Lo scorso anno l’Università di Stanford aveva condotto uno studio per capire i possibili danni della migrazione dei tonni dal Giappone agli Stati Uniti, rinvenendo tassi di radioattività troppo elevati in tutti i pesci analizzati a campione. A 12 mesi di distanza, il ricercatore Daniel J. Madigan ha voluto condurre un follow up, scoprendo come rimanga alto il livello di contaminazione seppur lievemente diminuito rispetto all’anno precedente.La spiegazione del perché questi tonni radioattivi finiscano in California è abbastanza semplice: si tratta di una specie animale in grado di vivere sino a 30 anni e, grazie al moto delle correnti e ai flussi migratori, è normale che dal Giappone – dove nasce – giunga verso le coste opposte. È però preoccupante rilevare come a due anni di distanza siano stati scovati ben 50 esemplari radioattivi, segno di come qualcosa dalle parti di Fukushima non stia funzionando a dovere. Gli scienziati, infatti, avevano ipotizzato una risoluzione spontanea della contaminazione entro 12 mesi dal disastro, eppure i tassi di radioattività rimangono simili all’esposizione post incidente.
Gli scienziati studiano il tonno da anni, da molto prima del disastro nucleare giapponese. Questo perché si tratta di una specie marina alla base della catena alimentare animale e umana, la cui sopravvivenza è già messa a dura prova dalle attività di pesca deregolamentata, con la conseguente diminuzione del 96% della popolazione totale negli ultimi decenni. La radioattività di Fukushima, oltre che a minare la salute dell’uomo, è quindi un vero e proprio attacco alla biodiversità marina e rischia di far scomparire molte famiglie di pesci se non contenuta con interventi urgenti.
Fonte: HuffingtonPost
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