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Tuesday, June 25, 2013

I 12 ecocidi più gravi della storia

Dalle tragedie nucleari di Chernobyl e Fukushima alle sconosciute vicende in Ecuador e Argentina passando per i drammi petroliferi in Nigeria e nel Mediterraneo: la Fondazione Sejf lancia la proposta di un Tribunale penale europeo dell’ambiente

 C’è di tutto, nel dossier stilato dalla Supranational Environmental Justice Foundation. Una classifica, o meglio una mesta rassegna, dei 12 più gravi ecocidi della storia. Dai disastri nucleari alle attività industriali intensive passando per l’inquinamento, e le sue conseguenze, o l’autentico assassinio delle foreste pluviali. E ancora la petroliera Haven e le nubi tossiche indiane. Un diario degli orrori ambientali, quasi sempre rimasti nella sostanza impuniti, rispetto ai quali servirebbe, secondo le intenzioni della Sejf, un vero e proprio Tribunale penale europeo dell’ambiente che allarghi le competenze della Corte penale internazionale. Come? Considerando il grave reato ambientale intenzionale transfrontaliero alla pari di un crimine contro l’umanità.

Canada: il circolo vizioso delle sabbie bituminose
La Fondazione Sejf etichetta lo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi come una delle attività industriali più dannose del pianeta. Tanto da aver prodotto, fra le conseguenze, la distruzione di un’area di foresta boreale vasta quanto la Florida. Per ogni barile di petrolio se ne sprecano cinque d’acqua e, oltre ai rischi che corrono le popolazioni locali come Métis e Inuit, i liquami tossici finiscono nei laghi della zona. le riserve canadesi di petrolio sono le terze al mondo per volume ma la loro estrazione produce in media da tre a quattro volte più scorie ed emissioni degli altri giacimenti. L’Ue potrebbe lanciare un embargo contro questo genere di prodotti petroliferi.

Maldive e Kiribati: isole che scompaiono
Quello delle Maldive è forse uno dei segnali più lampanti del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare mette infatti a repentaglio l’esistenza di 350mila persone, prigioniere di un arcipelago che rischia d’inabissarsi e nel quale l’80 per cento del territorio non supera il metro di altitudine sul livello del mare. Saranno i primi nomadi ambientali, costretti a riparare in Australia. Solo un antipasto di quanto potrebbe avvenire in molte altre aree del globo con un innalzamento della temperatura di appena 4 gradi centigradi.

Indonesia: la carta killer per le foreste pluviali
In questo caso c’è una multinazionale sul banco degli imputati: la App, la Asia Pulp & Paper, che con lo sfruttamento intensivo del legname sta condannando le foreste pluviali indonesiane all’estinzione. Tutto per produrre carta – acquistata spesso da altre grandi sigle internazionali – senza aver mai messo a punto un sistema ecosostenibile. In quei territori vivono il 12 per cento dei mammiferi, il 15 dei rettili e il 17 degli uccelli del pianeta. Un grande almanacco che potrebbe rimanere senza pagine.

Nigeria: il veleno del delta del Niger
Si sa, la Nigeria è una delle aree più delicate per quanto riguarda l’estrazione di petrolio. Non solo, però, sotto il profilo sociopolitico e per i rapimenti: anche per l’impatto delle pratiche industriali sugli ecosistemi del Paese africano. Per esempio, il gas che fuoriesce dai pozzi si brucia insieme al greggio generando continue nubi tossiche e liquami devastanti per il fiume Niger. Senza contare le perdite dagli oleodotti. Il diritto alla salute è uno sconosciuto.

Ucraina: il disastro nucleare di Chernobyl
Rimane uno dei capitoli più drammatici della storia dell’uomo – anche per l’impunità e le stime delle conseguenze, sempre scivolose, contraddittorie e mai chiare – l’incidente nucleare più grave della storia andato in scena il 26 aprile 1986 alla centrale Lenin, al confine fra Ucraina e Bielorussia, all’epoca territorio Urss. Al centro, il repentino e incontrollato aumento di potenza e temperatura del nocciolo del reattore numero 4. La nube radioattiva ha fatto sentire i suoi effetti per tutta l’Europa, rendendo l’area circostante un cimitero per chilometri e chilometri. Furono evacuate 336mila persone. Il rapporto ufficiale Onu parla di poco più di 4.000 morti, Greenpeace fino a sei milioni di decessi in 70 anni fra i vari tipi di tumore provocati.

Giappone, Fukushima Dai-ichi: lo tsunami, nuovo capitolo nucleare
Una data, quella dell’’11 marzo 2011, che segna la fine e un nuovo inizio per il Giappone, segnato dall’epopea nucleare da oltre sessant’anni. Lo tsunami che colpisce la costa nordorientale del Paese nipponico, con onde alte oltre 30 metri, si scatena dopo il sisma di magnitudo 9, mandando in tilt le centrali nucleari e provocando l’esplosione del reattore numero 1 della centrale di Fukushima, oltre che alla fusione del nocciolo nei reattori 2 e 3. Vengono evacuate 110mila persone – altre fonti parlano alla fine di quasi 190mila – e stabilita un’area-rossa di oltre trenta chilometri, ma ovviamente centinaia di migliaia di cittadini giapponesi sono ancora esposti agli effetti delle radiazioni. Salva la Tepco, la più grande compagnia elettrica che gestiva gli impianti.

Golfo del Messico: la marea nera della Deepwater Horizon
Anche questa un evento senza precedenti, il più grave danno ambientale marino della storia americana. Oltre cento giorni di sversamento di greggio dal 20 aprile 2010 – fra 460mila e 800mila tonnellate – dalla piattaforma offshore Deepwater Horizon dove si stava costruendo un pozzo a 1.500 metri di profondità. Nell’impotenza delle autorità la perdita distrugge interi ecosistemi marini e raggiunge le coste della Louisiana. Pesca, turismo, salute, animali: la quasi totalità delle ricchezze dell’area è andata in fumo. Venti miliardi di dollari l’accordo della British Petroleum col Governo a stelle e strisce.

Romania: l’onda avvelenata del Danubio
Il 31 gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda di Auriol, in Romania, parte un’ondata di cianuro che contamina il Danubio tramite alcuni affluenti, fra cui il Tibisco, puntando alla sua foce, una delle zone umide più importanti del mondo. Confuse le cause e le indagini: per la società romeno-australiana che gestiva la miniera sarebbero legate al fenomeno del disgelo che avrebbe comportato la tracimazione di una diga. La compagnia è poi fallita, nessuno ha pagato.

Ecuador: petrolio e foresta amazzonica
Altra multinazionale al centro della tempesta: stavolta è la Chevron-Texaco ad aver lasciato dietro di sé una scia d’inquinamento da oltre due milioni di ettari e prodotta fra il 1972 e il 1993. Dove? In Ecuador, nell’area di lago Agrio, piena foresta amazzonica, in combutta con la Petroecuador. Un delitto già denunciato oltre vent’anni fa da abitanti e contadini della zona. A pagare dovrebbe essere la società (18 miliardi di dollari la cifra stabilita da un tribunale ecuadoregno) ma la vicenda è andata per le lunghe, con tanto di appello alla Corte internazionale dell’Aja. La multinazionale ha definito la sentenza uno “ schema estorsivo”.

Mar Mediterraneo: il disastro della Haven
Ancora petrolio al centro di alcune fra le più gravi tragedie ambientali del mondo. Ancora marea nera. Il 14 aprile 1991, dopo quattro giorni alla deriva, nel mar Ligure – davanti a Voltri – affonda la superpetroliera Haven. Muoiono cinque uomini dell’equipaggio e finiscono sui delicatissimi fondali mediterranei 134mila tonnellate di petrolio. Gli effetti dureranno ancora per anni.

India: la nube tossica di Bhopal
Altro ecocidio d’archivio: il 3 dicembre 1984 dallo stabilimento della Union Carbide India Ltd. di Bhopal, dove si producono pesticidi, si sprigiona una micidiale nube tossica di isocianato di metile. Per la precisione, 40 tonnellate. Muoiono quasi tremila persone, se ne avvelenano decine di migliaia, il governo ha poi confermato oltre tremila morti. In questo caso, pur con multe e condanne irrisorie (circa 500 euro per ogni vittima, 100 per ogni persona contaminata), la fine di un processo si è vista: nel 2010 un tribunale locale ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex dirigenti indiani della Ucil. Intanto, senza una bonifica, i residui chimici continuano a uccidere.

Argentina: il piombo di Abra Pampa
Nel Nord dell’Argentina c’è una città-discarica. Si chiama Abra Pampa e ospita un’autentica montagna di piombo alimentata dalle lavorazioni di un impianto ormai chiuso dagli anni Ottanta. Trentamila tonnellate di questo materiale hanno condannato in particolare i più piccoli (l’81 per cento dei bambini presenta tracce di piombo nel sangue) a patologie spesso di tipo cerebrale: ritardo mentale, deficit attentivo, dislessica, diminuzione del quoziente intellettivo. Qui un rapporto esaustivo su questa vicenda poco nota firmato dalla Human Rights Clinic dell’università del Texas a fine 2011. 

Fonte

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