di Cristian Fuschetto
Prevederli è ancora impossibile, mitigarne i rischi invece sì. Mezza Italia trema, l’Emilia è stretta nella morsa di un incubo che non ne vuol sapere di finire, interi paesi nel Modenese sono sotto le macerie e, come sempre accade in questi casi, non rimane altro che assistere inermi alla penosa liturgia del conteggio di vittime e dispersi. Eppure le tecnologie per ridurre (in molti casi drasticamente) il tragico impatto dei terremoti esistono. Quel che finora è mancato, e manca tuttora all’appello, è la capacità politica di metterle in campo. Si tratta di tecnologie italiane, per la precisione napoletane. Primi in Europa, gli scienziati dell’Amra (centro di competenza regionale di Analisi e monitoraggio del rischio ambientale) hanno sviluppato dei sofisticati sistemi di early warning, ovvero di allerta precoce, grazie ai quali prevedere anche con decine di secondi di anticipo delle scosse sismiche. “Il che – spiega Paolo Gasparini, ordinario di Fisica della Terra presso la Federico II e presidente di Amra – in termini di riduzione dei danni significa tantissimo. In pochi secondi è possibile attuare procedure di mitigazione del rischio in tempo reale che a volte risultano decisive innanzitutto per salvare vite umane e anche per ridurre danni alle cose”.
Con tutti i distinguo e le cautele del caso, non è certo azzardato ipotizzare che molte delle vittime causate dalle scosse di ieri e del 20 maggio si sarebbero potute evitare. Laddove sono attive, come in Giappone, le tecnologie di early warning trovano infatti immediato utilizzo nei luoghi di lavoro e, come emerge dalle cronache, fabbriche e capannoni industriali sono stati tra i luoghi più esposti al terremoto che ha investito l’Emilia. Tre operai sono morti a San Felice sul Panaro nel crollo di un capannone industriale, altre tre persone sono morte nel crollo della ditta Bbg di Mirandola, una donna è morta nel crollo del mobilificio Malavasi, e mentre scriviamo sono cinque i dispersi nel crollo di un’azienda biomedicale di Medolla, il paese più colpito. “Se opportunamente preparati, grazie al sistema di allerta precoce gli operai avrebbero avuto il tempo di mettersi al riparo”, afferma Gasparini. “L’early warning – continua – è un sistema grazie al quale è possibile lanciare un allarme non appena vengono registrate le prime onde di un terremoto, le cosiddette onde P, che in genere hanno un’ampiezza molto bassa e non producono danni. A volte diventa quindi possibile essere avvisati con decine di secondi, o addirittura minuti di anticipo sull’arrivo delle onde distruttive. Si tratta di una finestra temporale fondamentale”.
Su queste tecnologie punta moltissimo l’Unione Europea, che sei mesi fa ha finanziato con 7 milioni di euro un progetto triennale sulle strategie di mitigazione dei rischi naturali che coinvolge 23 partner scientifici provenienti da 15 paesi. A capofila del progetto, che si chiama “Reakt” (Strategies and tools for Real time EArthquake risKreduction), è proprio il team partenopeo di Amra, che ha tra l’altro previsto due progetti pilota proprio in Campania: uno riguarda l’applicazione dell’early warning a difesa del tratto Nola-Baiano della Ferrovia Circumvesuviana, il più vicino alla faglia dell’Irpinia; l’altro consiste nella sperimentazione del metodo in due scuole, rispettivamente a S. Angelo dei Lombardi e a Somma Vesuviana. “Abbiamo collegato le due scuole al nostro sistema di allerta, ora si tratta di istruire alunni e docenti a comportarsi in modo adeguato nei casi di allarme”, spiega Antonio Emolo del Dipartimento di Scienze fisiche dell’ateneo federiciano, tra i responsabili di Reakt. La prevenzione, prima ancora di essere un fatto tecnologico, è un fatto culturale. In una popolazione impreparata alla gestione del rischio l’attivazione di sistema di preallerta rischierebbe paradossalmente di acuire i danni. “Diversi studi scientifici – rimarca Gasparini – hanno dimostrato che in numerosi eventi sismici gran parte delle vittime è da attribuire a comportamenti sbagliati delle persone piuttosto che ai danni materiali provocati dalle scosse”.
Paradosso per paradosso, quello che ora fa più male è senz’altro rappresentato dal fatto che l’Italia, tramite Napoli, sia capofila in Europa nella progettazione di sistemi avanzati per la riduzione dei danni provocati dai terremoti senza tuttavia mettere in campo alcuna azione concreta per metterli in campo. “In Italia non si sa chi deve fare cosa. Noi abbiamo una tecnologia e non sappiamo se e come metterla a disposizione di scuole, enti e amministrazioni che volessero attuare dei piani di sicurezza in caso eventi sismici come quelli che stanno ora colpendo l’Emilia”. In Giappone esiste una specifica agenzia deputata a fare da regia nella pianificazione e gestione dei sistemi di early warningm che finora si sono sempre dimostrati efficacissimi; per esempio, in occasione del recente terremoto, prima che arrivassero le scosse più intense, l’allerta precoce ha permesso di bloccare tutti i treni in circolazione nell’area intorno all’epicentro evitando che deragliassero.
È vero che non siamo il Giappone, ma è pur vero che l’Italia è tra i Paesi più esposti a rischio sismico. In primis la Campania, dove sono attive ben tre aree vulcaniche attive. Anzi, si calcola che nella nella fascia circum-mediterranea, il livello di vulnerabilità sismica individuale è da 10 a 100 volte maggiore di quelle del Giappone e degli Stati Uniti. Questo vuol dire che una persona che vive in queste aree ha una probabilità da dieci a 100 volte maggiore di morire per un evento sismico. Particolarmente esposte sono le aree urbane. Nonostante la popolazione delle città europee tenda a rimanere stabile (almeno in confronto con gli aumenti riscontrati sugli altri continenti), il rischio sismico nelle aree urbane tende ad aumentare nel tempo a causa della crescente industrializzazione e del networking tra infrastrutture, linee di servizio ed economie. “Noi siamo pronti e, nell’ambito di Reakt stiamo ulteriormente rafforzando le nostre conoscenze e le nostre tecnologie, aspettiamo che chi di doevere metta in campo le adeguate strategie”, conclude con una nota di amarezza Gasparini. E noi con lui.
Reakt, ecco i numeri del progetto europeo per combattere i terremoti
• Paesi coinvolti 15
• Partner scientifici 23
• Soggetto Capofila Amra Scarl (Napoli)
• Durata 3 anni (termina 09/2014)
• Finanziamento Eu 7 milioni di euro
• Costo complessivo 10 milioni
Crollano le fabbriche, strage di lavoratori
La scossa è stata avvertita in tutto il Nord Italia e persino in Austria. Cinque forti scosse scuotono nuovamente l’Emilia, con epicentro tra Carpi, Medolla e Mirandola nel modenese.
Sono 17 finora le vittime accertate, tre i morti a San Felice, due a Mirandola, uno a Concordia, uno a Finale, uno a Rovereto di Novi, due a Cavezzo, due persone sono morte a San Giacomo Roncole, due a Medolla. Alle vittime si aggiungono dieci dispersi e circa 200 i feriti. Le previsioni parlano inoltre di almeno 8.000 sfollati, che si aggiungono alle migliaia di sfollati della prima ondata di scosse, per un totale di 14 mila. il prossimo 4 giugno ci sarà una giornata di lutto nazionale.
Il terremoto ha mietuto vittime soprattutto nelle fabbriche, dove si era ripreso a lavorare dopo le verifiche. Nella ditta Meta di San Felice sul Panaro sono morti in tre, due lavoratori immigrati e un ingegnere che stava ultimando i rilievi tecnici. Altri tre lavoratori sono morti per il crollo della ditta Bbg di Mirandola (Modena) che aveva ripreso l’attività lunedì. A Medolla si continua a scavare tra le macerie, nel capannone della Haemotronics, dove risultano dispersi tre operai, mentre è già stato estratto il cadavere di un altro lavoratore. A Cavezzo, nel crollo del mobilificio Malavasi, è morta una donna.
Fonte: http://denaro.it
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