi che all' esplodere dei primi raggi cercano eroicamente un po' di intimità all' aperto a 20 gradi sotto zero (in Asia credono che un figlio concepito nel mezzo di un' aurora boreale cresca più fortunato). Altro che marziani. Chi oggi potrebbe avere paura di un' aurora boreale (o australe, se nell' emisfero sud)? Anche senza andare in Scandinavia o in Australia, in Alaska o in Antartide, tutti ne abbiamo intravista una (almeno in tv o in foto). E il Piero (o l' Alberto) Angela che è in noi vagamente sa che quello spettacolo della natura è il frutto del vento solare con i suoi elettroni che vanno a sbattere contro lo scudo magnetico dell' atmosfera terrestre 100-500 chilometri sopra le nostre teste (in due ristrette fasce attorno ai poli magnetici della Terra). Il primo a chiamarla con il suo nome attuale (da Aurora, la dea romana dell' alba, e Boreas, il dio greco del vento di settentrione) fu il solito Galileo Galilei nel 1618. Poi arrivò l' ufficialità di un trattato di fisica, scritto dall' astronomo francese Pierre Gassendi. Ma forse non avevano tutti i torti i Vichinghi, che pensavano fosse luce solare che si specchia sugli scudi delle Valchirie. O i vecchi svedesi, che la paragonavano più modestamente ai riflessi di un banco di aringhe, mentre tra i Sami della Lapponia c' era la credenza che si trattasse di spiriti benefici, guide celesti inviate ad aiutare chi era morto di morte violenta e voleva raggiungere la pace dell' aldilà. Adesso ci sono guide che aiutano gli «aurora hunters» a raggiungere posti come l' Abisko Mountain Lodge, nel nord della Svezia, 68 gradi di latitudine. Ci sono agenzie come l' inglese Aurora Zone che mettono a disposizione il loro know-how e quello della Nasa, l' agenzia spaziale Usa. Che sarà pure in bolletta, ma ha i soldi per monitorare le tempeste solari. Secondo la Nasa, il momento per cacciare le aurore boreali non è mai stato così propizio negli ultimi 11 anni come ora. Una decina di giorni fa una tempesta geomagnetica di grande intensità ha reso più probabile l' apparizione della «volpe in fiamme» anche a latitudini inferiori alla norma (in Scozia per esempio). Per sicurezza alcune compagnie aeree hanno sospeso per qualche giorno le rotte che passano sul Polo (nessuna minaccia alla salute dei passeggeri ma possibilità di interferenze sulle frequenze radio). Dal Grande Nord nei cieli italiani non sono arrivate luci marziane (come 55 anni fa) ma solo neve. Chi vuole vederle deve andare a sdraiarsi nella notte polare, con il succo di lampone artico e una valigia di indumenti (pile), possibilmente dalle 22 alle 2 del mattino. Sperare nella sorte. Restare in ascolto (i Sami la chiamano Guovssahas, «luce che può essere udita»). Non pensare soltanto a elettroni e protoni ma a un banco di aringhe in volo. O alla teoria degli Inuit: che si tratti di un gioco di spiriti che si tirano a mo' di palla un tricheco nel cielo.

Michele Farina

Suggerimento di Oliviero Mannucci: Se volete vedere un aurora boreale stando comodamente seduti a casa vostra sarà sufficiente visitare le webcam di alcuni paesi del nord, come la Svezia, la Norvegia, l'Islanda etc. etc. Qualche sera fa mentre facevo un tour virtuale mi sono imbattutto in una webcam che inquadrava una bellissima aurora boreale.

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