I 12 ecocidi più gravi della storia
Dalle tragedie nucleari di Chernobyl e Fukushima alle sconosciute
vicende in Ecuador e Argentina passando per i drammi petroliferi in
Nigeria e nel Mediterraneo: la Fondazione Sejf lancia la proposta di un
Tribunale penale europeo dell’ambiente
C’è di tutto, nel dossier stilato dalla
Supranational Environmental Justice Foundation. Una classifica, o meglio una mesta rassegna, dei
12 più gravi ecocidi della storia. Dai disastri
nucleari alle attività industriali intensive passando per
l’inquinamento, e le sue conseguenze, o l’autentico assassinio delle
foreste pluviali. E ancora la petroliera Haven e le nubi tossiche
indiane. Un diario degli orrori ambientali, quasi sempre rimasti nella
sostanza impuniti, rispetto ai quali servirebbe, secondo le intenzioni
della Sejf, un vero e proprio Tribunale penale europeo dell’ambiente che
allarghi le competenze della Corte penale internazionale. Come?
Considerando il grave reato ambientale intenzionale transfrontaliero
alla pari di un crimine contro l’umanità.
Canada: il circolo vizioso delle sabbie bituminose
La Fondazione Sejf etichetta lo sfruttamento delle sabbie bituminose
canadesi come una delle attività industriali più dannose del pianeta.
Tanto da aver prodotto, fra le conseguenze, la distruzione di un’area di
foresta boreale vasta quanto la Florida. Per ogni barile di petrolio se
ne sprecano cinque d’acqua e, oltre ai rischi che corrono le
popolazioni locali come Métis e Inuit, i liquami tossici finiscono nei
laghi della zona. le riserve canadesi di petrolio sono le terze al mondo
per volume ma la loro estrazione produce in media da tre a quattro
volte più scorie ed emissioni degli altri giacimenti. L’Ue potrebbe
lanciare un embargo contro questo genere di prodotti petroliferi.
Maldive e Kiribati: isole che scompaiono
Quello delle Maldive è forse uno dei segnali più lampanti del
cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare mette infatti
a repentaglio l’esistenza di 350mila persone, prigioniere di un
arcipelago che rischia d’inabissarsi e nel quale l’80 per cento del
territorio non supera il metro di altitudine sul livello del mare.
Saranno i primi
nomadi ambientali, costretti a riparare in Australia. Solo un
antipasto di quanto potrebbe avvenire in molte altre aree del globo con
un innalzamento della temperatura di appena 4 gradi centigradi.
Indonesia: la carta killer per le foreste pluviali
In questo caso c’è una multinazionale sul banco degli imputati: la App,
la Asia Pulp & Paper, che con lo sfruttamento intensivo del legname
sta condannando le foreste pluviali indonesiane all’estinzione. Tutto
per produrre carta – acquistata spesso da altre grandi sigle
internazionali – senza aver mai messo a punto un sistema ecosostenibile.
In quei territori vivono il 12 per cento dei mammiferi, il 15 dei
rettili e il 17 degli uccelli del pianeta. Un grande almanacco che
potrebbe rimanere senza pagine.
Nigeria: il veleno del delta del Niger
Si sa, la
Nigeria è una delle aree più delicate per quanto riguarda l’estrazione
di petrolio. Non solo, però, sotto il profilo sociopolitico e per i
rapimenti: anche per l’impatto delle pratiche industriali sugli
ecosistemi del Paese africano. Per esempio, il gas che fuoriesce dai
pozzi si brucia insieme al greggio generando continue nubi tossiche e
liquami devastanti per il fiume Niger. Senza contare le perdite dagli
oleodotti. Il diritto alla salute è uno sconosciuto.
Ucraina: il disastro nucleare di Chernobyl
Rimane
uno dei capitoli più drammatici della storia dell’uomo – anche per
l’impunità e le stime delle conseguenze, sempre scivolose,
contraddittorie e mai chiare – l’incidente nucleare più grave della
storia andato in scena il 26 aprile 1986 alla centrale Lenin, al confine
fra Ucraina e Bielorussia, all’epoca territorio Urss. Al centro, il
repentino e incontrollato aumento di potenza e temperatura del nocciolo
del reattore numero 4. La nube radioattiva ha fatto sentire i suoi
effetti per tutta l’Europa, rendendo l’area circostante un cimitero per
chilometri e chilometri. Furono evacuate 336mila persone. Il rapporto
ufficiale Onu parla di poco più di 4.000 morti, Greenpeace fino a sei
milioni di decessi in 70 anni fra i vari tipi di tumore provocati.
Giappone, Fukushima Dai-ichi: lo tsunami, nuovo capitolo nucleare
Una data, quella dell’’11 marzo 2011, che segna la fine e un nuovo
inizio per il Giappone, segnato dall’epopea nucleare da oltre
sessant’anni. Lo tsunami che colpisce la costa nordorientale del Paese
nipponico, con onde alte oltre 30 metri, si scatena dopo il sisma di
magnitudo 9, mandando in tilt le centrali nucleari e provocando
l’esplosione del reattore numero 1 della
centrale di Fukushima,
oltre che alla fusione del nocciolo nei reattori 2 e 3. Vengono
evacuate 110mila persone – altre fonti parlano alla fine di quasi
190mila – e stabilita un’area-rossa di oltre trenta chilometri, ma
ovviamente centinaia di migliaia di cittadini giapponesi sono ancora
esposti agli effetti delle radiazioni. Salva la Tepco, la più grande
compagnia elettrica che gestiva gli impianti.
Golfo del Messico: la marea nera della Deepwater Horizon
Anche questa un evento senza precedenti,
il più grave danno ambientale marino della storia americana.
Oltre cento giorni di sversamento di greggio dal 20 aprile 2010 – fra
460mila e 800mila tonnellate – dalla piattaforma offshore Deepwater
Horizon dove si stava costruendo un pozzo a 1.500 metri di profondità.
Nell’impotenza delle autorità la perdita distrugge interi ecosistemi
marini e raggiunge le coste della Louisiana. Pesca, turismo, salute,
animali: la quasi totalità delle ricchezze dell’area è andata in fumo.
Venti miliardi di dollari l’accordo della British Petroleum col Governo a
stelle e strisce.
Romania: l’onda avvelenata del Danubio
Il 31
gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda di Auriol, in Romania, parte
un’ondata di cianuro che contamina il Danubio tramite alcuni affluenti,
fra cui il Tibisco, puntando alla sua foce, una delle zone umide più
importanti del mondo. Confuse le cause e le indagini: per la società
romeno-australiana che gestiva la miniera sarebbero legate al fenomeno
del disgelo che avrebbe comportato la tracimazione di una diga. La
compagnia è poi fallita, nessuno ha pagato.
Ecuador: petrolio e foresta amazzonica
Altra
multinazionale al centro della tempesta: stavolta è la Chevron-Texaco ad
aver lasciato dietro di sé una scia d’inquinamento da oltre due milioni
di ettari e prodotta fra il 1972 e il 1993. Dove? In Ecuador, nell’area
di lago Agrio, piena foresta amazzonica, in combutta con la
Petroecuador. Un delitto già denunciato oltre vent’anni fa da abitanti e
contadini della zona. A pagare dovrebbe essere la società (18 miliardi
di dollari la cifra stabilita da un tribunale ecuadoregno) ma la vicenda
è andata per le lunghe, con tanto di appello alla Corte internazionale
dell’Aja. La multinazionale ha definito la sentenza uno “
schema estorsivo”.
Mar Mediterraneo: il disastro della Haven
Ancora
petrolio al centro di alcune fra le più gravi tragedie ambientali del
mondo. Ancora marea nera. Il 14 aprile 1991, dopo quattro giorni alla
deriva, nel mar Ligure – davanti a Voltri – affonda la superpetroliera
Haven. Muoiono cinque uomini dell’equipaggio e finiscono sui
delicatissimi fondali mediterranei 134mila tonnellate di petrolio. Gli
effetti dureranno ancora per anni.
India: la nube tossica di Bhopal
Altro ecocidio
d’archivio: il 3 dicembre 1984 dallo stabilimento della Union Carbide
India Ltd. di Bhopal, dove si producono pesticidi, si sprigiona una
micidiale nube tossica di isocianato di metile. Per la precisione, 40
tonnellate. Muoiono quasi tremila persone, se ne avvelenano decine di
migliaia, il governo ha poi confermato oltre tremila morti. In questo
caso, pur con multe e condanne irrisorie (circa 500 euro per ogni
vittima, 100 per ogni persona contaminata), la fine di un processo si è
vista: nel 2010 un tribunale locale ha emesso una sentenza di
colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di
otto ex dirigenti indiani della Ucil. Intanto, senza una bonifica, i
residui chimici continuano a uccidere.
Argentina: il piombo di Abra Pampa
Nel Nord
dell’Argentina c’è una città-discarica. Si chiama Abra Pampa e ospita
un’autentica montagna di piombo alimentata dalle lavorazioni di un
impianto ormai chiuso dagli anni Ottanta. Trentamila tonnellate di
questo materiale hanno condannato in particolare i più piccoli (l’81 per
cento dei bambini presenta tracce di piombo nel sangue) a patologie
spesso di tipo cerebrale: ritardo mentale, deficit attentivo,
dislessica, diminuzione del quoziente intellettivo.
Qui un rapporto esaustivo su questa vicenda poco nota firmato dalla Human Rights Clinic dell’università del Texas a fine 2011.
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