Statistiche

Tuesday, May 29, 2012

Il geologo: «L’Appennino spinge e fa tremare la pianura padana»

Parla Gianluca Valensive (Ingv): «Probabilmente le scosse sono destinate a proseguire a lungo. Per capire cosa accade sotto terra è utile osservare il corso dei fiumi»

di Luca Ghirardini

MANTOVA. Per capire perché trema la terra, può bastare osservare l’acqua: i fiumi che solcano la pianura padana e i loro comportamenti a volte strani. Il Reno, un tempo, era affluente di destra del Po, poi ha deviato il suo corso ed ora si apre, in modo tortuoso, una strada autonoma verso l’Adriatico.

Lo stesso Po, fino al 1152 scorreva più a sud; dopo la grande rotta di Ficarolo, uscì dall’alveo per non tornarci più, avendo trovato una modo più semplice, decine di chilometri più a nord, per giungere al mare. A spingere il Grande fiume verso nord-est e il Reno verso sud-est è qualcosa che si trova sotto terra, che in gergo tecnico si chiama “anticlinale” e che provoca un mutamento della superficie terrestre con depressioni e inarcamenti che, seppur lievi, arrivano a modificare i corsi dei fiumi. L’anticlinale, a sua volta, nasce dalla compressione di strati rocciosi.

A spiegare cosa sta accadendo sotto i nostri piedi è il geologo Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale di geologia e vulcanologia. L’Appennino è come un tappeto spinto contro il muro della pianura padana, che prosegue sotto la stessa e forma delle pieghe. Questi movimenti sotterranei di accavallamento delle rocce creano le anticlinali, le quali, seppure ricoperte da un materasso di sedimenti marini e alluvionali alto anche alcuni chilometri, può modificare la superficie terrestre.

I terremoti di questi giorni stanno verificandosi in corrispondenza di una dorsale sepolta, chiamata Ferrarese, che ha creato proprio quell’anticlinale responsabile dello spostamento del Po a nord e del Reno verso sud-est. E non è un caso che i maggiori problemi si siano avuti nell’area di Sant’Agostino, San Carlo e Mirabello: erano le zone un tempo percorse dal Reno, poi l’uomo ha costruito sulla terra abbandonata dalle acque, che non ha però la stessa compattezza di altri suoli. Qui acqua mista a melma esce dalle fratture che si sono create nel terreno, le case rischiano di sprofondare.

Così come l’Appennino spinge verso nord-est, le Alpi spingono verso sud. «C’è un punto, in provincia di Cremona - rileva Valensise - dove Alpi e Appennini si toccano. E là nel 1802 si verificò un terremoto simile a quello del 20 maggio». Come nel 1570 nel Ferrarese. Allora, raccontano le cronache del tempo, le scosse di assestamento non cessarono prima di alcuni anni.

E il geologo ritiene possibile che anche ora si debba imparare a convivere con la terra che trema. Diversa è la possibilità di una nuova, importante scossa: «L’energia accumulata negli anni si è scaricata ora nella zona colpita. Difficile che un nuovo episodio importante si ripeta a est: l’energia si è già scaricata nel 1570. Se dovesse accadere qualcosa, lo attendiamo più a ovest». La scossa di magnitudo 5,9 del 20 maggio è stata il frutto dello scorrimento di mezzo metro-un metro di una faglia lunga 15 chilometri. Per le scosse di magnitudo tra 2 e 3 si scende a circa 10 centimetri. Con l’avvertenza che l’energia sviluppata da un terremoto raddoppia ogni 0,3 punti della scala.

«La pianura padana spesso è stata snobbata dai geologi - conclude Valensise - e debolmente considerata dai sismologi. Il terremoto del 20 maggio è destinato a dare impulso a una nuova stagione di studi e ricerche».

Fonte: http://gazzettadimantova.gelocal.it

No comments:

Post a Comment

Note: Only a member of this blog may post a comment.