Dalla fantascienza ai primi test: l'obiettivo è riuscire a portare l’agricoltura terrestre su altri pianeti. Lo "space farming" sarà fondamentale per supportare
le missioni umane di lunga durata. E anche per la psiche
VALENTINA ARCOVIO
Insalata di alghe stellari, zuppa di alghe lunari e sformato di alghe marziane. Il menù del giorno sarà forse ripetitivo e poco appetitoso, ma il panorama basterà sicuramente a saziare la fame dei più golosi.L’idea di poter coltivare piante nello spazio, destinate anche all’alimentazione, può forse apparire fantascientifica, ma non è poi così lontana dalla realtà come si può pensare. Almeno per i ricercatori che da anni stanno lavorando per preparci un futuro fra le stelle. E i passi in avanti fatti finora sono talmente promettenti che l’obiettivo di una «space farming» - una fattoria spaziale - non sembra poi così irreale. A raccontare le prospettive dell’agricoltura su altri pianeti, quella che si spera di realizzare entro la fine del terzo millennio, è stata l’Accademia dei Gergofili in una giornata di studio che si è tenuta il 27 gennaio a Firenze.
«L’interesse per la crescita e riproduzione delle piante nello spazio - spiega Stefano Mancuso, direttore del Laboratorio Internazionale Neurobiologia Vegetale - è recentemente aumentato in concomitanza con la possibilità di realizzare missioni spaziali di lunga durata. La loro riuscita è subordinata proprio all’utilizzo delle piante per la fissazione dell’anidride carbonica, la produzione di ossigeno, la depurazione dell’acqua, la produzione di cibo e, di non minore importanza, per l’effetto positivo che il verde ha sullo stato psicologico degli astronauti».
I più ottimisti lavorano allo «space farming» con l’obiettivo dichiarato di poter un giorno colonizzare la Luna o Marte, cioè di creare una nuova casa per gli esseri umani, quando la Terra sarà troppo stretta per ospitare tutti. Gli studi che vanno in questa direzione sono molti, così come gli esperimenti condotti sul campo.
«Negli ultimi anni - racconta Mancuso - gli scienziati si sono concentrati molto sullo studio degli effetti della variazione di gravità sulla fisiologia delle piante. Per raggiungere questo obiettivo l’Agenzia Spaziale Europea, per esempio, ha messo a disposizione dei ricercatori oltre all’Iss (l’International Space Station), sistemi come i voli parabolici, la “drop tower” di Brema, i “sounding rockets” e la supercentrifuga di Nordweijk». I risultati ottenuti hanno permesso di capire che le piante hanno la straordinaria capacità di adattarsi alle variazioni di gravità con uno specifico «addestramento».
«Di recente è stato possibile confermare questa ipotesi dice Mancuso - grazie all’utilizzo della supercentrifuga dell’Esa. Sono stati eseguiti alcuni rilievi riguardanti parametri di stress su piante sottoposte a cinque volte la gravità terrestre (5G) che avevano però subito in precedenza una lunga acclimatazione a 2G. Confrontando i risultati con i rilievi ottenuti su piante non acclimatate, si è quindi ottenuta la conferma che l’acclimatazione è in grado di migliorare molto le loro performances in condizioni di stress».
Le piante, così, si sono dimostrate un eccellente esempio di come un organismo terrestre si possa adattare a condizioni extraterrestri. I laboratori hanno già rivelato una serie di esempi emblematici. Basta pensare alla mini-serra spaziale «Eden», progettata nei laboratori di Torino dalla società Thales Alenia Space. Si tratta di un contenitore in cui i ricercatori sono riusciti a far crescere piantine di lattuga su un substrato che simula il suolo di Marte. Un vero e proprio esempio di insalata marziana, che forse un giorno i nostri pronipoti potrebbero gustare all’interno di una base permanente installata sul Pianeta Rosso.
«Ma anche senza andare troppo lontano con l’immaginazione - sottolinea Mancuso riuscire a far crescere le piante in ambienti così ostili potrà essere d’aiuto anche per le missioni future degli astronauti. Diversi studi hanno infatti appurato che la presenza di piante ha un effetto rilassante sulle persone, fatto di non poco conto, se pensiamo a missioni di lunghissima durata». Piante spaziali di compagnia, poi, sono relativamente molto più facili da coltivare e, a differenza di quelle per scopo alimentare, è possibile sceglierne tra una vasta varietà. «Gli astronauti - sottolinea Mancuso - potranno optare per qualunque pianta a crescita rapida e portare con sé quella che più preferiscono». Se e quando andremo su Marte, intraprendendo un viaggio che può durare anche un paio d’anni, sarà di conforto per gli astronauti portare con sé un pezzetto di verde del pianeta Terra che renda più accogliente una fredda navicella spaziale.
Fonte: http://www3.lastampa.it
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