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Tuesday, February 19, 2013

Nucleare: Chernobyl e la possibile contaminazione del Mediterraneo

Mentre le meteoriti sfioravano l'incidente nucleare colpendo la zona di Chelyabinsk in Russia, vicino all'industria di riprocessamento del plutonio, a Chernobyl qualche giorno prima era caduto un pezzo di tetto. Ma se anche l'"arco" di protezione sarà montato sul sarcofago, il vero pericolo, "sotterraneo" dell'ex centrale nucleare sovietica rimane. Mondo in cammino avverte "sulla possibile contaminazione di tutto il bacino del Mediterraneo".

Prima che le meteoriti sui cieli di Russia andassero a schiantarsi su uno dei luoghi a maggior rischio di incidente nucleare sul pianeta Terra, cioè nella zona di Chelyabinsk negli Urali, sede di industrie di riprocessamento di plutonio e di stoccaggio di armi nucleari1 , il 12 febbraio un "pezzo" di Chernobyl era caduto giù. La vecchia centrale nucleare sovietica, protagonista dell'incidente nucleare civile più grave della storia a parimerito con Fukushima (scala INES 7), ha subito un parziale crollo del tetto nel locale turbine vicino al reattore che esplose il 26 aprile 1986. Il comunicato ufficiale di Chernobyl NPP (tradotto da Mondo in cammino) è questo: "Alle 14.03 del 12/02/13, si è verificato un crollo parziale delle pareti a lastre e del tetto della sala controllo del reattore n.4, all'altezza di circa 28 metri, negli assi 50-52. L'area danneggiata è di circa 600 metri quadrati. Questa struttura non fa parte di quella costituente l'attuale sarcofago 'Shelter'. Non si registra attualmente nessuna anomalia riguardante la sicurezza dell'attuale 'Shelter', secondo le normative tecniche. Non si registrano valori anomali di radioattività sul sito della centrale e nella zona di esclusione. Non ci sono feriti".

Lo "shelter" è il ciclopico guscio (o meglio, l'"arco", come viene soprannominato per la sua geometria) progettato per scongiurare che un crollo del "sarcofago" che copre i resti del reattore esploso, possa diffondere nell'atmosfera tonnellate di polveri radioattive, ripetendo, in un certo senso, una sorta di Chernobyl "asciutta". Nel commentare l'incidente accaduto il 12 febbraio Angelo Gentili, coordinatore nazionale di Legambiente Solidarietà afferma: "Fino a questo momento per la costruzione del nuovo 'Arco' sono state utilizzate 5.000 tonnellate di acciaio a fronte delle 29.000 previste a conclusione dei lavori. In questo primo step la struttura è stata sollevata a un'altezza di 22 metri, per raggiungere i 110 al completamento dell'opera prevista per il 2015. Ma il timore è che il progetto s'interrompa per mancanza di fondi da parte dei paesi donatori, tra i quali c'era il Giappone. Quest'ultimo dopo la tragedia di Fukushima è in grande difficoltà". Ma Chernobyl non ha solo un problema di "pelle". C'è infatti un grave problema interno al "sarcofago", ed è il cuore (radioattivo per migliaia di anni) del problema. Di questa delicata situazione, molto spesso dimenticata, informa proprio Mondo in cammino, un' organizzazione di volontariato che, tra le altre attività, si occupa attivamente delle conseguenze di Chernobyl sulla popolazione bielorussa con il Progetto Humus.

Spiega Massimo Bonfatti, Presidente di Mondo in cammino: "L'attenzione giusta, ma prevalente, sulla necessità di confinare nel più breve tempo possibile le emissioni radioattive e di prevenire il collasso della preesistente struttura (il sarcofago), stanno, in parte, distogliendo l'attenzione da quanto avviene 'sotto terra'. Il sarcofago di contenimento è stato costruito utilizzando, oltre le parti rimanenti del reattore esploso, 300.000 tonnellate di cemento e 1.000 tonnellate di strutture metalliche: il peso sulle fondamenta del reattore esploso è aumentato di 10 volte (dalle 20 alle 200 ton/mq), per cui il reattore è sprofondato di 4 metri". Mondo in cammino continua fornendo altri elementi che non possono che far riflettere: "Questo sprofondamento ha messo in contatto il materiale radioattivo con le falde acquifere tributarie dei fiumi Pripyat e Dnepr che convogliano le loro acque nel Mar Nero e che fungono da bacino idrico per 30 milioni di persone; bisogna, poi, far notare che, ad aggravare la situazione, vi sono le conseguenze degli 800 siti di smaltimento di scorie radioattive, allestiti in emergenza subito dopo l'esplosione. Inoltre, all'interno del sarcofago sono presenti: 180 tonnellate di combustibile e pulviscolo radioattivi, 11.000 metri cubi e 740.000 metri cubi di macerie altamente contaminate. La radioattività totale supera i 20 milioni di curie". "Tale situazione interna del reattore - continua Massimo Bonfatti -, unita ad un sufficiente grado di sismicità territoriale, pone doverosamente all'attenzione - senza enfasi eccessive, ma con reale pragmatismo - la possibilità di esplosioni che, se eventualmente contenute dallo shelter, potrebbero, invece, fare propagare la radioattività attraverso altre vie d'uscita, come quella sotterranea". La radioattività, camminando, potrebbe infatti giungere non solo alle falde acquifere "locali" ma arrivare fino al "nostro" Mediterraneo.

Continua la nota di Mondo in cammino: "L'attenzione mediatica riaccesa dalla caduta del tetto alla centrale nucleare di Chernobyl, deve portare ad una valutazione generale sui rischi globali, compresi quelli sotterranei, partendo necessariamente da una seria analisi delle acque del fiume Dnepr nel suo defluire verso il Mar Nero, perché il rischio di contaminazione per via acquatica – come ci sta insegnando Fukushima – pone sfide diverse legate anche (e proprio) alla maggior diffusione e propagazione dei radionuclidi, rafforzate dalla maggiore lentezza e dispersione che, nel tempo, renderanno ubiquitaria la stessa diffusione (Mar Nero, Mediterraneo e così via). In conclusione Massimo Bonfatti avverte: "E' assolutamente necessario spingere i governi mondiali a finanziare stazioni di rilevazione, affidate ad enti indipendenti, per il monitoraggio radioecologico delle acque del vasto bacino formato dalle acque del fiume Prypiat e Dnepr (e poi dallo stesso Dnepr a dai suoi bacini artificiali in Ucraina) allo scopo di vigilare sulla salute di 30 milioni di persone (il bacino idrografico del solo Dnepr comprende un'area di 516.000 kmq ed è il terzo in Europa per ampiezza, dopo il Volga e il Danubio) e, in prospettiva, sulla possibile contaminazione di tutto il bacino del Mediterraneo". 

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